Cosa sta costruendo Ancelotti all’Everton

L'ex allenatore del Milan e del Napoli è l'uomo-immagine di un progetto ambizioso, dentro e fuori dal campo.

In un’intervista rilasciata al Guardian in cui ha parlato di tanti temi importanti, a partire delle proteste antirazzismo negli Stati Uniti, Carlo Ancelotti ha spiegato cosa l’ha spinto ad accettare l’offerta dell’Everton, una squadra che non ha mai partecipato alla Champions League moderna – nel 2005/06 è stata eliminata ai preliminari, per trovare l’apparizione precedente occorre tornare indietro fino alla Coppa dei Campioni 1970/71 – e che si trova nella seconda metà della classifica in Premier League: «Avevo tanta voglia di tornare a lavorare in Inghilterra, ma soprattutto sono stato attratto da un progetto proiettato nel futuro: l’obiettivo è competere con i club più forti, ci sono giocatori giovani e interessanti, stiamo pianificando il nuovo stadio, la società ha intenzione di investire sul mercato per crescere in maniera esponenziale nei prossimi anni».

Nelle parole di Ancelotti c’è tutto quello che serve per capire dove sta andando, o meglio dove vuole andare, l’Everton. L’idea del secondo club di Liverpool – ma solo per blasone e numero di trofei conquistati, dato che i Toffees sono stati fondati quattordici anni prima del Liverpool FC – e dei suoi dirigenti è quella di sfruttare il contesto della Premier League, l’appeal economico, commerciale del calcio inglese: il proprietario della società, l’imprenditore anglo-iraniano Farhad Moshiri, ha acquistato la maggioranza delle quote nel 2016, dopo aver fatto parte per un decennio del consiglio di amministrazione dell’Arsenal insieme al socio in affari Alisher Usmanov – alleato politico di Putin, ex direttore generale di Gazprom Invest e presidente della Federazione internazionale di scherma. Moshiri ha un patrimonio di 2,5 miliardi di dollari – secondo Forbes occupa la posizione 950 nella classifica degli uomini più ricchi del mondo – ed è come avesse vissuto un apprendistato nell’ombra: ha sviluppato rapporti importanti, ha coltivato le conoscenze necessarie per diventare attore protagonista, per acquistare una società storica del calcio inglese, ponendosi l’obiettivo di farla tornare ai massimi livelli.

Nei primi quattro anni come proprietario dell’Everton, Moshiri ha investito circa 400 milioni di euro. Un impegno che ha portato risultati evidenti soprattutto dal punto di vista finanziario: gli introiti commerciali della società sono aumentati del 90%, mentre nello stesso periodo la crescita media delle società di Premier League è stata del 20%. Certo, l’Everton partiva da condizioni svantaggiose rispetto ad altri club più ricchi e strutturati, ma ora ha il 19esimo fatturato più alto in Europa – 213 milioni di euro secondo la Deloitte Football Money League 2020 – nonostante non sia mai andato oltre il settimo posto in classifica, mentre nell’unica avventura in Europa League, che risale alla stagione 2017/18, è stato eliminato nel girone che comprendeva Lione e Atalanta. Forse anche per questo è arrivato il momento di entrare nella seconda fase del progetto.

Ancelotti è stato scelto come garante tecnico e d’immagine per questo nuovo corso, The Athletic ha parlato di lui come del «manager “stie Hollywood” che l’Everton e soprattutto Moshiri aspettavano da anni, e non a caso ha firmato un contratto di quattro stagioni e mezzo». All’ex allenatore del Napoli è stata affidata una missione complessa ma molto stimolante: dovrà guidare la ristrutturazione della squadra sul campo e sul mercato, e nel frattempo dovrà anche gestire anche il passaggio di stato del brand-Everton a un livello più alto, una transizione che si sublimerà nella costruzione del nuovo stadio. Il progetto è parte di un piano molto ampio, che ha un nome evocativo – The People’s Project – e ha l’obiettivo di riqualificare l’intera area del Bramley-Moore Dock, un bacino sul porto di Liverpool a meno di due miglia di distanza da Goodison Park, la storica casa dei Toffees.

L’impianto avrà un costo di circa 500 milioni di sterline, potrà ospitare circa 52mila persone e l’inaugurazione era stata messa in calendario alla vigilia della stagione 2023/24 – almeno prima della pandemia. Il Coronavirus potrebbe dilatare un po’ i tempi, ma alcune fonti interne e/o vicine all’Everton hanno dichiarato che «costruire il nuovo stadio era una priorità prima dell’emergenza e lo sarà ancor di più quando torneremo alla normalità. Anzi, alcuni costi, per esempio quelli legati all’acciaio, potrebbero ridursi a causa della crisi, e poi gli imprenditori interessati al progetto e le banche potrebbero dedurre che questo è il momento migliore per un investimento a lungo termine, e che sarà sicuramente molto redditizio».

Inaugurato nel 1892, Goodison Park è uno stadio dalla capienza ridotta, soprattutto per un club che ha un progetto ambizioso: può accogliere poco meno di 40mila persone (Jan Kruger/Getty Images)

Tutti i tasselli del mosaico extra-campo sembrano essere stati scelti e predisposti in maniera accurata, ambiziosa. Poi c’è la squadra, che anche prima dell’arrivo di Ancelotti aveva mostrato di aver un’identità ben definita, a livello tattico se non addirittura culturale. È stato lo stesso manager emiliano a esplicare questo concetto in un’intervista rilasciata a Jamie Carragher, ex terzino del Liverpool e ora analista calcistico del Telegraph: «Quando arrivi in una nuova squadra, devi scegliere il gioco che si adatta meglio al suo contesto: a Milano, Madrid o Barcellona, per esempio, sai già che tipo di calciatori troverai, cosa piace al pubblico, cosa vuole la società. All’Everton c’è una tradizione diversa, poi ci sono gli uomini adatti per risalire il campo con delle palle lunghe, e anche i tifosi si esaltano con questo tipo di gioco. Quindi perché non provare ad attaccare velocemente, a farlo in verticale? L’ho detto ai miei giocatori prima della partita contro il Manchester United: “Lanciamo in avanti e combattiamo sulle seconde palle, così coinvolgeremo la folla”. È andata proprio in questo modo».

