Perché Klopp ha cambiato il Liverpool per sempre

Non è solo una questione di vittorie: i meritati successi dei Reds sono il frutto di un lavoro che ha dato una nuova identità al club. E che sopravviverà nel tempo.

Una delle cose più amate da chi gioca davvero a Football Manager è la sua profondità, il fatto che garantisca un livello di realismo – o meglio: di aderenza con la realtà – che appartiene a pochissimi altri giochi sportivi. Come nel calcio vero, il manager può curare il progetto tecnico di una società di calcio in tantissimi aspetti, in pratica costruisce l’identità del club in accordo con la dirigenza “virtuale”; questa identità influenza e indirizza le scelte relative alla tattica di gioco, al modello di scouting e di reclutamento, alla composizione dello staff tecnico, all’interazione tra prima squadra e settore giovanile. Si parte da qui per raggiungere gli obiettivi sul campo, e ovviamente una programmazione molto accurata, proprio come nella vita reale, dà maggiori possibilità di arrivare al successo in tempi più brevi, e in maniera più facile.

In virtù di tutto questo, chi gioca davvero a Football Manager avrà avuto un sussulto di gioia e di invidia quando il Liverpool di Jürgen Klopp ha vinto la Premier League. Il motivo è semplice: si è trattato di un déjà-vu, è come se Klopp avesse riprodotto le dinamiche di un gioco, anzi del gioco, nella realtà, costruendo con i Reds un percorso simile a quelli che portano alla vittoria in-game. Il suo è stato – ed è – un progetto perfetto e completo, che ha trasformato in maniera graduale, ma inarrestabile, il Liverpool. Oggi i Reds non sono solo una delle squadre più forti e riconoscibili del pianeta, ma hanno anche un domani ben delineato: hanno acquistato e valorizzano giocatori giovani, rappresentano un brand dal potenziale economico enorme, hanno un legame intensissimo, quasi tribale, con la comunità della Merseyside, ma al tempo stesso la società è strutturata in maniera moderna, le strategie commerciali e mediatiche sono proiettate nel futuro, e sfondano in tutto il mondo.

Tutto questo era già stato immaginato e annunciato molto chiaramente da Klopp: il tecnico tedesco era convinto che le cose potessero andare così, così bene, fin dal suo arrivo ad Anfield. Durante la prima conferenza stampa come manager dei Reds, l’8 ottobre del 2015, si disse «certo che tra quattro anni avremo vinto un titolo, se faremo le cose come si deve». Anche questa è un’analogia con Football Manager: nel gioco, le società concedono un tempo massimo all’allenatore-utente per raggiungere un certo obiettivo sul campo. Klopp ce l’ha fatta, ha rispettato perfettamente le scadenze che lui stesso aveva indicato, e che presumibilmente aveva indicato pure alla dirigenza: quattro anni per vincere la Champions, cinque per trionfare in Premier League.

Klopp non è stato un testardo e incorruttibile idealista, non ha provato a trasformare il Liverpool in una copia-carbone del suo Borussia DortmundPer riuscirci, come detto, ha ristrutturato il Liverpool scendendo in profondità, l’ha potenziato dopo aver capito cosa serviva, dove intervenire, cosa correggere. Anche nel suo stesso approccio. Nel corso degli ultimi cinque anni, lui i Reds hanno dovuto fare i conti con momenti difficili e sconfitte durissime, hanno commesso errori, sono stati costretti – dal mercato, soprattutto – a riscrivere in itinere alcune parti del proprio progetto, a inventarsene di nuove. Quest’ultimo aspetto è molto importante: Klopp non è stato un testardo e incorruttibile idealista, non ha provato a trasformare il Liverpool in una copia-carbone del suo Borussia Dortmund – il club che ha guidato dal 2008 al 2015, che aveva condotto alla finale di Champions (nel 2013) e con cui ha vinto per due volte la Bundesliga (nel 2011 e nel 2012). Dal punto di vista tattico, i Reds che hanno vinto la Premier League 2019/20 sono una squadra decisamente più sofisticata: alcuni principi sono rimasti inalterati – per esempio la grande efficacia del pressing e degli attacchi in transizione, la tendenza a imporre ritmi altissimi alle partite – ma con il tempo il Liverpool ha imparato a gestire il gioco in maniera più cerebrale, meno frenetica, per esempio attraverso il controllo del pallone. Non a caso, nella prima stagione di Klopp ad Anfield Road, la percentuale media di possesso dei Reds era poco sotto il 55%; oggi il dato relativo ai match di Premier League è del 60%, mentre nella Champions League 2019/20 è arrivato a sfiorare il 63%.

