Tre cose sulla 37esima giornata di Serie A

La rinascita di Cahlanoglu, la tripletta di Chiesa, il capolavoro di Berardi.

Il Milan è la squadra di Ibrahimovic e Pioli, ok. Ma è anche la squadra di Calhanoglu

Le prime due stagioni di Calhanoglu al Milan sono state molto contraddittorie: abbiamo visto qualche picco, diverse partite mediocri, tantissime prestazioni sufficienti o poco più. Poi però sono arrivati Pioli e Ibrahimovic, e anche il turco è cambiato, è esploso di nuovo, forse come mai prima d’ora – soprattutto se restiamo “legati” al suo periodo italiano. La verità, però, è meno netta rispetto a come appare partendo da quest’ultima considerazione: lo splendido Milan che abbiamo visto nella Serie A post-lockdown è anche la squadra di Calhanoglu, il rinascimento dell’ex Bayer Leverkusen non è una conseguenza del miglioramento delle condizioni generali, piuttosto una delle chiavi per comprendere il cambiamento. È una questione numerica – nove gol e nove assist totali, sei gol e otto assist dopo il lockdown – ma anche puramente tecnico-tattica: schierato da trequartista, e non da mezzala, Calhanoglu ha grande libertà di movimento, decide come e dove andare per gestire il gioco offensivo, può toccare tanti palloni ed esercitare la sua arte creativa. Rispetto ad altri rifinitori è sicuramente più dinamico, perciò risulta più adatto per le giocate veloci, per le corse palla al piede che ribaltano il fronte offensivo. Con il tempo, però, ha affinato anche la sua capacità di giocare sul lungo, una dote importante quando in squadra hai un moto perpetuo come Rebic e un totem come Ibrahimovic, due elementi perfetti per alternare soluzioni diverse – le corse del croato offrono sempre l’occasione per un servizio in verticale, il gioco spalle alla porta di Zlatan permette di alzare il pallone e poi crea spazi enormi da attaccare. In questa varietà, il calcio elettrico e pure raffinato di Calhanoglu può esaltarsi, e lui ha risposto presente a queste sollecitazioni. Spesso, per stuzzicare certi giocatori, serve solo che si crei o si determini il contesto miglior. Ma poi occorre anche il talento per sfruttare le opportunità che si materializzano. Hakan Calhanoglu ha dovuto aspettare, ma, vedendolo oggi, possiamo dire che ne è valsa la pena.

Federico Chiesa, talento e incertezze

La stagione a dir poco altalenante della Fiorentina non ha permesso di risolvere i dubbi che avevamo su Chiesa, piuttosto li ha alimentati. Ovviamente non è in discussione il talento puro del giocatore viola, la sua capacità di incidere sulle partite, anzi di deciderle in prima persona, piuttosto il fatto che possa esercitare le sue qualità fuori scala – fisiche, prima che tecniche – in un contesto più difficile e con maggiore continuità. Del resto, è proprio questa la differenza che passa tra un buon giocatore, un grande giocatore e un fuoriclasse: anche quest’anno Chiesa ha segnato dieci gol e servito sette assist decisivi, è stato il pilastro su cui Montella e Iachini hanno costruito la squadra, poi ci sono state partite come quelle di ieri sera, in cui è risultato praticamente immarcabile, ingestibile per le difese avversarie; i tre gol segnati – è la sua prima tripletta in carriera – sono solo una parte di una serata di dominio, che però arriva dopo un periodo difficile, quasi come a ricordarci che abbiamo a che fare con un talento enorme ma forse non ancora pienamente definito. Ecco, forse il punto è proprio questo: Chiesa aveva segnato un solo gol dopo il lockdown, nelle ultime gare sembrava non avere gli strumenti per incidere davvero, poi all’improvviso è ricomparso e ha vinto da solo una partita. Questa scarsa regolarità è dovuta anche alla mancanza di un ruolo definito: Iachini l’ha utilizzato un po’ ovunque per il bene della squadra, e questo forse ha finito per penalizzare un po’ il suo sviluppo. L’approdo in un club con ambizioni maggiori, indipendentemente da quando avverrà, sarà un passaggio decisivo anche in questo senso. Alla Fiorentina, infatti, ci si aspetta che Chiesa faccia tutto quello che può e che lo faccia bene, non succede sempre ma la sua dimensione resta comunque inalterata; altrove, invece, il 22enne attaccante viola avrà dei compiti più chiari ma anche responsabilità e concorrenza maggiori, non potrà prendersi certe pause. Magari sarà un bene per lui, e sarebbe importante anche per valorizzare in maniera definitiva un patrimonio del calcio italiano.

Tre gol diversi, più un’altra rete di Milenkovic: Chiesa protagonista di Fiorentina-Bologna

Domenico Berardi, finalmente

Dopodomani è il primo agosto 2020, e Domenico Berardi compirà 26 anni. L’ultima volta che ha superato gli otto gol in campionato ne aveva 21. Basterebbe questo per raccontare la carriera e forse anche la vita di un giocatore che ci ha sedotto e poi deluso tantissime volte, che avrebbe – ha ancora – il talento per essere determinante in ogni partita, e invece spesso risulta incostante, scostante. Poi però il Sassuolo di De Zerbi è diventato una macchina da calcio sempre più efficace e pure bella da vedere, e allora un giocatore come Berardi è spinto a fare di più, a fare meglio. Anzi, è quasi costretto a crescere, viene da dire con un pizzico di malignità e di rimpianto. Il gol contro il Genoa, il 14esimo della sua stagione, è una certificazione numerica ma anche estetica: come detto, era dal 2015 che l’attaccante calabrese non era così continuo sotto porta, nel frattempo ci aveva regalato altre conclusioni così belle, ma dentro a stagioni fatte di pochi exploit e tante partite di assenza. Oggi, ripetiamo, è tutto diverso: i gol fantastici alla Berardi restano, ma ci sono anche dieci assist, una meravigliosa connection con Ciccio Caputo, una perfetta intesa con gli altri compagni, che dopo aver costruito dal basso sanno che affidarsi a lui vuol dire potersi aspettare la giocata in grado di far cambiare passo alla manovra. Ecco, proprio questa fiducia reciproca ha trasformato Berardi, l’ha reso all’altezza delle sue enormi qualità per un maggior numero di partite. Era quello che volvevamo da lui, lo volevamo da sempre, forse questa maturazione è avvenuta più tardi di quanto sperassimo, ma a 26 anni – da compiere tra due giorni – c’è ancora un po’ di tempo, forse c’è ancora qualcosa da scoprire, anche nella carriera e nella vita di Domenico Berardi.

Ciccio Caputo uomo-copertina, è inevitabile, ma il best goal di Sassuolo-Genoa resta quello segnato da Berardi