Tutti i significati del rinnovo di Dries Mertens

Il Napoli manterrà in rosa un grande calciatore, molto apprezzato soprattutto all'estero, ma è giusto porsi anche qualche domanda su questa operazione.

La notizia del rinnovo contrattuale di Dries Mertens con il Napoli, un’operazione che ormai pare debba essere solo formalizzata, non è passata inosservata nemmeno sui media internazionali. Il Guardian, per esempio, ha pubblicato un articolo in cui racconta del «disappunto provato dal Chelsea e dall’Inter, che avevano la speranza di acquistare l’attaccante belga a parametro zero quest’estate». Dunque, al di là dell’Inter, uno dei giornali più autorevoli d’Inghilterra ha scritto che una delle squadre più prestigiose della Premier League si è risentita perché è sfumato uno dei suoi obiettivi di mercato per l’anno prossimo, uno dei pochi uomini di esperienza che avrebbe voluto inserire su un telaio fatto di giocatori giovani e talentuosi, guidati da un manager a sua volta giovane e ambizioso. Ecco, non proprio una cosa da poco.

La fama di Mertens oltre l’Italia e la Serie A non si limita a questa breaking news di mercato, ma si è fatta percepire anche in altri momenti: quando il New York Times ha pubblicato una riflessione di Rory Smith sulla difficile situazione normativa dei giocatori in scadenza di contratto a giugno 2020, la foto di copertina scelta dagli editor ritraeva proprio l’attaccante belga durante la partita degli ottavi di Champions contro il Barcellona. È stato scelto Mertens, proprio Mertens, quando c’erano tanti altri giocatori di un certo richiamo che si trovano nella sua stessa condizione: Gõtze del Borussia Dortmund, Willian del Chelsea e poi Edinson Cavani, un altro attaccante molto legato a Napoli e al Napoli.

Dunque, stiamo parlando di un giocatore riconoscibile – e riconosciuto come un campione – a livello internazionale. È una realtà percepita più all’estero, però: in Italia tendiamo a sottovalutare Mertens: il belga non compare quasi mai nelle liste dei giocatori più forti della Serie A, non viene considerato sullo stesso livello di Ronaldo, Lukaku, Dybala, o nemmeno del suo compagno di squadra Koulibaly. Probabilmente la verità sta nel mezzo, magari Mertens non ha la stessa quantità di talento di altri campioni che militano in alcune squadre italiane, ma è vero pure che quando ci dimentichiamo di lui finiamo per dimenticare anche delle evidenze molto significative. Al di là dei numeri – che pure sono importanti: dalla stagione 2016/17, la prima in cui è stato schierato attaccante centrale, ha accumulato 87 gol in 171 partite – va infatti tenuto conto che Mertens ha segnato contro Barcellona, Real Madrid, Liverpool e Psg, praticamente tutte le grandi squadre europee affrontate dal Napoli in Champions League negli ultimi anni; inoltre, nello stesso arco temporale, ha mantenuto un ruolo di primo piano in una Nazionale che può contare su Lukaku, De Bruyne, Hazard, ha realizzato dieci gol e ha partecipando a un Mondiale da protagonista.

Rinnovando il contratto di Mertens, il Napoli riuscirà quindi a trattenere un giocatore di primo livello fino alla fine della sua carriera “vera”, dato che l’attaccante belga ha compiuto 33 anni due settimane fa. In questa operazione sono evidenti due tipi di forza: quella economica, per cui Mertens ha scartato le offerte piuttosto vantaggiose che gli saranno sicuramente arrivate; e quella legata all’ambiente, per cui la scelta di Mertens di rimanere a Napoli ha fatto pensare a una motivazione legata all’attaccamento al club, alla città; certo, si tratta di sensazioni che possono essere provate anche dai giocatori, ma la situazione va analizzata con lucidità, e allora la permanenza di Mertens è necessariamente legata anche ad aspetti meno romantici – parliamo dell’ambizione del progetto tecnico, del ruolo all’interno della squadra. Insomma, è ingenuo pensare che Mertens abbia deciso di rimanere a Napoli solo perché è innamorato del pubblico del San Paolo, dei bambini che l’hanno eletto idolo e simbolo, del fatto che venga chiamato Ciro – un nome che significa qualcosa, nel capoluogo partenopeo – e della musica neomelodica, e del dialetto. No, c’è anche dell’altro. Ed è su questo che vale la pena riflettere, guardando anche al passato recente.

