Tre cose sulla 36esima giornata di Serie A

Lukaku, una nuova Roma, una riflessione sul Lecce e su Liverani.

Forza, bellezza e necessità di Romelu Lukaku 

La netta vittoria dell’Inter contro il Genoa è una sentenza definitiva sulla stagione di Romelu Lukaku. I due gol realizzati a Marassi hanno evidenziato le parti migliori del suo (vasto) repertorio tecnico, ma soprattutto hanno mostrato come l’Inter diventi una squadra di livello superiore quando l’attaccante belga riesce a essere efficace in zona gol. Come dicevamo prima, in realtà quest’anno le cose sono andate quasi sempre così: le 29 realizzazioni di questa stagione (di cui 23 in campionato) confermano l’idea per cui l’Inter e Conte abbiano scelto e acquistato l’attaccante perfetto per fare ciò che avevano in mente, per interpretare – anzi: per imporre – un certo tipo di calcio, fatto di fisicità, verticalità, grande presenza in area di rigore. Il colpo di testa e lo splendido assolo con cui Lukaku ha battuto Perin raccontano tutto questo, dimostrano che la centralità dell’ex Manchester United nel progetto-Inter è pienamente meritata, viste le sue qualità, il suo peso sulle dinamiche tattiche nerazzurre. Il problema, se vogliamo, è stato proprio questo: nei pochissimi momenti di appannamento di Lukaku, oppure nelle inevitabili partite in cui è stato tenuto ai box, l’Inter ha perso troppo, è sembrata non avere alternative, o comunque non del suo stesso livello. Lo stesso discorso vale e varrebbe per Lautaro Martínez – così come per tantissime squadre e i loro uomini-franchigia – ed è proprio per questo che un club con le ambizioni dell’Inter deve cercare di creare un sistema che possa supplire alle sue eventuali mancanze, almeno in parte. In questo senso, il progressivo – e positivo – inserimento di Sánchez, così come il tentativo di trattenerlo a Milano, è un segnale chiaro: dopo una prima stagione in cui dipendevano dalla loro coppia offensiva, i nerazzurri vogliono creare nuove sinergie all’interno del gruppo. Lukaku è e sarà al vertice della piramide, ha dimostrato di poter dominare la Serie A, ora il prossimo passo è la costruzione una rete di supporto intorno a lui, più varia, più fitta.

Una nuova Roma per Paulo Fonseca

L’utilizzo della nuova maglia, quella ghiacciolo, ha sancito una transizione pure estetica tra la prima e la seconda Roma di Paulo Fonseca. Il tecnico portoghese ci era stato presentato come integralista, ma in realtà aveva e ha già cambiato più volte la sua squadra, adattandola ai momenti, alle necessità dettate dalle (tantissime) assenze per infortunio, all’alternanza tra le competizioni. Ora i giallorossi hanno un nuovo modulo, si dispongono in campo in maniera diversa rispetto al passato, alcuni principi sono rimasti immutati ma il miglioramento è evidente: quattro vittorie e un pareggio nelle ultime cinque partite, e tra l’altro il 2-2 con l’Inter si è materializzato solo nei minuti finali, a causa di un errore grottesco di Spinazzola – dopo che il terzino ex Juventus era stato uno dei migliori in campo. Il nuovo corso tattico della Roma è partito sotto i migliori auspici, anche se all’inizio era stato pensato e attuato per contenere un’emergenza, un’emorragia di gioco e punti ed entusiasmo, ora rappresenta un riferimento importante per le partite che mancano alla fine di questa stagione anomala e per quelle dell’anno che verrà. Fonseca ha ritrovato giocatori che sembravano perduti – sì, esatto: stiamo pensando a Bruno Peres – sfruttando la polivalenza di Kolarov, Mkitharian e Pellegrini, l’intelligenza tattica di Veretout, la profondità del repertorio di Dzeko, ma soprattutto ha messo a punto un sistema che permette alla Roma di coprire il campo in ampiezza senza disunirsi troppo in transizione. Il miglior contesto per poter sfruttare il rientro a pienissimo regime di Zaniolo, in vista di un’Europa League da affrontare con la consapevolezza giusta, perché oltre a Inter e Manchester United ci sono pochissime squadre al livello della Roma, per qualità individuali e collettive, oe ra anche per capacità di variare l’approccio tattico di partita in partita, oppure durante l’arco dei novanta minuti.

Roma-Fiorentina 2-1

La lezione di Liverani

Il destino del Lecce in Serie A è appeso a un filo: con la sconfitta sul campo del Bologna, i salentini devono recuperare quattro punti al Genoa quartultimo (con cui hanno pure lo scontro diretto a sfavore) in due giornate. Avrebbero potuto essere tre, se il Lecce, dopo aver recuperato da 0-2 a 2-2 al Dall’Ara, avesse avuto un atteggiamento più conservativo, meno arrembante. Il terzo gol è arrivato infatti con l’intera squadra riversata in attacco, e nella ripartenza il Bologna ha trovato praticamente campo libero, con Barrow che ha calciato a colpo sicuro accompagnato da due compagni di squadra e fronteggiato da appena due avversari, portiere compreso. Non si vedono molto spesso gol così in una situazione di parità, eppure c’è molto del Lecce, e del fatto che non sia ancora retrocesso a due giornate dal termine come invece è già toccato a Spal e Brescia, in questa azione. Liverani ha portato i salentini dalla C alla A in due anni, proponendo un calcio ambizioso, offensivo, coraggioso: lo ha fatto anche nella massima serie, quando ha incontrato avversari più forti, più preparati. Molte volte il Lecce ha perso, e pure male, ma è un aspetto inevitabile per una squadra costruita per salvarsi e nulla più, con un valore complessivo di certo tra i più bassi dell’intero campionato. Ma nel momento in cui non ha rinunciato alla sua indole, alla sua mentalità, il Lecce è diventato competitivo e lo è stato per gran parte della stagione, battendo la Lazio, fermando sul pareggio Juventus, Inter e Milan. Solo non accontentandosi, nemmeno di un punto a Bologna (dove pure il Lecce ha avuto la grande occasione per il 3-2), il Lecce ha potuto e può continuare a combattere.

Gli highlights di Bologna-Lecce 3-2