Come Il Processo di Biscardi ha cambiato per sempre il calcio in tv

Quarant'anni fa nasceva la trasmissione sportiva più discussa, longeva e imitata.

Navigando, la sera, nelle reti televisive, a un certo punto è inevitabile. Un po’ come le canzoni latine d’estate o le pubblicità dei panettoni a Natale. Prima o poi capita di incappare in un talk show sul calcio. Succede soprattutto quando si entra nell’area imperscrutabile delle televisioni private, quella per capirci dall’8 in poi. Non c’è canale in cui non vi siano giornalisti, esperti, deejay, agenti assicurativi, tifosi, nani e ballerine in cui non si disquisisca dell’ultimo rigore non dato all’Inter o della campagna acquisti della Juve. È una costante del palinsesto televisivo del nostro Paese, spesso definito il “Paese degli sportivi seduti”.

Ma tutto non è nato per caso. Ha avuto una data e un’ora di nascita ben precisa: le 22,45 del 15 settembre del 1980. È stato in quel l’esatto momento che su Rai3 è andato in onda per la prima volta ll Processo del Lunedì. Una trasmissione rivoluzionaria, che ha cambiato radicalmente il modo di vivere e raccontare il calcio italiano in televisione. Per chi è nato tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta, quello show è stato il punto più alto della chiacchiera sportiva. Aldo Biscardi – che il giornalista Aldo Grasso ha definito «l’ultimo erede dell’istrione itinerante, il comico dell’arte che recita a soggetto lasciando a sé e ai suoi comprimari ampi spazi d’improvvisazione, pur nella fissità di fondo» – è stato il deus ex machina di questo clamoroso fenomeno, scoppiato nell’anno in cui in Serie A si riaprirono le frontiere agli stranieri. Ma se la mente e il cuore del progetto erano indiscutibilmente suoi, il nome “processo” fu invece farina del sacco di Gianni Rodari, che scrivendo la prefazione di un volume scritto del giornalista sportivo, definì il suo modo di affrontare le vicende calcistiche un po’ come si affronta un procedimento giudiziario.

Il successo del programma fu talmente clamoroso da scardinare ogni regola. E quell’effetto dirompente si sente ancora oggi: se i palinsesti dei canali privati di mezza Italia sono ancora dominati da talk show devoti al dio pallone il merito è tutto del Processo. Quarant’anni fa Aldo Biscardi ha sparigliato le carte riuscendo in un’impresa tanto elementare quanto ardita e raffinata: traghettare le tipiche chiacchiere da bar dello sport del lunedì mattina dentro uno studio televisivo, condensando il tutto in poco più di due ore. Il segreto del successo è semplice: chiunque si può immedesimare, perché chiunque è tifoso.

Per due anni il programma viene guidato prima da Enrico Ameri, voce di punta di Tutto il calcio minuto per minuto, e poi da Marino Bartoletti. E diventa subito fenomeno popolare. Tanto che nell’edizione 1982/83 riesce a strappare addirittura un collegamento esclusivo con Sandro Pertini in vacanza a Selva di Val Gardena. Il servizio inizialmente previsto di 15 minuti in realtà occupa tutta la puntata con il pimpante Presidente della Repubblica che racconta in diretta le evoluzioni degli alpini sulla neve. Biscardi-conduttore entra in scena solo nel 1983, mettendo subito in campo tutto il suo stile sensazionalistico, nazional popolare e un po’ caciarone. E fa centro. Sono gli anni delle grandi polemiche arbitrali e del continuo ricorso alla moviola, che seziona le azioni di gioco come fossero cellule al microscopio.

Senza il Processo, show contemporanei come Sky Calcio Club o Tiki-taka non avrebbero mai visto la luce. Oggi ci sono Wanda Nara, Mughini e Vieri? Ieri c’erano Bruno Bacci, Luciano Moggi e soprattutto Maurizio Mosca. Quest’ultimo è stato per anni il partner ideale di Biscardi. L’anello di congiunzione fra sarcasmo, simpatia scanzonata e una vena polemica portata fino alle estreme conseguenze. Mosca, un’esperienza alla Gazzetta dello Sport finita male, le spara ogni volta più grosse, cerca l’applauso costante del pubblico e inscena siparietti che rimarranno nella storia della trasmissione.

«Stasera le polemiche fioccano come nespole», dice gongolante in tv Biscardi, dopo l’ennesimo battibecco scoppiato fra i suoi invitati. Un caravanserraglio in cui convivono giornalisti ed ex arbitri, campioni di ieri e personaggi dello spettacolo, attori teatrali e starlette. Davanti alle telecamere si alternano Gianni Brera e Carmelo Bene, il regista Paolo Squitieri e Vittorio Sgarbi, Franco Zeffirelli e Giulio Andreotti, Corinne Clery e Zico. Gli ospiti, ça va sans dire, non vengono mai scelti a caso. Più il loro carattere è sanguigno, meglio è. Alcune liti scoppiate in diretta diventeranno leggendarie, come quella fra Mosca, Sgarbi e Squitieri sul tema degli stipendi dei calciatori. O quella fra lo stesso Biscardi e Silvio Berlusconi, intervenuto in qualità di presidente Mediaset, che il conduttore accuserà di non conoscere il pluralismo. Proprio l’ex presidente del Milan, qualche anno dopo, interverrà nuovamente live per annunciare ai tifosi rossoneri che Kakà, fino a quel momento considerato a un passo dal Manchester City, non si sarebbe mosso da Milano. Applausi a scena aperta del pubblico e lacrime di gioia fra gli ospiti di fede rossonera. In realtà il campione Brasiliano sarebbe stato ceduto al Real Madrid per poco più di 64 milioni di euro pochi mesi più tardi.

