L’Atalanta è già una big del calcio italiano?

Una squadra entusiasmante ha trascinato il progetto sportivo/economico del club: adesso i nerazzurri si giocano, in campo e fuori, il consolidamento del loro status.

C’è chi ha visto immediatamente, nel sorteggio del tabellone di una Champions mai anomala come quest’anno, una contrapposizione quasi identitaria: da un lato le nobili d’Europa, dall’altro le “arrampicatrici sociali” (sia detto nel senso meno dispregiativo del termine). Da un lato 26 Champions vinte, dall’altro zero. Atalanta, Psg, Atlético Madrid e Red Bull Lipsia – una di queste quattro squadre sarà in finale il 23 agosto a Lisbona: soltanto gli spagnoli hanno provato l’ebbrezza (tre volte) di arrivare all’atto finale della competizione. E in ogni caso, nessuno di questi club, dieci anni fa appena, avrebbe mai potuto pensare di essere qui, tra le migliori otto del continente.

L’ascesa di queste squadre ha avuto, come ovvio, motivi differenti, e input di diverso genere. Nel caso del Psg, l’arrivo del Qatar, che ha rilanciato le ambizioni del club nel modo più facile e immediato possibile, mettendo a disposizione uno spropositato accumulo di denaro; il Lipsia è stato favorito anch’esso da un progetto sportivo fondato sulla disponibilità economica, anche se in un senso decisamente opposto a quello del Psg, privilegiando la crescita in loco dei giovani talenti all’accaparrarsi i campioni più affermati; l’Atlético, che pure aveva una storia alle spalle rilevante, ha beneficiato della felice compenetrazione di allenatore fenomenale (Simeone) e brillante player trading, vincendo fin da subito. E l’Atalanta?

Il caso dei nerazzurri ha sicuramente alcune sfumature in comune con l’Atlético – l’arrivo di un allenatore con cui sviluppare un progetto nel tempo, la valorizzazione dei giocatori – ma non è certamente sovrapponibile a quanto costruito dagli spagnoli. Indubbiamente, per una diversa potenza di fuoco economica – ve la immaginate l’Atalanta spendere 126 milioni di euro per uno dei talenti più promettenti d’Europa? Vero è che l’Atlético ha costruito la sua forza economica e sportiva in anticipo rispetto all’Atalanta – e quindi arrivando prima alla possibilità di mettere in piedi operazioni di questo tipo – ma i modelli gestionali e i principi di business sono diversi. L’Atalanta è davvero un unicum nel panorama calcistico europeo.

La straordinarietà di quanto ottenuto nelle recenti stagioni dall’Atalanta – tre volte nella top 4 della Serie A negli ultimi quattro anni, due qualificazioni consecutive alla Champions League, i quarti da disputare nell’edizione attuale, una finale di Coppa Italia – è esaltata ancor di più dal fatto che all’origine del corso Gasperini non ci fosse nessun senso di grandezza, nessun’ambizione inconsueta: l’Atalanta veniva nelle precedenti due stagioni da un tredicesimo e un diciassettesimo posto, e l’arrivo dell’ex tecnico del Genoa presupponeva una crescita graduale, più volta a garantire stabilità e continuità tecnica che a costruire qualcosa di storico. Del resto, Gasperini inaugurò la prima stagione da allenatore nerazzurro (2016/17) con quattro sconfitte in cinque partite, senza che il preoccupante inizio innescasse la volontà di cambiare in fretta e furia.

Però adesso le ambizioni dell’Atalanta sono necessariamente cambiate, e non perché ci sia qualcuno che esiga questo: è un approdo naturale, dato dal fatto che, grazie a quanto costruito in questi anni, l’Atalanta è in linea con le possibilità e gli obiettivi sportivi ed economici di una squadra medio-grande. Ed eccoci arrivare alla questione: siamo di fronte a una nuova big del calcio italiano? Una squadra che possa lottare per i prossimi tre, cinque anni con continuità per le primissime posizioni del campionato, e magari fare bella figura anche in Champions?