Virgil van Dijk è il difensore più costoso nella storia del calcio: per acquistarlo, il Liverpool ha versato circa 85 milioni di euro nelle casse del Southampton. Ad oggi, è anche il giocatore di Premier che effettua più passaggi in assoluto, 87 per partita (Adrian Dennis/AFP via Getty Images)

Klopp è stato scaltro e lungimirante, ha compreso l’evoluzione del gioco, ha capito che una grande squadra moderna è obbligata a possedere, a padroneggiare, tanti strumenti diversi. Allo stesso modo, però, ha saputo dosarsi bene, ha fatto in modo che la sua visione non scomparisse del tutto, piuttosto l’ha modellata rispetto a un nuovo contesto: Jonathan Wilson ha scritto sul Guardian che «il gioco del Liverpool è impostato perché venga enfatizzata l’importanza del pressing, perché i risultati premino la squadra più fisica, non quella più tecnica». Alla fine è andata proprio in questo modo, al termine di un percorso coerente ma tortuoso, portato avanti con insistenza. Ma pure modificato nel corso del tempo.

Non è un impatto che riguarda soltanto il campo, ma anche, per esempio, le politiche relative al calciomercato: il grande protagonista della prima qualificazione in Champions League, raggiunta nella stagione 2016/2017, è stato Philippe Coutinho, grazie a 13 gol e sette assist in 31 gare di Premier League. Proprio nell’estate del 2017 il fantasista brasiliano espresse il desiderio di andare al Barcellona, allora il board del Liverpool – composto da Mike Gordon, presidente del fondo proprietario Fenway Sports Group (FSG), dal direttore sportivo Michael Edwards e dallo stesso Klopp – decise di accontentare il giocatore, a patto che il trasferimento avvenisse solo a gennaio, nella sessione invernale, così che nel frattempo la squadra potesse essere preparata al suo addio, in qualche modo.

Klopp è stato scaltro e lungimirante, ha compreso l’evoluzione del gioco, ha capito che una grande squadra moderna è obbligata a possedere, a padroneggiare, tanti strumenti diversiCome ha raccontato The Athletic, fu proprio il manager tedesco a «vedere un’opportunità tecnica ed economica nella cessione di Coutinho: Klopp sapeva che il Barcellona poteva spendere una cifra enorme per acquistare il brasiliano, inoltre era convinto che la sua squadra rischiasse di diventare troppo prevedibile, perché fino a quel momento il suo gioco era troppo legato a Coutinho e alla sua creatività. Inoltre, il giocatore voleva davvero lasciare Liverpool, sembrava disposto a tutto pur di unirsi al Barcellona. Così Klopp cambiò il sistema di gioco, passando al 4-3-3: quella modifica tolse centralità a Coutinho, a gennaio 2018 arrivò un’offerta superiore ai 150 milioni di sterline dal Barcellona, e così tutti raggiunsero il loro obiettivo». Nel frattempo, Salah si era rivelato un attaccante devastante nel nuovo sistema di gioco di Klopp, si era integrato perfettamente in un Liverpool che parlava una lingua diversa rispetto alla stagione precedente, in cui tutti i giocatori erano più responsabilizzati dal punto di vista tattico e tecnico. In questo modo, i Reds hanno incassato una somma enorme dopo aver valorizzato un giocatore e aver creato i presupposti per sostituirlo senza traumi. Quella stessa cifra, dopo, hanno saputo reinvestirla.

Con la maglia del LIverpool, Momo Salah ha accumulato un totale d 92 gol in 145 partite di tutte le competizioni (Laurence Griffiths/Getty Images)

La gestione dell’addio di Coutinho racconta come Klopp e il Liverpool abbiano saputo adattarsi agli eventi, è il prologo delle mosse che hanno portato i Reds a giocare due finali di Champions League in due anni, e poi a vincere la Premier League: i soldi incassati dal Barcellona sono serviti per acquistare prima Virgil van Dijk e poi Alisson, due giocatori perfetti per una squadra che sa e vuole tenere molto il pallone, che sa e vuole difendere in maniera ambiziosa, rischiosa, e che ama attaccare con accelerazioni improvvise. Erano i giocatori che mancavano a Klopp, due top player di livello assoluto che sono arrivati a Liverool nonostante il club abbia gestito il mercato in maniera oculata, bilanciando cioè entrate e uscite: dal 2016 a oggi, secondo Transfermarkt, il club della Merseyside ha investito 446 milioni in acquisti e ne ha incassati 361 dalle cessioni. È così che i Reds sono saliti di livello sul campo, poi le vittorie hanno fatto crescere anche il fatturato (da 390 milioni del 2016 a 604 nel 2019, secondo i dati di Deloitte) e il peso dei Reds sul mercato: un club che viveva nella terra di mezzo, che alcuni giocatori vedevano come tappa intermedia prima di unirsi a società più ricche – era successo con Suárez e Sterling, tra gli altri, prima di Coutinho –, ora può legittimamente aspirare all’acquisto di Mbappé. Anzi, l’attaccante francese è considerato uno dei pochissimi asset che potrebbero far crescere davvero l’ingranaggio perfetto costruito da Klopp, così come l’appeal del brand-Liverpool.

