Gli Europei che non inaugurano e le occasioni per il futuro

L'Italia del calcio può ripartire sul campo, per confermare il buon lavoro di Mancini, ma anche dal punto di vista politico.

In questi giorni di anniversari calcistici che celebrano grandi eventi del passato, il 12 giugno è una data importante al contrario. Oggi, infatti, l’Italia di Roberto Mancini e lo stadio Olimpico di Roma avrebbero dovuto tenere a battesimo i Campionati Europei 2020: prima della sfida contro la Turchia, gara inaugurale del primo torneo continentale itinerante della storia, ci sarebbe stata sicuramente una grande cerimonia d’apertura, alla quale avrebbe assistito tutto il mondo.

È suggestivo il fatto che il calcio italiano riparta proprio oggi, con il ritorno della semifinale di Coppa Italia tra Juventus e Milan, ma è inevitabile avere un po’ di amaro in bocca per come sono andate le cose. O meglio: per come non sono andate, perché magari oggi avremmo dovuto e voluto parlare di una partita molto attesa, di un torneo bellissimo che stava per iniziare, delle possibilità di una squadra giovane e talentuosa come l’Italia di Mancini, di avversarie fortissime e ricche di campioni. Invece abbiamo dovuto aspettare che il calcio fosse in grado di tornare dopo la pandemia, ora questa attesa è finita ma dobbiamo fare i conti con uno sport diverso, influenzato da dinamiche sanitarie più stringenti, da un mondo tutto intorno che non ha ancora smaltito, e come potrebbe, dubbi e incertezze.

Al netto di tutto questo, però, ora l’Italia ha un’occasione. Come squadra di calcio, come entità politico-sportiva. Un anno in più per prepararsi a questo evento molto grande, molto atteso, approcciato benissimo ma con ampi margini di miglioramento – come per tutte le cose della vita che si possono progettare, del resto. Iniziamo dal campo: se la Nazionale di Mancini ha saputo riconquistare la fiducia dei tifosi, se ha saputo riattivare l’entusiasmo intorno a sé, ed è riuscita a fare entrambe le cose, è perché è stata fondata su basi solide, su concetti chiari. Su un’identità condivisa. Il rinvio degli Europei al 2021 darà la possibilità di coltivare – ancora di più, ancora meglio – il lavoro portato avanti negli ultimi anni, attraverso le selezioni giovanili e poi quella senior. Come per tutti gli altri movimenti calcistici, la costruzione di una rappresentativa forte parte dal basso, dallo scouting nelle selezioni giovanili, dalla crescita strutturata e strutturale di giocatori di qualità che poi arrivano in una squadra senior che parla una lingua già conosciuta, già praticata. I risultati delle Under azzurre, nei cicli degli anni Duemiladieci, sono stati buonissimi, in alcuni casi addirittura eccellenti: ora l’Italia sta raccogliendo i frutti di quanto seminato, era da tempo che la Nazionale maggiore non aveva una squadra così piena di talento e così proiettata nel futuro.

Merito di Mancini, ma anche di chi, prima di lui, ha investito in una generazione che non poteva essersi manifestata ad alti livelli. Sì, perché Meret, Romagna, Barella, Locatelli e Cutrone formavano la spina dorsale dell’Italia Under 19 che ha raggiunto la finale degli Europei nel 2016, persa contro la Francia; due anni dopo, gli Azzurrini più forti tra quelli che raggiunsero un’altra finale europea – persa contro il Portogallo – erano Zaniolo, Tonali, Pinamonti e Kean. Una buonissima parte dei giovani inseriti da Mancini nella sua esperienza come commissario tecnico sono giocatori abituati a frequentare Coverciano, che si sono già formati con le rappresentative azzurre. È il senso di un progetto a lungo termine che non si sarebbe esaurito con gli Europei, ma che ha semplicemente rimandato di un anno la prima verifica importante.

Lo Stadio Olimpico ha ospitato per due volte le partite della fase finale degli Europei, nel 1968 e nel 1980 (Paolo Bruno/Getty Images)

Lo stesso discorso vale anche per Roma, per lo Stadio Olimpico, e il concetto si può estendere a tutta l’Italia del calcio: c’è un anno di tempo in più per presentarsi (ancora meglio) all’appuntamento con la vetrina di Euro 2020 – lo scriviamo così perché il naming della manifestazione resterà lo stesso nonostante il cambio di date – e allora si tratta di un’opportunità da sfruttare, dopo il successo organizzativo degli Europei Under 21 del 2019. In un’intervista rilasciata a Undici prima della pandemia, il responsabile Eventi, Infrastrutture e Sicurezza della Federcalcio, nonché referente federale per Euro 2020, Giovanni Spitaleri, aveva detto che «la prima partita degli Europei a Roma è un grande risultato della Figc, perché siamo riusciti a migliorare l’Olimpico in molti aspetti, adattandolo agli standard di altre città». Nei 364 giorni che passeranno da oggi al nuovo inizio degli Europei a Roma – spostato a venerdì 11 giugno 2021 – si potrà fare ancora meglio, a tutti i livelli. Certo, ci saranno delle cose da fare per rispettare le nuove disposizioni, ovviamente in tema di sicurezza sanitaria, ma questi grandi eventi devono rappresentare uno stimolo per andare avanti in tutte le direzioni possibili. Per migliorare, per crescere.

Da Roma – una città che da anni è alla ricerca di spazi e progetti validi per dei nuovi stadi di calcio – e dall’auspicabile successo dei prossimi Europei, l’Italia calcistica vuole ripartire anche come istituzione, come punto di riferimento per gli altri Paesi. Lo slittamento di un anno della partita contro la Turchia, e di tutto ciò che questo evento avrebbe rappresentato, rappresenta e rappresenterà, permetterà di lavorare ancora meglio sul concetto di ripartenza. Che nel 2021 avrà un significato ancora maggiore, in campo e fuori, e soprattutto potrebbe averlo per l’Italia, se interpretato ancora meglio di quanto già fatto, in vista del futuro.