Non saranno molto felici, a Newcastle, per come sono andate le cose. Nelle ultime (convulse) settimane, i tifosi dei Magpies hanno accarezzato un evento potenzialmente storico: l’acquisizione del club da parte di un fondo sovrano saudita. Per loro si trattava di un’ipotesi fantastica: in un solo colpo, si sarebbero disfatti di Mike Ashley – uno dei dirigenti più odiati nella storia del calcio inglese – e lo United sarebbe diventato uno dei club più ricchi e potenti del mondo. Fin dall’inizio, però, ci sono state molte perplessità intorno a questo cambio di proprietà: Amnesty International e altre associazioni umanitarie hanno protestato a lungo per la situazione dei diritti umani in Arabia Saudita, sottolineando l’evidente tentativo di sportswashing da parte della famiglia reale, almeno dal loro punto di vista; il vero problema, però, riguardava i rapporti molto tesi tra Arabia Saudita e Qatar, tanto che già ad aprile la società beIN Media Group – che ha acquistato in esclusiva i diritti di trasmissione delle partite di Premier League in Medio Oriente e in Africa del Nord per 500 milioni di euro – aveva inviato una lettera a tutte le squadre del campionato, e all’amministratore delegato della lega, Richard Masters, per convincerli a fermare l’operazione.
Alla base dei conflitti, oltre ovviamente all’acredine puramente politica, c’era un problema legato proprio alla Premier League: beIN sostiene che l’Arabia Saudita abbia agevolato un’operazione di pirateria televisiva con l’obiettivo di danneggiare le sue trasmissioni nella Penisola araba. Da tre anni le frequenze di beIN sono state bandite dall’Arabia Saudita, di fatto l’unica nazione del mondo in cui la Premier League è visibile solo attraverso canali e strumenti illegali. La diffusione di questi mezzi, tra cui l’emittente pirata beoutQ, sarebbero stati agevolati da Arabsat, piattaforma satellitare con sede a Riyad, capitale dell’Arabia Saudita. Anche la Fifa, al termine di un’inchiesta, ha confermato «senza dubbio» il ruolo centrale di Arabsat nella gestione di beoutQ. Da lì sono seguite settimane di notizie contrastanti, fino all’annuncio arrivato ieri: il fondo sovrano PIF (acronimo di Public Investment Fund) si è ritirato dal processo di acquisizione del Newcastle «con vivo rammarico».
Secondo quanto riportato da The Athletic in questo articolo, la trattativa si sarebbe arenata per diverse motivazioni: alcune fonti interne al fondo PIF sostengono che «la Premier League sia stata indebitamente influenzata da attacchi motivati politicamente da terzi», che «è mancata trasparenza e obiettività nella gestione dell’operazione» e soprattutto che «alcuni club del campionato, in particolare Liverpool e Tottenham, erano e sono contrari all’acquisizione, e quindi hanno manifestato la loro opposizione agli amministratori». In questo momento, il proprietario del Newcastle, Mike Ashley, si è detto «sconvolto» per il mancato passaggio delle quote, anche se il consorzio interessato all’acquisto del club ha detto che «questo ritiro dall’affare potrebbe non essere l’ultimo atto». Ci sarebbe ancora qualche flebile speranza, quindi, per i tifosi dei Magpies e per lo stesso fondo saudita.
Quel che è certo, in ogni caso, è che almeno nei prossimi giorni il Newcastle United non diventerà un club di proprietà dello stato saudita. Anche questo è stato un problema per la Premier League, che secondo alcune fonti citate da The Athletic «continuava a essere perplessa riguardo alla prossimità tra il PIF e la famiglia reale di Riyad, al fatto che i legami erano fin troppo evidenti». Oltre a questi dubbi, i manager del campionato inglese hanno dovuto tener conto anche dell’aspetto finanziario della questione: lo sbarco dell’Arabia Saudita in Premier League avrebbe potuto determinare delle perdite economiche in caso di ritorsione di beIN Media Group, con cui c’è un (ricchissimo) accordo valido fino al 2022. Era stata ventilata anche l’ipotesi di un investimento ancora più elevato da parte di emittenti saudite, ma finora non ci sono stati segnali confortanti in questa direzione.