La storia incompiuta e il futuro incerto di Edinson Cavani

L'attaccante uruguaiano lascerà il Psg senza essere riuscito a imporsi come uno dei migliori attaccanti della sua generazione. Ora, a 33 anni, dovrà per forza ridimensionare le sue ambizioni.

L’addio di Edinson Cavani al Paris Saint-Germain assomiglia tanto a un’occasione persa. La sua esperienza in Francia si chiuderà con un vuoto, e non per quella mancata affermazione in campo internazionale che squadra e giocatore hanno cercato per sette stagioni nel tentativo di legittimare lo strapotere manifstato in Ligue 1: la verità è che il centravanti uruguaiano non è riuscito a guadagnarsi lo status di attaccante più dominante e decisivo della sua generazione, un riconoscimento che sembrava potesse conquistare quando è andato via da Napoli, e che a Parigi non è riuscito a guadagnarsi. Per demeriti suoi, ma anche del Psg.

Cavani aveva lasciato il Napoli nel 2013 dopo un triennio di crescita verticale sotto tutti i punti di vista: tecnico, caratteriale, d’immagine. A un certo punto era chiaro a tutti che un attaccante da oltre cento gol in tre stagioni in maglia azzurra era diventato fuori scala per quella realtà in cui si era imposto come leader a tutti gli effetti. Il trasferimento al Psg è sembrato un giusto riconoscimento di quella grandezza, anche – banalmente – da un punto di vista economico. Solo che Cavani non è mai stato davvero la prima scelta, la primadonna del club parigino: in un primo momento non è stato il centravanti titolare, dopo il Psg ha continuato a non poterlo, o meglio a non volerlo mettere al centro di tutto.

Quando arriva al Parco dei Principi, il Psg è la squadra di Ibrahimovic. Anzi, è il feudo di Ibrahimovic: lo svedese muoveva i fili del gioco e del mondo intorno al club, mentre tutti gli altri gli facevano da spalla. Anche a Cavani tocca questo destino nel sistema di Laurent Blanc, che lo impiega come esterno in un tridente o come seconda punta. Non è solo una scelta tattica, dettata dal fatto che il suo atletismo gli permettesse di essere un equilibratore difensivo, ma è anche una decisione politica: Cavani era un gregario di Ibrahimovic, nella misura in cui lo svedese era libero di scegliersi la posizione, di selezionare la giocata preferita in ogni momento, e Cavani reagiva di conseguenza, muovendosi in funzione delle giocate immaginate dal suo compagno d’attacco. Proprio come tutto il resto della rosa, Cavani era un satellite del pianeta Ibrahimovic.

Nel 2017, con lo svedese già a Manchester da un anno, la società parigina investe sul mercato circa 400 milioni di euro in poche settimane per portare a Parigi due attaccanti: Kylian Mbappé, ovvero il miglior giovane talento di Francia (del mondo), e Neymar, ovvero il terzo giocatore più forte del mondo – in quel momento era una considerazione quasi unanime – dopo Messi e Cristiano Ronaldo. Questi nuovi arrivi assegnano a Cavani il ruolo di centravanti titolare della squadra ma, ancora una volta, gli tolgono un ruolo centrale nel progetto tecnico, emotivo ed economico del suo club.

In mezzo c’è stato un anno di transizione, quel 2016/17 con Unai Emery in panchina in cui per la prima e unica volta Cavani è stato al centro di tutto. Si tratta probabilmente della miglior stagione della sua carriera, in cui il centravanti uruguaiano ha dovuto e saputo trascinare una squadra in cerca di definizione a forza di gol: a 29 anni, Edinson era nel pieno della maturità calcistica ed era ancora in grado di esprimere quello strapotere fisico che lo ha reso uno dei migliori atleti della sua generazione. In quella straordinaria versione di sé, ai limiti dell’onnipotenza, Cavani è riuscito a replicare ciò che era stato al Napoli in termini di centralità e responsabilità, però in un contesto più esigente, con maggior pressione e prospettive più ambiziose. I numeri di quella stagione sono imbarazzanti: 49 gol in 50 presenze stagionali, otto in otto partite di Champions League, sei in altrettante presenze nelle coppe nazionali e 35 in 36 partite di Ligue 1. Curiosamente, però, ad aggiungere altro guacamole al senso di incompletezza della sua avventura a Parigi c’è proprio quell’annata: è l’unica in cui il Psg riesce a perdere la Ligue 1 dal 2013 a oggi, in favore del Monaco di Falcao e Mbappé. Per la dirigenza del Paris Saint-Germain, è un segnale chiaro e non equivocabile: Cavani, da solo o comunque come uomo-franchigia, non poteva bastare. Non poteva portare il peso di una squadra che voleva essere primissimo livello.

