L’addio di Erling Haaland ha lasciato un’enorme voragine a forma di cavallo imbizzarrito al centro dell’attacco del Red Bull Salisburgo. Per quanto dolorosa e penalizzante sul breve termine, la partenza del norvegese verso Dortmund è stata accettata dalla squadra austriaca nell’ottica della politica del club, che persegue la continua rigenerazione della rosa. Una strategia resa possibile dall’afflusso di talento garantito da giocatori ancora semisconosciuti al grande pubblico, giovani dai nomi esotici che ricordano i regen della vecchia Master League oppure di Football Manager – per esempio il sudcoreano Hee-Chan Wang, il maliano Sekou Koita o il bosniaco Smail Prevljak. Il giocatore più pronto e più decisivo del lotto, almeno in questa stagione, è stato Patson Daka, attaccante zambiano di ventuno anni. La sua annata è stata davvero notevole: ha totalizzato 27 gol e 12 assist nelle 45 partite giocate dal Salisburgo in tutte le competizioni.
Nonostante abbia ereditato la maglia e il ruolo di Haaland, Daka ha rifiutato qualunque tipo di paragone o passaggio di consegna, dichiarando che «esistono un solo Haaland e un solo Daka». Anche perché è proprio vero, di Daka ce n’è uno solo: la sua storia è particolare, e il suo gioco è refrattario ai cliché. Per esempio, non parliamo della classica giovane promessa proveniente dall’Africa, del ragazzo che, grazie a un talento esplosivo ma poco rifinito, riscatta un’infanzia difficile. Il giovane Patson, infatti, è figlio di Nathali Daka, ala Zambiana di buon livello negli anni Novanta che ha militato nei Nitrogen Stars, squadra di Kafue. Inoltre, Daka si è risparmiato tutta una serie di paragoni e investiture pigre, tutte le solite etichette di “nuovo Eto’o” o “nuovo Drogba”. Per un motivo semplice: lo Zambia non ha mai fornito un attaccante di grande livello europeo, quindi Daka sta già diventando quello che Eto’o e Drogba sono stati per Camerun e Costa D’Avorio. Si tratta di una responsabilità enorme, che Patson gestisce con maturità e accetta con orgoglio: «Voglio che le madri mi indichino ai loro figli e dicano “devi diventare come lui”», ha detto in un’intervista.
A spingerlo, dice, sono la volontà di rappresentare il suo Paese e di far sì che sua madre non senta mai la mancanza di papà, morto prima di poter assistere alla scalata del figlio alle gerarchie del calcio europeo. Una scalata ancora in corso, iniziata in modo rocambolesco una decina d’anni fa, con un provino accettato quasi per caso, passata attraverso una Coppa d’Africa Under 17 in cui stregò Frederic Kanouté, e proseguita in Austria proprio grazie all’ex attaccante del Siviglia, che tramite la sua agenzia 12 Management lo consigliò al gruppo Red Bull.
Dopo il passaggio in Europa, è iniziata tutta la trafila nei club che appartengono al brand di energy drink: un periodo di ambientamento passato al Liefering (la squadra satellite del Salzburg) e poi il passaggio definitivo al Salisburgo, dove si è affermato praticamente fin da subito come uno dei giovani più interessanti del panorama europeo. C’è un detto zambiano che, tradotto in inglese, diventa “A footballer’s got to eat”. Un calciatore ha bisogno di mangiare, in pratica. Per Daka, il cibo principale, quello irrinunciabile, è il gol. I dati lo dimostrano: ha segnato un gol in Champions League e 26 tra campionato e Coppa d’Austria, e anche se queste competizioni sono di secondo livello la cifra resta di tutto rispetto.
Del resto lui è un vero predatore dell’area di rigore, può e sa segnare gol di puro opportunismo o in acrobazia, con missili nel sette o grazie a tocchi vellutati in area di rigore, sia di destro che di sinistro. La sua attitudine quasi primitiva alla finalizzazione del gioco si intuisce nei dettagli più piccoli: il modo di concludere verso la porta, un’esitazione impercettibile per sbilanciare il portiere prima del tiro, la sensibilità nei tagli alle spalle della difesa che gli aprono lo spazio per concludere.
