In Spagna hanno chiuso gli spogliatoi, e i giocatori non l’hanno presa bene

Anche perché si cambiano e fanno riscaldamento in hotel, e non possono fare la doccia subito dopo la partita.

Uno dei problemi più evidenti nella gestione del calcio durante l’emergenza Coronavirus sono state – e sono – le differenze tra i vari Paesi. Il numero dei contagi, i viaggi, i protocolli sanitari, persino il regolamento sulle sostituzioni (in Italia sono rimaste cinque, nelle competizioni Uefa e in Premier League sono tornate tre): ogni istituzione calcistica, nazionale ma anche internazionale, ha scelto di approcciarsi in maniera differente a un calcio necessariamente diverso rispetto al passato, e molto spesso queste decisioni fanno nascere storie da raccontare. Per esempio, in Spagna, sono stati chiusi gli spogliatoi. Anche nelle partite della Liga. E i giocatori non l’hanno presa bene, perlomeno a giudicare dalle dichiarazioni raccolte dal Guardian in questo articolo.

Un po’ di contesto: il protocollo sanitario per il 2020/21 è quasi quattro volte più lungo di quello redatto per concludere l’ultima stagione dopo il lockdown, che a sua volta era già composto da 69 pagine. E il cambiamento più significativo è il divieto di utilizzare gli spogliatoi, anche per le squadre della Liga. La scelta è stata fatta in seguito a degli studi che dimostravano come uno spazio chiuso, occupato per intervalli di tempo prolungati, e da diverse persone, era un luogo in cui il virus poteva contagiare molti membri della squadra. Ora, quindi, Real Madrid, Barcellona e tutte le altre squadre spagnole vivono una situazione surreale: l’accesso agli spogliatoi è consentito solo per pochi minuti prima della gara, e solo per lasciare gli effetti personali; le squadre svolgono i rituali prepartita – trattamenti medici personalizzati, riscaldamento, stretching – in albergo, e indossano la divisa da gioco nelle proprie stanze; l’arrivo in pullman allo stadio avviene solo 40 minuti prima del calcio d’inizio, e spesso i calciatori vanno direttamente in campo; a fine primo tempo, solo l’allenatore e gli undici titolari sono ammessi nello spogliatoio, e solo per pochissimi minuti; nessuno può fare la doccia, a meno che non si tratti di un giocatore espulso nel primo tempo e quindi può essere da solo nello spogliatoio; le squadre ospiti tornano ai propri hotel in autobus, a volte su un solo mezzo, a volte ne utilizzano due.

Come detto in precedenza, i protagonisti delle partite non hanno accolto bene la decisione della Federcalcio spagnola. Sergio González, allenatore del Valladolid, ha detto che «tutto è un po’ ridicolo, perché lo spogliatoio è la casa di un calciatore: stiamo perdendo parte dell’essenza del gioco: questo è uno sport di squadra e molto nasce nello spogliatoio. Sappiamo che dobbiamo giocare, sappiamo che riprendere il calcio fa bene alla società, ma per noi è difficile farlo senza avere la possibilità di condividere un luogo emblematico come lo spogliatoio. Sembra che i giocatori siano tornati alla loro infanzia, quando un amico veniva a suonare alla loro porta, loro si cambiavano e andavano a giocare». Alcuni giocatori che sono stati intervistati dal Guardian, e che non hanno rivelato la propria identità, condividono le idee di González: «Guardarsi in faccia è fondamentale per noi. Tutta quella tensione, tutta quella motivazione che si crea negli spogliatoi, non esiste più. Stiamo rubando il calcio a tutti: è stato tolto ai tifosi, ora viene tolto anche a noi. E poi parliamo di una situazione che può essere attuata solo per questi primi mesi di stagione. Quando farà freddo, quando inizierà a piovere, cosa faremo? Ci porteranno in tenda, torneremo a casa fradici, oppure ci faranno fare la doccia un’ora dopo? Impossibile. Non prenderemo il coronavirus, ma potremmo contrarre la polmonite».