Ancelotti ha assecondato gli stimoli intorno a lui, non ha stravolto l’Everton, anzi ha finito per esasperare i punti di forza ma anche le mancanze dei Toffees: da quando è arrivato il tecnico emiliano, per esempio, Dominic Calvert-Lewin è diventato un centravanti a tutti gli effetti e ha migliorato tantissimo il rendimento in area avversaria, laddove riesce a imporre la sua particolare fisicità, fatta di potenza e scatti brucianti – è alto 187 centimetri ma non è un centravanti di stazza, infatti pesa solamente 65 kg. Grazie anche alla fantasia e all’imprevedibilità di Richarlison, utilizzato come seconda punta, l’attaccante cresciuto nello Sheffield United ha segnato otto volte in tredici partite di Premier League, una cifra mai toccata in tutte le quattro stagioni precedenti a Goodison Park.

Dominic Calvert-Lewin è passato all’Everton nell’estate 2016, dopo aver fatto l’intera trafila giovanile nello Sheffield United; Richarlison, brasiliano dell’Espírito Santo (uno stato nel Sud-Est del Paese), si è unito ai Toffees nell’estate 2018, dopo una buona stagione al Watford (Jan Kruger/Getty Images)

Per azionare la coppia offensiva, formata dai due giocatori migliori della rosa, Ancelotti ha messo a punto un sistema abbastanza scolastico: difesa a quattro, due centrocampisti centrali e due laterali offensivi con caratteristiche differenti. I giocatori più utilizzati in questi slot sono Walcott e Bernard, ma spesso anche Sigurdsson è stato adattato sulla sinistra; sulle corsie, inoltre, Ancelotti ha lanciato anche il giovane Gordon, prodotto del vivaio, e nelle ultime partite ha inserito il nigeriano Iwobi, uno dei grandi investimenti della sessione di trasferimenti estiva – 30 milioni versati all’Arsenal per rilevare il suo cartellino– rimasto fermo a lungo a causa di un infortunio.

Il 4-4-2 di Ancelotti è molto ambizioso in tutte le fasi di gioco, anche perché il tecnico emiliano ha a disposizione Yerri Mina, Holgate, Keane, Sidibé, tutti difensori dinamici, che preferiscono accorciare il campo e pressare in alto, esattamente come gli attaccanti e gli esterni offensivi. Questo approccio aggressivo, unito alla qualità non proprio eccelsa del reparto arretrato, ha reso perforabile l’Everton soprattutto in trasferta: dal Boxing Day a oggi, i Toffees hanno incassato sedici gol in dodici partite, di cui addirittura 13 in sei gare disputate lontano da Goodison Park. Gli elementi più cerebrali della rosa vengono schierati nel cuore del centrocampo: all’inizio della sua avventura all’Everton, Ancelotti ha utilizzato soprattutto Delph e Schnederlein come interni, ma nelle ultime partite la scelta è ricaduta su André Gomes – recuperato dopo il grave infortunio patito a novembre – e sul giovane Tom Davies, 21enne prospetto cresciuto nell’Academy, un centrocampista che incede in maniera elegante, apparentemente imperturbabile nel suo modo di giocare, dotato di grande sensibilità tecnica e di una spiccata propensione al dialogo nello stretto.

Tom Davies, qui immortalato in un derby contro il Liverpool a Goodison Park, ha esordito in prima squadra nella stagione 2016/17; da allora, ha accumulato 112 presenze e sei gol in tutte le competizioni (Julian Finney/Getty Images)

Secondo Ancelotti, Davies appartiene a un gruppo di giovani «che possono diventare giocatori fantastici». Ed è proprio da qui, dai vari Carter-Lewin (23 anni), Kean (20), Holgate (23) che partirà la costruzione del prossimo ciclo. L’ambizione dell’Everton è creare una struttura di alto livello intorno a dei punti fermi già individuati e messi al centro del progetto: un allenatore totem di grande esperienza e una squadra dinamica, dal gioco irriverente e spettacolare, fondata sui giovani. Da qui partirà per il prossimo step, che prevede acquisti importanti e mirati, così da poter aspirare a un posto in Champions League, il grande obiettivo della prossima stagione, già fissato pure da Ancelotti.

Le strategie extracampo sono attuate con lo stesso principio: al centro di tutto c’è il progetto del nuovo stadio, ma nel frattempo la società ha annunciato un accordo da nove milioni di euro con Hummel, kit supplier danese che tornerà in Premier dopo aver lavorato, negli anni Ottanta, con Tottenham e Aston Villa. Anche il main sponsor cambierà: il contratto sottoscritto nel 2017 con SportPesa sarebbe dovuto durare fino al 2022, solo che la dirigenza ha riscritto al rialzo le sue strategie commerciali, e così ha deciso di interrompere il rapporto con due anni d’anticipo. Ora è alla ricerca di un’azienda disposta a investire di più nel brand Everton, a credere in un progetto di crescita portato avanti a più livelli, in maniera coerente, razionale. E che sembra aver tracciato la strada migliore possibile per il futuro del club.