Nell’incredibile notte di Barcellona dell’8 marzo 2017, quando i blaugrana recuperano nei minuti finali il 4-0 del match d’andata ed eliminano il Psg battendolo 6-1, Cavani segna la rete della squadra parigina, ma se ne divora un’altra con un errore davvero incredibile a tu per tu con ter Stegen (Michael Regan/Getty Images)

Quindi neanche una stagione così straordinaria ha elevato Cavani al livello che ci saremmo aspettati. Forse lo stesso Psg non era abbastanza grande per consentirgli quell’upgrade, o forse il club parigino non era ancora pronto, come sembra non esserlo anche adesso, nella confusione di un progetto dalle potenzialità sconfinate ma mai sfruttate per davvero. Non è detto che la scelta di andare a Parigi, nel 2013, sia un errore di Cavani in senso assoluto. Ma forse restare al Psg così a lungo non lo ha aiutato, di sicuro non gli è bastato.

Nell’estate del 2014, quella immediatamente successiva al passaggio di Cavani in Francia, il suo connazionale Luís Suárez si è trasferito dal Liverpool – non ancora la squadra cool e fortissima di oggi – al Barcellona, e in Catalogna è riuscito a dare uno slancio completamente diverso alla sua carriera, mostrando di aver le qualità per dominare anche in Europa. Sempre nella stessa estate, Robert Lewandowski ha lasciato il Borussia Dortmund per unirsi al Bayern Monaco, una squadra egemonizzata dalla presenza di Ribery e Robben, in cui però il polacco ha saputo adattarsi fin da subito; con il passare degli anni, i due laterali offensivi gli hanno passato il testimone, e lui è diventato il centro di gravità della squadra e dell’intero progetto del club, costruendosi un percorso di crescita individuale che l’ha portato ad essere il volto più riconoscibile del club e forse anche dell’intera Bundesliga.

Con la maglia dell’Uruguay, Cavani ha segnato 50 reti in 116 partite; ha vinto la Coppa America del 2011 e ha partecipato a tre edizioni della Coppa del Mondo, nel 2010, 2014 e 2018 (Photo by Michael Steele/Getty Images)

Cavani non ha mai avuto un’occasione di questo tipo. Certo, ha riempito la propria bacheca con 21 titoli in sette stagioni (sei Ligue 1, quattro Coppe di Francia, cinque Coppe di Lega e sei Supercoppe nazionali), è diventato il miglior marcatore della storia del Psg (200 reti in 301 partite), ma forse avrebbe sarebbe dovuto anticipare un po’ il suo addio a Parigi. Forse, proprio nell’estate del 2017, avrebbe dovuto intuire che il Parco dei Principi non era più il suo mondo, che il Psg non avrebbe più trovato il tempo e il modo il modo di valorizzare un giocatore straordinario, privandoci e privandolo della possibilità di capire fin dove poteva arrivare un attaccante con quel tipo di atletismo abbinato a capacità realizzative fuori dal comune.

Oggi, a 33 anni e dopo due stagioni in cui la condizione fisica ha iniziato a mostrare qualche crepa – 38 partite saltate in totale da agosto 2018 a gennaio 2020 –, la versione di Cavani della stagione 2016/17 sembra lontana, non più replicabile. Forse l’uruguaiano ha perso l’occasione di diventare il centravanti titolare di una squadra al top in Europa: lo stesso Paris Saint-Germain – che non è il Real Madrid, il Barcellona, il Liverpool, la Juventus – gli ha preferito Icardi, una punta molto diversa, ma pure più giovane e probabilmente più adatta a fare da complemento a Neymar e Mbappé.

Nella stagione in corso, che in Francia è stata definitivamente interrotta durante il lockdown, Cavani ha disputato solo 12 partite da titolare, per un minutaggio totale di 1096′ di gioco; le reti realizzate sono sette in tutte le competizioni (Bertrand Guay/AFP via Getty Images)

Ora l’uruguaiano dovrà accettare un inevitabile ridimensionamento: se ragionerà in un certo modo, perderà qualcosa in termini di status, cioè dovrà ritagliarsi uno spazio da riserva alle spalle di un attaccante più completo e più moderno; oppure dovrà rinunciare a un po’ di ambizione, magari accettando di trasferirsi in una squadra che non gli permetterà di competere per la Champions League, rinunciando definitivamente a quel trofeo che a Parigi non è riuscito a raggiungere – non ci è andato nemmeno vicino, in verità.

Non a caso, tra le possibili destinazioni dell’uruguaiano ci sono l’Atlético Madrid, in cui dovrebbe dividere i minuti e il campo con Morata; l’Inter, dove si troverebbe a fare da spalla a Lukaku, che rimarrebbe l’attaccante più importante del club; il Tottenham, che cercherà un backup di Kane; magari un club con un progetto tutto nuovo, per esempio il Newcastle in caso di arrivo di una nuova proprietà, una società ambiziosa che però non potrebbe acquistare attaccanti – e giocatori – di livello superiore. Insomma, Cavani potrebbe ancora avere picchi di rendimento molto alti per un paio di stagioni, ma ormai anche i segnali che arrivano dal mercato suggeriscono che difficilmente potrà reggere ancora il peso e l’onere di essere l’uomo-copertina di una squadra di vertice. Quell’occasione è sfumata negli anni. È sfumata a Parigi, dove ha dimostrato di essere un attaccante speciale, ma forse non così tanto come ci saremmo aspettati, come avremmo voluto.