L’Atalanta è in piena corsa per terminare il campionato al secondo posto: sarebbe record storico (Emilio Andreoli/Getty Images)

Il caso più simile e recente, se restiamo in Italia, è quello del Napoli: una squadra finita nelle secche delle serie inferiori e ritornata in Serie A con una competitività rinnovata, e che già con il ciclo Mazzarri si era abituata a stare tra le prime posizioni del campionato. Le tre Coppe Italia vinte con tre allenatori diversi, il ruolo di anti-Juve recitato più di ogni altro club negli ultimi anni, la capacità di attrarre giocatori e allenatori rinomati – da Benítez ad Ancelotti a Higuaín –, la possibilità di concludere investimenti danarosi, come l’acquisto di Lozano a circa 40 milioni. Il Napoli ha raggiunto uno status importante, anche se poi si devono fare i conti con un’avversaria fortissima – la stessa, da nove anni a questa parte – o con progetti tecnici naufragati anzitempo.

In questo momento, l’Atalanta è nel pieno della fioritura del suo progetto, le cui fortune sono nate sul campo, con il campo: Gasperini ha costruito la realtà che sicuramente esprime il miglior calcio della Serie A, con dei picchi realizzativi quasi sconosciuti – la quota di 100 gol segnati in un solo campionato è vicinissima, ed è un record dal 1951 in poi. La qualità del palleggio e l’intensità sono tutti ingredienti che fanno dell’Atalanta uno degli avversari più difficili da affrontare – «come andare dal dentista», disse Guardiola. E lo stupore che evoca ha tantissime varianti: per i 7 gol segnati in trasferta (due volte!), per un 5-0 al Milan, oppure per una partita allo Juventus Stadium praticamente dominata nel ritmo e nel predominio del campo, o addirittura per interpretazioni del gioco che sembrano arrivare dal futuro.

Gasperini è davvero il garante del successo sportivo dell’Atalanta, ma il club ha sviluppato una forza di sé e attorno a sé tale da far sembrare possibile un’Atalanta forte, competitiva, anche senza il Gasp. Forse non subito, ma tra qualche anno sì. Perché il modo in cui è stata costruita la rosa in questi anni è stato perfetto, perché le cessioni illustri non hanno mai pesato, perché i nerazzurri si sono potuti permettere di spendere 26 milioni per Zapata o 20 per Muriel. E di rinunciare a offerte per 50 milioni per il primo. La struttura della rosa non è più imperniata su alcuni giocatori simbolo: la qualità dell’Atalanta sta anche nella sua quantità, nel fatto che – soprattutto in tempi di campionato post-lockdown – Gasperini possa manomettere a piacimento la sua formazione iniziale senza che il “motore” perda di potenza. Se non c’è Zapata, c’è Muriel; se non c’è Ilicic, c’è Malinovskyi; se non c’è Palomino, c’è Caldara; se non c’è De Roon, c’è Freuler, e così via.

Duvan Zapata è il secondo miglior realizzatore dell’Atalanta in campionato dopo Luis Muriel: 17 centri fin qui (Miguel Medina/AFP via Getty Images)

L’Atalanta, secondo le stime Transfermarkt, è al settimo posto per valore della rosa in Serie A (266 milioni di euro): vuol dire, subito dietro alle squadre più ricche e importanti. È un dato che fa capire due cose sul club bergamasco: che si tratta di una realtà consolidata, sportivamente ed economicamente; che da qui ai prossimi anni ci sono tutte le condizioni per mettere la freccia e sorpassare. Se l’appeal di alcuni club “storici” del campionato rischia di ribassarsi, l’Atalanta è in netta controtendenza, e impilando qualificazione di Champions su qualificazione di Champions il trend è segnato. Il bilancio 2019 segna la cifra record di fatturato di 188 milioni di euro, con un utile di 26 milioni. È un valore ancora lontano dai primi della classe (soprattutto d’Europa), ma la miccia è stata accesa: da qui l’Atalanta deve proseguire per essere più forte e più ricca, per investire di più e avere più ritorno economico, per aprirsi a nuove opportunità commerciali, e così via. Ricordiamo anche che il Gewiss Stadium è di proprietà, che il club ha già fatto investimenti e lavori per rimodernarlo, e che rappresenta un asset di strategica importanza. Cosa non da poco, soprattutto in Italia.

Perciò l’Atalanta si trova davvero nel mezzo di un’ascesa straordinaria: può sembrare che la storia sia fantastica già così com’è, e invece i passi da fare sono ancora tanti. Se non si dovesse cogliere l’opportunità, il rischio è rimanere una bella favola di qualche anno prima di ritornare nell’anonimato, come accaduto spesso nel mondo del calcio. Ma il processo è avviato e le premesse ci sono tutte perché l’Atalanta sia stabile nell’élite del calcio italiano, e magari europeo: diventare una big è l’obiettivo più incredibile, e ora più vicino.