Qualche mese fa Jonathan Wilson firmava un interessante editoriale sul Guardian, focalizzandosi principalmente sui problemi cronici palesati negli ultimi anni dal Barcellona. Tra le tante condivisibili annotazioni tattiche, ce n’era una in particolare che andava a toccare concretamente il ruolo di Leo Messi. Wilson sostiene che l’inerzia sia cambiata da quando in campo la Pulga e i suoi soci in attacco – uno su tutti, Luis Suárez – hanno modificato le rispettive attitudini. Al centro del focus, nello specifico, ci è finito l’atteggiamento passivo in fase di non possesso: il Barcellona, nelle ultime due stagioni, ha perso più partite – alcune talvolta in maniera molto pesante, tipo la famosa semifinale di Champions League contro il Liverpool – e incassato più reti a causa della scarsa partecipazione in difesa delle sue stelle. In soldoni, si sostiene quindi che la solidità storica dei blaugrana sia stata minata da un cambio repentino di approccio, il cui episodio scatenante risalirebbe addirittura all’addio di Pep Guardiola, datato 2012.
Questo articolo era stato pubblicato a poche ore dal litigio che lo stesso Messi ha avuto con Eric Abidal, direttore sportivo del Barcellona. Al centro della discussione, come ormai d’abitudine in ogni estate che si rispetti, c’era il rinnovo di contratto del numero 10. I toni si sono inaspriti a tal punto che, alla fine, a calmare le acque è dovuto intervenire il presidente Bartomeu in persona. Che i rapporti tra l’argentino e il Barcellona si siano – seppure lievemente – incrinati, però, è ormai un dato oggettivo. Con queste premesse, e a un mese circa dalla fine di una Liga lunga ed estenuante, il Barça è di nuovo chiamato a tornare in campo: in ballo c’è la qualificazione ai quarti di finale di Champions League, obiettivo che i catalani possono raggiungere solo aggirando l’ostacolo Napoli. Specifichiamo subito una cosa, prima di proseguire con ulteriori considerazioni: la stampa spagnola è particolarmente volubile e molto spesso, talvolta volontariamente, ingigantisce certe situazioni con l’unico scopo di poterle sbattere in prima pagina. La narrazione recente del Barcellona – visto anche come gli è stata sfilata la Liga – è giustamente negativa, ma l’1-1 del match di andata lascia comunque buone speranze per il passaggio del turno. Detto ciò, è chiaro che l’impegno andrà approcciato con la massima attenzione, soprattutto per una squadra le cui certezze sono state minate da una stagione che, complessivamente, può essere salvata solo da un successo in Champions League.
Decriptare fedelmente l’annata del Barcellona non è però un esercizio così facile. Quando si parla dei blaugrana spesso si banalizza, si tirano in ballo argomenti che poco c’entrano con il campo e con le vicende societarie – vedi, per esempio, il continuo rimarcare le grosse cifre spese per acquistare calciatori, anziché soffermarsi sul come sia stato dilapidato un clamoroso patrimonio. No, quelle del Barça di oggi sono problematiche gestionali, figlie di scelte – anche di mercato, questo indubbiamente – che tutte insieme hanno portato alla situazione attuale. Il contesto blaugrana non è più solido come una volta, basti pensare alla dilettantesca gestione della comunicazione durante il lockdown: mentre il Real Madrid, con Zidane in prima linea, ha alzato un muro di cemento armato per permettere al gruppo di lavorare al riparo dai riflettori, in Catalogna – con un campionato ancora apertissimo – già si discuteva del possibile futuro di Messi, delle elezioni presidenziali e di quanto il club avrebbe dovuto versare nelle casse dell’Inter per Lautaro Martinez. Inutile dire che anche il campo ne ha risentito: da giugno in poi la squadra di Quique Setién ha perso solo una partita, vero, ma nel contempo ha sperperato punti un po’ ovunque con pareggi inutili, che alla fine hanno permesso al Real Madrid di prendere il largo.
Con queste premesse, diventa complicato anche poter tracciare le prospettive del club sul medio e lungo periodo. Per esempio, il Barcellona ha reali possibilità di vincere la Champions League? Sulla carta – dato soprattutto il format particolare con il quale si concluderà la manifestazione – forse sì, ma l’impressione è che anche un successo di tale portata serva solo a nascondere meglio la polvere sotto al tappeto. Lo stesso Messi, dopo la sconfitta interna contro l’Osasuna, aveva ammonito tutto l’ambiente: «Non volevamo che la Liga finisse così, ma come avete visto siamo una squadra irregolare, debole di testa e che ha perso intensità. Dobbiamo fare autocritica perché altrimenti sarà difficile battere il Napoli». Limiti, quelli elencati da Messi, peraltro palesati in più situazioni, a partire proprio dal pareggio del San Paolo, quando a più riprese gli spagnoli avevano subito il pressing asfissiante della squadra allenata da Gattuso. A quei tempi il Barcellona era ancora in fase di rodaggio dopo l’arrivo di Quique Setién, un allenatore molto dogmatico che, un po’ a sorpresa, era stato chiamato durante la pausa invernale per prendere il posto dell’esonerato Ernesto Valverde.