Nei suoi sei anni e mezzo a Napoli, Dries Mertens ha messo insieme 309 presenze in tutte le competizioni ufficiali e 121 reti; gli manca un solo gol per superare Marek Hamsik e diventare il miglior marcatore assoluto nella storia del club partenopeo (Francesco Pecoraro/Getty Images)

Secondo le rilevazioni dell’osservatorio Cies, il Napoli è la squadra che ha utilizzato meno giocatori – in partite di Serie A – nell’arco degli ultimi cinque anni solari (58). Quindi è la squadra di Serie A che ha venduto e comprato di meno in questo periodo. Da qui si deduce che quello di Mertens non è un caso. Da qui deduce anche che Mertens, esattamente come ha fatto Hamsik prima di lui, ha deciso di rimanere al Napoli all’apice della carriera perché credeva (e crede) che la squadra azzurra fosse (sia) l’habitat perfetto per sé. Come Mertens e Hamsik, anche Insigne appartiene a un gruppo storico consolidato, formatosi a cavallo tra il 2012 e il 2014, tra l’era Mazzarri e quella Benítez; a quegli anni risalgono anche gli arrivi di Callejon, Ghoulam e Koulibaly. Sono tutti giocatori “scoperti” dal Napoli e che il Napoli non ha ceduto, almeno fino a quando non si è manifestato un desiderio reciproco di interrompere il rapporto – come nel caso di Hamsik. Difficile pensare che non siano mai arrivate offerte allettanti per certi calciatori, basti pensare solo alla crescita di Koulibaly negli ultimi anni, alla sua qualità, tra l’altro in un ruolo difficile da reperire sul mercato.

Insomma, è evidente come il Napoli dell’era De Laurentiis riesca a creare un rapporto profondo con i suoi tesserati, una sorta di fidelizzazione bidirezionale tra società e giocatori. Dries Mertens, da questo punto di vista, è l’esempio migliore, più calzante: il belga è un prodotto tecnico ed emotivo costruito a Napoli, con la maglia azzurra addosso è diventato un attaccante di razza, si è scoperto leader, è migliorato in ogni aspetto del suo gioco, è sopravvissuto a tre allenatori molto differenti tra loro (Benítez, Sarri, Ancelotti) e ora si è preso la scena anche con Gattuso – anzi, sembra proprio che sia stato il tecnico calabrese a spingere con la dirigenza perché si concretizzasse questo prolungamento contrattuale. Da parte di Mertens avranno e hanno avuto un peso anche l’amore e la riconoscenza per il club che gli ha permesso di affermarsi a questi livelli, per i tifosi che gli hanno dato un affetto enorme; ma allo stesso tempo il Napoli deve offrire qualcosa ai propri giocatori, se questi stessi giocatori sono cosi restii a lasciare Napoli: la costanza del progetto, dei palcoscenici importanti su cui esprimersi – quella di quest’anno è stata la quarta partecipazione consecutiva alla Champions – e forse anche delle pressioni meno accentuate rispetto ad altri contesti.

Con 26 reti realizzate (in 65 presenze), Mertens è il miglior marcatore della storia del Napoli nelle competizioni internazionali (Valerio Pennicino/Getty Images)

Quest’ultimo aspetto non può essere ignorato: per dimensione economica e politica, il Napoli è una squadra di alta borghesia che però paga una certa distanza dai top club, quindi ha l’ambizione di vincere, ma non può certo programmare un grande successo. È come se la società partenopea offrisse una comfort zone, un luogo in cui valorizzarsi ma che difficilmente ti permette o ti permetterà di entrare direttamente nella storia del calcio. I vari Hamsik, Insigne e Mertens hanno deciso di rimanere, rinunciando all’accesso a un livello superiore. C’entrano gli aspetti economico e tecnico, e quindi anche il coefficiente di difficoltà. Nell’era De Laurentiis ci hanno provato in pochi, in verità: Lavezzi, Cavani, Higuaín, Jorginho. Alcuni sono riusciti a imporsi in maniera definitiva in club più ricchi e ambiziosi, altri sono stati intermittenti. Mertens ha deciso di non tentare, forse le altre società non l’hanno convinto e il Napoli invece sì: e se da un lato questo può essere un merito del club, forse anche lo stesso giocatore non ha avuto il coraggio di osare. Si può dire che abbia scelto di rimanere nella sua comfort zone.

Lo stesso discorso vale anche per il Napoli: al netto del futuro di Milik, la permanenza di Mertens rimanda (ancora) l’arrivo di un nuovo attaccante titolare, un nome su cui investire soldi e fiducia. Mertens è un centravanti atipico e fortissimo, e proprio per questo rappresenta inevitabilmente un tappo per tutti coloro che avrebbero potuto prendere il suo posto, o anche solo affiancarlo – per informazioni su quanto incida il fantasma di Mertens, basta chiedere proprio ad Arek Milik. Trattenendo il belga, De Laurentiis, Giuntoli e Gattuso hanno deciso di andare sul sicuro, di non osare, di non provare a scovare un “nuovo Mertens” che possa giocare al centro dell’attacco, al posto del vecchio Mertens, del vero Mertens. Nel 2013, quando è arrivato al Napoli, Dries era un 26enne del Psv che non era mai andato oltre l’Europa League, che contava dodici presenze da titolare e due gol con la Nazionale maggiore – accumulate prima che il Belgio diventasse una rappresentativa cool e fortissima, tra l’altro. Un attaccante così, una scommessa così, non potrà arrivare al Napoli, oppure dovrà rivaleggiare con Mertens per un posto da titolare. E non è detto che sia la strategia migliore per il futuro a lungo termine del club.