Thiago Silva ha già compiuto 35 anni, anzi ne compirà 36 a ottobre, e non sembra possibile che sia arrivato quasi alla fine della sua carriera. È come se l’iconografia da difensore-del-futuro che lo ha accompagnato fin dal del suo passaggio al Milan, nel 2009, non fosse stata demolita dal tempo che passa, dallo sviluppo di una carriera spesa per la maggior parte – la miglior parte – in un campionato di secondo piano, e in una squadra che, fino a qualche settimana fa, aveva sempre fallito nei momenti chiave, quelli necessari per la legittimazione dello status di big europea a tutti gli effetti.
Tuttavia sono state proprio le ultime partite di una Champions League unica nel suo genere a chiarire come questa sia stata una percezione figlia del contesto e non di un’oggettiva valutazione dei fatti di campo. Thiago Silva non è stato solo uno dei migliori giocatori del Paris Saint-Germain che per la prima volta nella sua storia ha raggiunto la finale, ma è ancora uno dei migliori difensori a livello globale, la qualità e la continuità delle sue prestazioni hanno fatto sembrare ovvi, necessari, quasi disperati, gli sforzi auspicati e forse fatti da Tuchel per provare a trattenerlo: «Lui è il nostro capitano», ha detto il tecnico tedesco alla vigilia dei quarti di finale contro l’Atalanta, «e affronteremo il discorso sul suo futuro dopo la Champions League».
In realtà tutto era già deciso da tempo – infatti il Psg aveva già pubblicato un post d’addio su Instagram – e così Thiago Silva si è svincolato dal club francese dopo averlo condotto in finale, e ora pare abbia accettato il biennale da 12 milioni complessivi che il Chelsea di Roman Abramovich gli ha offerto per diventare il leader di un gruppo giovane, futuribile e potenzialmente già pronto per competere ad altissimo livello. Non a caso, proprio le stesse caratteristiche che siamo stati abituati ad associare all’ex centrale del Milan, da sempre immerso in una sorta di sospensione temporale che ci fa credere di essere ancora al cospetto dello stesso giocatore di dieci anni fa.
Il Thiago Silva di oggi è, invece, un calciatore diverso, che ha rimodulato le sue caratteristiche sulla base delle esigenze del collettivo in cui si è espresso. Basta guardare una delle tante compilation presenti su YouTube per rendersene conto: uno dei migliori e più formidabili giocatori nell’uno contro uno a tutto campo – un fondamentale in cui ha dominato a lungo grazie all’elasticità della progressione, alla pulizia e al tempismo dell’intervento – si è trasformato in un difensore più conservativo nell’interpretazione del ruolo, che all’aggressività nella ricerca dell’anticipo dei Van Dijk e dei De Ligt preferisce un approccio più “mentale” e di lettura, con quell’eleganza innata che ora, grazie al tempo e all’esperienza, sta trovando la sua migliore e completa espressione.
Thiago Silva non ha (più) bisogno del tackle in rimonta sull’avversario, dell’entrata intimidatoria o del contrasto che esprima una certa dose di superiorità fisica; Thiago Silva, semplicemente, è sempre al posto giusto nel momento giusto, grazie alla sua capacità di prevedere spazi e tempi delle giocate avversarie – una dote che in qualche modo lo rende diverso rispetto ai difensori di nuova generazione. In realtà si tratta di una questione di giusto equilibrio tra la voglia di difendere in avanti e la necessità di adeguarsi a fasi più o meno lunghe di difesa posizionale, in modo da avere una sempre maggiore (e positiva) influenza nel contesto in cui agisce, diminuendo la vistosità dei suoi interventi per aumentarne l’efficacia: in questo senso il brasiliano è ancora oggi uno dei migliori del mondo senza e probabilmente non gli viene riconosciuto, complice anche l’esplosione di Kimpembe e la crescita esponenziale di Marquinhos, impiegato con successo da Tuchel come mediano davanti alla difesa.
Non bisogna però pensare che Thiago Silva sia solo un difensore di un’altra epoca che è riuscito ad adattarsi al meglio in un calcio in continua evoluzione. Le sue qualità in fase di possesso e di prima costruzione sono la manifestazione di quella modernità che appartiene ai centrali di oggi: il brasiliano è elegante quando si apre per ricevere l’appoggio del terzino di riferimento schermato dalla punta avversaria, addirittura sontuoso quando taglia il campo in diagonale con fendenti lunghi e precisi verso l’esterno offensivo sul lato opposto, così da ribaltare il fronte del gioco e saltare la prima linea di pressione.
Da questo punto di vista Thiago Silva è assolutamente figlio di questo calcio e di questo tempo, un tempo che chiede ai difensori di esplorare aspetti del gioco nuovi e sempre diversi. E se contro l’Atalanta è bastato occuparsi di Zapata mentre Neymar faceva il resto, nella semifinale contro il Lipsia è stato fondamentale nella pulizia d’esecuzione con cui l’azione partiva dal basso all’interno del triangolo completato da Marquinhos e Paredes: in quella partita sono stati 113 i tocchi di palla e 101 i passaggi effettuati – rispetto ai quasi 60 di media tenuti nel resto della competizione – con una precisione del 93% e con la metà dei lanci lunghi effettuati andati a buon fine.
Non si tratta più, quindi, di vincere il confronto diretto con l’attaccante, limitando al massimo gli interventi rischiosi nell’ultimo terzo di campo, ma di farlo e di assolvere pure la responsabilità che appartengono al primo regista della squadra – laddove per “regista” non si intende più un ruolo, piuttosto una funzione che compete anche se non soprattutto ai difensori. In entrambi i casi, la missione è sbagliare il meno possibile: Thiago Silva, oggi, sbaglia ancora meno.
Nella finale contro il Bayern Monaco, Thiago Silva ha offerto una prestazione mostruosa, come si vede dal video sopra. L’unico momento in cui il centrale brasiliano è sembrato in difficoltà è stato quando Lewandovski lo ha puntato in campo aperto dopo una palla persa dai parigini a centrocampo: una circostanza che ha causato l’ammonizione ma che ha anche dimostrato come la concentrazione, la lucidità e la capacità di ragionare aspettandosi sempre l’errore (proprio o altrui) siano le qualità che permettono a Thiago Silva di mantenere standard di rendimento così elevati alla soglia dei 36 anni
Per questo non è sbagliato dire che Thiago Silva non passa mai di moda, anche quando sembra superato dal mondo e dal tempo: nessuno come lui ha saputo, e sa ancora, incarnare quella trasformazione filosofica e culturale per cui i difensori sono diventati i nuovi centri di influenza del gioco, senza perdere le capacità e le attitudini che gli sono proprie. Anzi, probabilmente il brasiliano è stato il primo della sua specie, l’archetipo di una nuova generazione di centrali che ha fatto della grande cifra tecnica, con e senza palla, non solo un dettaglio ma una vera e propria necessità.
Ed è proprio questa sua natura di precursore che giustifica il suo inserimento nel Chelsea, una realtà che sembra essergli lontana anni luce, almeno dal punto di vista anagrafico: in una squadra proiettata nel futuro, Thiago Silva – che quel futuro lo ha visto e interpretato compiendo tutti gli step evolutivi necessari per competere sempre al meglio – è un pilastro ideale su cui costruire un progetto vincente fin da subito. Quello che vuole Abramovich, quello che vuole anche lui in questo nuovo apice di una carriera che, in realtà, non avrebbe potuto essere diversa e migliore di così. E che durerà ancora per un po’, fortunatamente.