Virgil van Dijk e Alisson erano i giocatori che mancavano a Klopp, due top player di livello assoluto che sono arrivati a Liverpool nonostante il club abbia gestito il mercato in maniera oculata, bilanciando entrate e usciteLe operazioni che hanno portato Van Dijk e Alisson ad Anfield Road sono solo la punta di un iceberg che ha una parte sommersa molto più grande, e perciò estremamente significativa. Tutte le scelte strategiche attuate negli ultimi anni hanno assecondato il lavoro di Klopp, una sorta di trasposizione calcistica del “trust the process”, il programma di rebuilding di Sam Hinkie, general manager dei Philadelpia 76ers a partire dal 2012: se Van Dijk ha sigillato la difesa e Alisson è servito per rimpiazzare un giocatore di livello medio come Karius – senza rinunciare ad avere un portiere bravo con i piedi – l’arrivo di Fabinho ha dato al centrocampo l’ultima mano di fisicità necessaria per compensare le qualità iperoffensive di terzini come Alexander-Arnold e Robertson; Firmino, Mané e Wijnaldum sono cresciuti in maniera esponenziale nel sistema di Klopp, insieme ai senatori Henderson, Milner, Lallana; Shaqiri, Keita e Minamino, in anni diversi, sono arrivati come fit complementari degli elementi titolari, e hanno avuto un rendimento perfetto in questo senso; per sostenere questi investimenti, sono stati ceduti altri giocatori interessanti oltre Coutinho, per esempio il giovane Dominic Solanke, oppure elementi valorizzati da stagioni in prestito in altri club come Danny Ings e Ryan Kent; anche altri affari gestiti in maniera apparentemente “sbagliata”, come l’addio di Emre Can a parametro zero, sono stati vissuti e metabolizzati come tappe di avvicinamento al successo finale.

Georginho Wijnaldum è arrivato a Liverpool nell’estate del 2016, insieme a Sadio Mané: sono stati i primi acquisti effettuati da Klopp pre il tronco titolare del Liverpool (Clive Brunskill/Getty Images)

Anche il lavoro interno al Liverpool ha rispettato questi principi: l’organizzazione e la pianificazione hanno interessato tutti i reparti del club, a partire dal monitoraggio del settore giovanile. È così che Klopp ha intercettato il potenziale di Alexander-Arnold, adattando poi il sistema di gioco del Liverpool alla sua rivoluzionaria interpretazione del ruolo di laterale difensivo, alla sua capacità di fare regia partendo largo sulla fascia destra; sempre riguardo l’Academy, negli ultimi anni sono arrivati giocatori molto giovani e promettenti, per esempio Harvey Elliott e Sepp van den Berg, che in futuro potranno seguire le orme di Joe Gomez e Robertson – acquistati dal Charlton e dall’Hull City, e poi diventati giocatori fondamentali – oppure saranno degli asset da valorizzare sul mercato. Allo stesso modo, anche la composizione dello staff tecnico ha assecondato i bisogni della squadra, della società: il tattico Pep Lijnders, arrivato nel 2018 dal NEC, è stato definito «l’erede di Klopp» dal giornale spagnolo Panenka; la nutrizionista Mona Nemmer, “prelevata” dal Bayern Monaco durante la prima stagione di Klopp, «è stata considerata alla stregua di una figura materna da alcuni giocatori, tra cui soprattutto Adam Lallana, per l’impatto che ha avuto sul loro benessere», secondo il racconto del Guardian; il preparatore atletico Andreas Kornmayer viene chiamato «sergente istruttore» dallo stesso manager tedesco, che l’ha voluto a tutti i costi al suo fianco perché lo riteneva uno dei segreti del Bayern Monaco campione d’Europa nel 2013 – dopo la finale contro il Borussia Dortmund.

Anche il New York Times ha celebrato il successo del Liverpool, e l’ha fatto elogiando la figura e il lavoro rivoluzionario di Klopp, con un parallelismo storico calzante, anche se forse irriverente: «Klopp ha letteralmente ricostruito il Liverpool. Forse sarebbe più giusto e naturale rimanere ad Anfield Road, e quindi paragonare il suo impatto sul club con quello dai suoi grandi predecessori, per esempio Bill Shankly e Bob Paisley. In realtà, però, il manager più vicino a lui è Arsène Wenger: se oggi l’Arsenal è una grande società, lo deve alla sua rifondazione negli anni Novanta e Duemila. Esattamente come il Liverpool, un club da modernizzare e che è stato modernizzato nel nome di Klopp, secondo le sue idee». Il punto è proprio questo: Klopp ha vinto due grandi trofei, ma il paradosso è che questo aspetto si esaurirà a partire dalla prossima stagione, quando i Reds proveranno a vincere di nuovo, come impone la ciclicità del calcio. Il percorso che ha portato a questi successi, invece, resterà e caratterizzerà il Liverpool per tanti anni a venire, perché il manager tedesco ha dato una nuova identità a un grande club, ha creato qualcosa che sopravviverà al suo stesso ciclo. La cosa più grande e più bella da fare, ma anche più rara e difficile, per un allenatore di calcio.