Come ci è finito il Deportivo La Coruña in terza divisione?

La profonda crisi economica che ha attanagliato il club negli ultimi quindici anni è diventata una crisi tecnica irreversibile.

C’è stato un momento, tra gennaio e febbraio 2020, in cui le cose sembravano poter andare diversamente, per il Deportivo La Coruña: in quel periodo, i galiziani infilano sette vittorie consecutive in Segunda División e si attestano a metà classifica, quattro punti sopra la zona retrocessione ma anche a sette punti da quella playoff. Soprattutto, il Depor sembrava essersi messo alle spalle un inizio di stagione davvero tragico, caratterizzato da una sola vittoria nelle prime 15 giornate.

Poi, però, le cose sono andate di nuovo male, fino all’incredibile – e discusso – epilogo del 20 luglio, quando le vittorie del Lugo e dell’Albacete hanno sancito la retrocessione matematica di una squadra che non ha potuto disputare la sua partita contro il Fuenlabrada – perché nella squadra avversaria sono stati riscontrati dei casi di Coronavirus. Proprio da qui sono scoppiate le polemiche: il presidente del Deportivo, Fernando Vidal, ha dichiarato che la scelta di far disputare comunque le altre gare dell’ultimo turno di campionato ha provocato «una totale alterazione dei principi di competizione sportiva» e che il suo club «non si sente retrocesso». Secondo le ultime indiscrezioni arrivate dalla Spagna, il Depor avrebbe deciso di non presentarsi in campo quando recupererà la gara contro il Fuenlabrada e si batterà in tribunale perché la prossima edizione della Segunda División sia a 24 squadre e non più a 22. Il Fuenlabrada, da parte sua, ha tutto l’interesse del mondo a giocare la partita che manca per completare la stagione: in caso di vittoria, il club della periferia di Madrid accederebbe ai playoff scalzando l’Elche.

Al netto di questo finale a dir poco turbolento, la notizia del Deportivo La Coruña resta una notizia importante. Anzi, è un fatto storico: il Depor è l’unica squadra che ha giocato una semifinale di Coppa dei Campioni/Champions League – i galiziani ci sono arrivati nel 2004, dopo aver eliminato Juventus e Milan – che milita attualmente in una terza categoria nazionale. Inoltre, parliamo di una società che ha vinto il – primo e unico – titolo nazionale piuttosto di recente, nel 2000, e che appena due anni fa era in Liga. E poi è una questione di blasone, di bacino d’utenza: il Deportivo rappresenta una provincia di 1,2 milioni di abitanti, è una squadra che ha sempre avuto un ruolo di primo piano nelle gerarchie del calcio spagnolo, e che negli anni Novanta riuscì a costruire un progetto vincente, fino alla vittoria della Liga. Proprio quel periodo, però, ha pesato in maniera determinante sulla storia della società: ancora oggi, infatti, il bilancio del Depor paga gli investimenti senza garanzie e coperture di Augusto César Lendoiro, presidente del club fino al 2013, che hanno portato a una crisi economica mai davvero risolta, e successivamente al crollo della squadra. La prima retrocessione dalla Liga è arrivata nel 2011, poi di nuovo nel 2013 e nel 2018.

La stagione da incubo della retrocessione in Segunda División B – il Depor non giocava in terza serie dal 1975 – è stata segnata dall’instabilità: il presidente Paco Zas aveva già annunciato il suo desiderio di lasciare la carica, e infatti ha passato la mano prima a Juan Antonio Armenteros e poi a Fernando Vidal. Anche in campo è andata più o meno allo stesso modo: sulla panchina di un Riazor sempre meno popolato anche prima del lockdown – la media prima dello stop per la pandemia era di 17mila spettatori in uno stadio che può ospitarne circa il doppio – si sono alternati tre allenatori diversi, Anquela, Luis César e Fernando Vázquez, che non sono riusciti a trovare il sistema giusto per far rendere una rosa dal valore non certo eccelso (14,5 milioni secondo Transfermarkt), ma che comunque aveva richiesto un budget per gli stipendi di buon livello per la categoria (11 milioni) e quindi non era assolutamente candidata alla retrocessione – sempre secondo i dati di Transfermarkt, il Fuenlabrada ancora in corsa per la promozione ha un organico dal valore poco più alto di 9,05 milioni.

In ogni caso, i tecnici e gli stessi giocatori non possono essere biasimati troppo per il loro scarso rendimento: il Deportivo non ha una guida ma soprattutto non ha un progetto, anche perché ha le mani legate da un accordo di ripianamento debiti con il fisco spagnolo che scadrà solo nel 2048, e da un altro prestito da 59 milioni di euro sottoscritto con l’istituto di credito galiziano Abanca. I ricavi commerciali e televisivi sono crollati dopo la retrocessione di due anni fa, quindi la situazione è peggiorata ulteriormente. Ora è arrivato il colpo di un’altra retrocessione ancora più drammatica, che ha sancito come peggio non si poteva la fine di un decennio negativo. Ma in realtà il problema vero è che si tratta di un evento potenzialmente devastante per i conti: stando ai numeri, anche una sola stagione in Segunda División potrebbe mettere in discussione l’esistenza stessa di una società fondata nel 1906 e mai caduta così in basso, soprattutto a livello gestionale.