Qui Haaland attira fuori dalla linea il centrale di Destra, Daka detta il passaggio al compagno e dopo aver bruciato sui primi passi il suo marcatore salta il portiere con un tocco di esterno destro
Oltre il centravanti strutturato fisicamente (184 cm per 74 kg) che va alla ricerca ossessiva del gol, però, c’è anche altro: Daka ama svariare su tutto il fronte offensivo, sa muoversi anche come seconda punta. Salvo qualche variazione tattica, attuata soprattutto in Champions League, Jesse Marsch ha sempre schierato il Salzburg con due punte di ruolo; in questo sistema, accanto a Haaland o anche dopo l’addio del norvegese, Daka ha occupato soprattutto lo spazio di destra, in un ruolo a metà tra l’attaccante e il laterale offensivo. Proprio questa posizione ibrida gli permette di sfruttare tutto il suo repertorio, in particolare la velocità di base.
Quando ha spazio per estendere la sua falcata ampia ed elegante, quasi da quattrocentista, Daka è letteralmente imprendibile, e a giudicare dalla quantità di falli che subisce c’è da credere che questa superiorità atletica non vada giù ai difensori austriaci, infatti molto spesso sono costretti ad abbatterlo. La grande velocità di Daka, che lo ha reso un giocatore di culto della community di FIFA, non deve portare a ritenere che lo zambiano sia solo uno sprinter. Più che la velocità in sé, infatti, ad impressionare è la capacità di mantenere il controllo del corpo anche a ritmi elevati. Guardandolo giocare, l’impressione è che Daka si esalti quando il contesto diventa frenetico, non solo nella finalizzazione, ma anche nel dribbling e nel dialogo con i compagni
Un po’ di scatti davvero brucianti di Patson Daka
In Bundesliga, Daka tenta 4.1 dribbling per 90’, dei quali il 40% va a buon fine. Una percentuale non brillantissima ma comunque buona, considerando soprattutto la vastità del suo repertorio: può dribblare quando riceve il pallone tra le linee in situazione dinamica, magari grazie a uno spunto in velocità, oppure partendo da fermo e usando la sua esplosività nei primi passi per sbilanciare l’avversario e poi sfrecciare nella direzione opposta. Se il Salisburgo attacca in transizione positiva, Daka spesso taglia dall’interno verso l’esterno, puntando soprattutto verso destra. In questo modo svuota l’area per favorire gli inserimenti dei centrocampisti, e contemporaneamente, si rende disponibile per ricevere in isolamento contro il terzino o il centrale di sinistra. Da lì vengono le situazioni di dribbling nelle quali è più pericoloso, in cui può puntare facilmente la porta oppure il fondo del campo, il luogo da cui far partire il cross per i compagni.
Quando invece deve gestire manovre più sofisticate, Daka risulta meno efficace: effettua 18,47 passaggi a partita con una precisione del 70%, e anche se mostra una buona capacità di associarsi, con e senza palla, il suo primo tocco è elementare e non sempre limpido. Il gioco di sponda è buono e a volte raggiunge picchi di qualità assoluta, per esempio questo tacco volante servito a Erling Haaland, e pure la predisposizione alle coperture in fase passiva è decisamente apprezzabile: in Champions League, per esempio, porta più del doppio dei tackle a partita rispetto a Haaland (2,2 ogni 90′ contro gli 0,7 del norvegese).
Proprio il confronto con Haaland potrebbe aver penalizzato un po’ la crescita e l’affermazione di Daka, dal punto di vista mediatico più che tecnico. La realtà, infatti, è decisamente sfumata: se il centravanti passato al Borussia Dortmund è un attaccante dominante e molto appariscente, lo zambiano può vantare un set di giocate più completo, se non nell’immediato quantomeno in prospettiva. La vera differenza tra i due si è manifestata in Champions League: mentre Haaland ha fatto saltare col tritolo le difese più importanti d’Europa, Daka è rimasto prima schiacciato dall’ombra ingombrante del suo compagno, poi non è riuscito a ripetere le grandi prestazioni mostrate in Bundesliga – non a caso, ha realizzato una sola rete in otto partite internazionali, restando completamente a secco nel doppio turno dei 16esimi di Europa League.
Questo relativo anonimato internazionale deriva anche dalle sue caratteristiche: Daka è perfetto per il calcio mitteleuropeo, è devastante in campionati dove ci sono grandi spazi da attaccare in velocità e sistemi tattici più spensierati, diciamo così. La sua affermazione definitiva passa e passerà proprio dall’ampliamento dei confini tecnici e geografici: oggi ha un atletismo già incontenibile, che va ben oltre il livello della Bundesliga austriaca, perciò il suo dovere sarà limare i fondamentali, lavorare sul controllo dell’istintività, una dote fondamentale per far bene nel calcio europeo e che al momento non ha ancora sviluppato, non abbastanza.