Quante cose diverse sono state dette in 4:54 minuti di diretta?

La trasmissione è un impasto colorito di opinioni, sparate («Sono arrivate 100mila telefonate»), battute da caserma e veri e presunti scoop, anzi “ sgub” di mercato. Cosa sarebbe stato Gianluca Di Marzio oggi senza le bombe di Mosca di ieri? Biscardi è unico nel suo genere. Origini molisane, ex giornalista del Mattino, in poco tempo crea dal nulla un’agorà sbracata, allegra e provocatoria. Nel 1993, come fosse un centravanti in pieno calciomercato, abbandona la Rai per passare a Tele+, di proprietà della Fininvest. E cambia il nome del talk, personalizzandolo ancor di più: Il Processo di Biscardi. Parallelamente, e non senza polemiche,  la Rai continua a proporre Il Processo del lunedì con il suo titolo originale prima dal 94 al 97 e poi dal 2013 al 2016.

Biscardi passerà successivamente a Telemontecarlo, che diventerà La7. Nel ’98 il programma si sdoppia in due studi, Milano e Roma, in modo da accentuare al massimo il campanilismo fra Nord e Sud. Con lo scorrere delle edizioni il gusto per la polemica aumenta. Cuore pulsante attorno a cui tutto ruota, sono gli arbitri e le loro presunte “nefandezze”. Fuorigiochi millimetrici, rigori inesistenti, palloni che varcano la linea di porta senza essere visti: sono gli anni del leggendario “moviolone”, un avveniristico marchingegno in grado di riprodurre in 3D gli episodi più controversi della domenica. Un antenato della Sky Sport Tech usato da Fabio Caressa su Sky Sport. Biscardi e i suoi chiedono a gran voce la moviola in campo. Lo ripetono come una cantilena in ogni puntata. All’epoca sembravano bizzarrie buttate là solo per alzare lo share, ma la Var di oggi dimostra che avevano ragione loro.

Cosa sarebbero state la Gialappa’s e le varie versioni di Mai Dire senza Il Processo di Biscardi?

Proprio due vicende arbitrali creeranno nel programma le prime crepe. Lo scossone numero uno arriva nel febbraio del 1999 quando l’associazione arbitri decide di querelare una volta per tutte Biscardi, Maurizio Mosca, Franco Melli e Xavier Jacobelli. La Procura, però, un anno dopo archivia il caso. Le motivazioni sono uno schiaffo alla dignità del programma  che però viene descritto in modo pressoché perfetto: Biscardi, si legge nel dispositivo, «ha argomentato in termini convincenti e rispondenti al vero che trattasi di un programma televisivo il cui oggetto principale è proprio quello di suscitare con linguaggio diretto ed espressioni volutamente forti discussioni, spesso pretestuose, tipiche da bar sport». Inoltre, «la credibilità oggettiva delle notizie riportate e fatte oggetto di dibattito è riconosciuta come assai bassa, secondo l’opinione comune, trattandosi non infrequentemente di notizie create o gonfiate per suscitare la polemica». Insomma, come a dire: al Processo si può dire ciò che si vuole, si possono sparare le panzane più assurde, tanto la trasmissione non ha alcuna credibilità giornalistica. Lo scossone numero due arriva invece nel 2006 con le intercettazioni di Calciopoli in cui si dimostra che l’ex dirigente Juve, Luciano Moggi, habitué del salotto tv, avrebbe più volte chiesto a Biscardi di usare mano leggera con certi arbitri e di nascondere l’entità di alcuni fuorigioco. È una mazzata, che costringe il conduttore a lasciare per sempre La7. Prima finisce a 7 Gold, poi a T9 e successivamente a Italia 53, dove traghetta lo storico format mantenendo inalterati stile e formula.

L’ultimo anno del Processo di Biscardi porta la data del 2016, quando la trasmissione va in onda sul canale Nuvolari, chiudendo  per sempre il sipario al termine della stagione. È il canto del cigno. Sono anni molto diversi da quel lontano 1980. La tv è cambiata, sono cambiati i suoi padroni. È arrivato  Murdoch, il satellite e il digitale terrestre. Oggi di Processo del lunedì non ce n’è più uno solo ma decine, sparsi nella  infinita e imperscrutabile costellazione dei canali privati. Da QSVS su Telelombardia ad Azzurro Italia su Antenna Tre, da Nova Stadio su Telenova fino a Diretta Stadio su 7 Gold. Tutti i conduttori – da Fabio Ravezzani fino a Gianni Visnadi – scimmiottano l’originale, che ha sempre e solo avuto un unico padre: Aldo Biscardi. Il rosso giornalista scompare nell’ottobre del 2017 a 87 anni. Di lui Aldo Grasso dirà: «È stato colui che ha inventato il calcio parlato. Ma anche colui che ha dato vita al ‘trash’ televisivo ancor prima che questa parola prendesse la ribalta». È stato un precursore, ancora una volta, anche della tv spazzatura. E chissà se Barbara D’Urso o Tina Cipollari ne siano consapevoli…