Credere nei sogni e nel cambiamento, contro i pregiudizi: l’intervento di Milena Bertolini

L'esperienza dell'allenatrice dell'Italia raccontata durante “Scienza in movimento. Nuove energie in rosa per il futuro”, organizzato da Fondazione Mondo Digitale in partnership con Eni.

I giovani e le donne come risorse da sfruttare, all’interno di un processo di sviluppo inclusivo e di valore. Sono questi i concetti e valori di riferimento dell’evento “Scienza in movimento. Nuove energie in rosa per il futuro”, svoltosi nell’ambito del progetto CO-ME – Code&Frame, realizzato da Fondazione Mondo Digitale in partnership con Eni, e della Milano Digital Week. Diverse professioniste di primo livello – scienzate, calciatrici, manager, programmatrici – si sono confrontate con un pubblico di studentesse e studenti in incontri digitali per parlare di formazione, di profili lavorativi emergenti, di evoluzione contro i pregiudizi e gli stereotipi di genere.

Proprio per quest’ultimo aspetto, uno degli interventi più significativi è stato quello di Milena Bertolini, allenatrice della Nazionale italiana dal 2017. Giovedì 28 maggio 2020, Bertolini ha raccontato la sua esperienza come giocatrice e poi come tecnico, un’avventura lunga più di 30 anni – ha esordito nella Reggiana nel 1985, ed è diventata allenatrice a partire dal 2004, sempre iniziando dalla Reggiana – in cui ha dovuto superare diversi ostacoli: «Il mio sogno era fare proprio un percorso del genere, ma non è stato sempre facile. Da bambina il calcio era un gioco con cui potevo divertirmi e basta, ma poi durante l’adolescenza ho iniziato a trovare difficoltà, a sentire giudizi densi di stereotipi: alcuni mi chiamavano maschiaccio e utilizzavano altre parole così, ho iniziato a travestirmi e a farmi chiamare Mario pur di continuare a giocare».

L’ambiente familiare ha saputo dare grande forza a Bertolini: «La passione per il gioco è nata in maniera naturale dentro di me, la mia famiglia se ne è accorta fin da quando ero piccola e mi ha sempre sostenuto. Del resto le altre donne della mia famiglia hanno fatto sempre dei lavori considerati culturalmente “maschili”. Tra tutte voglio citare mia zia, Riccarda Nicolini, assessore regionale in Emilia Romagna: lei mi ha trasmesso tante cose positive sulla possibilità di realizzarsi come donna. Anche mio padre, con le sue parole e il suo esempio, mi ha mostrato come non esista alcuna differenza di genere».

«È partendo da questi insegnamenti», prosegue Bertolini, «che ho scelto di percorrere la mia strada senza tener conto di questi intoppi. La cultura intorno a te può mettere degli ostacoli sul tuo percorso, ma c’è un modo per superarli tutti: impegnarsi nel coltivare il proprio talento, nello studio per acquisire competenze, e poi credere nei propri sogni e nei propri desideri. Quando hai un atteggiamento di questo tipo, i sacrifici che compi diventano semplici passaggi per la realizzazione del tuo sogno. E allora puoi arrivare dovunque, senza alcuna preclusione».

Come giocatrice, Bertolini ha vinto tre scudetti, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana; dopo la fine della carriera agonistica e il passaggio in panchina, sono arrivati altri dieci trofei, conquistati da tecnico della Reggiana (una Coppa Italia), del Foroni Verona (uno scudetto e una Supercoppa Italiana) e del Brescia (due scudetti, tre Coppe Italia e tre Supercoppe). Un palmarés invidiabile, che ha portato Bertolini sulla panchina della Nazionale italiana nel momento in cui il movimento femminile ha iniziato a imporsi nei media, ad andare oltre certi retaggi culturali. Anche questo cambiamento, secondo Bertolini, nasce dall’impegno delle giocatrici, dalla volontà di superare gli stereotipi: «Lo dico alle ragazze e ai giovani in generale, che non sono molto ascoltati e visti come una risorsa, nel nostro Paese: gli scudetti e tutti gli altri successi si raggiungono attraverso la gavetta, lo studio, anche in un mondo che sembra escluderti. Io ho sempre voluto vivere dentro lo sport, tra l’altro il mio mondo era profondamente maschile, spesso ho sento frasi come “il calcio delle donne è un altro sport”, “il calcio non è per le donne”. Ma le rivoluzioni, così come le piccole trasformazioni, arrivano superando questi momenti difficili, queste discriminazioni e lo sconforto che ne deriva».

Milena Bertolini esulta durante una sfida degli ultimi Mondiali, giocati in Francia un anno fa; le Azzurre hanno superato il girone eliminatorio e poi hanno raggiunto i quarti di finale, il miglior risultato nel torneo iridato dall’edizione del 1991, la prima in assoluto (Boris Horbat/AFP via Getty Images)

Il progetto “Scienza in movimento. Nuove energie in rosa per il futuro” si basa su un’idea fondamentale: un reale cambiamento avviene quando si manifestano nuovi paradigmi, prima di tutto personali. Da questo punto di vista, Bertolini non ha dubbi: «Tutto inizia dalle donne, di solito siamo proprio noi a farci più problemi, a porre ostacoli sul nostro cammino, anche quando non esistono. Un esempio: quando giocavo, spesso affrontavamo squadre maschile e finivamo per patire la loro maggiore fisicità. Da allenatrice, mi sono reso conto che studiare il calcio permette di vivere in maniera diversa questo gap, concentrando il lavoro su altri aspetti. Per liberarci di questi vecchi schemi, anche il linguaggio è fondamentale: in gergo calcistico, si parla di “marcatura a uomo”, per esempio sui calci piazzati. Alle mie ragazze dico di usare l’espressione “marcatura a donna” o al massimo “marcatura individuale”. Soprattutto con i giovani, si deve partire da questi cambiamenti che sembrano minimi, ma invece esprimono già un pensiero diverso, un’apertura maggiore».

Sul futuro del calcio femminile come sistema e fonte di integrazione, Bertolini si è espressa così: «Come nel calcio, tutto parte dal mettersi in gioco per un obiettivo: alle mie giocatrici insegno di mettere il talento individuale a disposizione della squadra, ai giovani e alle ragazze dico che fare le cose insieme non cancella la forza dell’individuo, piuttosto la moltiplica. Perciò, la condizione delle donne si può migliorare solo con un’alleanza, con un rapporto positivo che parta dai giovani. A cui, però, bisogna saper dare fiducia».