Già, Setién è un altro discorso che andrà affrontato il prima possibile. La squadra ha palesato difficoltà evidenti nell’assimilazione della filosofia imposta dall’ex Betis e Las Palmas, un profilo più formatore rispetto alla classica figura del gestore tanto in voga di questi tempi. In tal senso, parecchio esplicativa è stata la prima partita della sua gestione, uno striminzito 1-0 rifilato al Granada con picchi del 90 per cento di possesso palla e oltre mille passaggi portati a termine nei novanta minuti di gioco. Apparenza molta, concretezza poca. Nonostante le smentite di facciata, il tecnico non è affatto certo della riconferma, che secondo i giornali spagnoli dovrebbe avvenire solo per mancanza di alternative valide e tempo per progettare al meglio la prossima stagione. L’instabilità dell’allenatore è tangibile, figlia di scelte societarie che ormai da anni non vengono prese all’unanimità. Stesso dicasi per la scelta degli uomini sui quali costruire un progetto: Frenkie de Jong a parte (che comunque sta faticando a imporsi, dovendosi snaturare in un ruolo non suo), le ultime due campagne acquisti dei catalani sono state quasi totalmente catastrofiche.
Le recenti operazioni di mercato fallimentari del Barcellona non si contano nemmeno più, basti pensare ai 438 milioni di euro complessivi spesi negli ultimi tre anni per Antoine Griezmann, Malcom, Ousmane Dembelé e Philippe Coutinho – quando in casa, tra le altre cose, avevi già Neymar. Tutta gente che, per vari motivi, ha deluso. Parallelamente, c’è anche una Masia che non produce più gli Xavi e gli Iniesta, costringendo il club a intervenire in maniera decisamente più massiccia in tutti i reparti. Gli Ansu Fati, i Sergi Roberto e i Riqui Puig sono tornati utili, ma la qualità della generazione precedente è impossibile da riottenere nel breve periodo. Guardiola lo sapeva e ha abbandonato la nave giusto in tempo, mentre oggi il club paga le tante scelte poco lungimiranti solo parzialmente nascoste dal Triplete del 2014/15 targato Luis Enrique.
In tal senso, la sfida col Napoli e l’eventuale percorso in Champions League serviranno in primis a capire su quanti – ma soprattutto quali – calciatori insistere in vista della mezza rifondazione che attende il Barça sul mercato. Il reparto più toccato sarà il centrocampo: dopo Arthur, già annunciato dalla Juventus, a breve verrà definita anche la cessione di Ivan Rakitic al Siviglia, mentre in entrata – a parte Miralem Pjanic – per ora le idee scarseggiano. Ed è proprio a centrocampo che la partita contro il Napoli potrebbe trovare il suo mismatch decisivo, perché all’andata in quella zona di campo il Napoli, mantenendo un’aggressività molto alta, era praticamente riuscito a ingabbiare il palleggio lento e prevedibile dei catalani, trincerandosi dietro a un compatto 4-5-1 in fase di non possesso. Il tiki-taka pensato da Setién è rimasto – appunto – solo un’idea inattuabile per interpreti e attitudine degli avversari. In più, va aggiunto che il tecnico spagnolo non potrà contare su Busquets e Vidal, entrambi squalificati. E, proprio per questo motivo, starebbe valutando addirittura una formazione con la difesa a tre.
In questo modo ci sarebbe la possibilità di ritrovare quella compattezza che, nel match del San Paolo, è stata principalmente peculiarità del Napoli, efficace nel mettere in difficoltà un Barcellona incapace di imbastire un piano partita alternativo. Con un pressing alto costante, qualche verticalizzazione di difficile lettura, un Insigne ritrovato dal punto di vista tattico – perfetto nell’abbassarsi in raddoppio e a ribaltare il campo con rapidità quando necessario – e una mediana solida, Gattuso ha di fatto vinto il primo round di una partita a scacchi molto interessante. Questo è stato reso possibile, in particolar modo, dall’ottimo rendimento di tutto il centrocampo, dove si sono rivelate decisive le prestazioni di Piotr Zielinski e Fabian Ruiz. Due interpreti che al Barcellona (e a Quique Setién) farebbero molto comodo, ma che in questa situazione di valori capovolti rischiano di minare ulteriormente il microcosmo blaugrana, mai come oggi pronto a implodere definitivamente.