Perché l’addio di Ilaria D’Amico e Pierluigi Pardo è la fine di un’epoca

Grazie a loro, è cambiata la narrazione dello sport in tv.

“Senza Ilaria e Pier” sembra il testo tradotto di una canzone francese, cadono le foglie, è autunno, siamo invecchiati. E invece quest’anno, questa stagione, comincia così, ce n’eravamo quasi dimenticati a forza di pensare al Covid e alle mascherine: senza la D’Amico e senza Pardo a parlare di pallone in televisione.

Il colpo basso, quello più duro, anche solo per galanteria, è ovviamente la signora di Sky, che lascia dopo che per 18 anni noialtri quarantenni siamo stati a sentirla spiegarci le partite con la sua voce un po’ così. Eravamo ragazzi, siamo cresciuti, sono passati i campionati, le Champions, i Mondiali, gli Europei, e lei pareva eterna, una di noi, la fidanzata d’Italia, sempre brava, studiosa, gli abiti e i tacchi, alla fine la nostra comfort zone. All’inizio c’era la questione della sex symbol, avevano pure fatto uno spot in cui lei sgridava il marito di un’abbonata un po’ arrapato, ma poi chissenfrega anche di quello, era Ilaria e basta, le nostre domeniche, le nostre serate a rivedere gli episodi, lei in piedi e gli altri al tavolo, era casa, famiglia, abitudine. Non ce ne siamo neanche accorti e intanto lei dribblava tutte le robe sessiste, i sorrisini, pure la storia con Buffon, “filojuventina!”, lei che secondo me è laziale, figurarsi.

Insomma, da ragazzi siam venuti su più o meno uomini e poi un giorno d’agosto abbiamo scoperto dal Corriere della Sera che la giovinezza (nostra) era finita, che da settembre basta, Ilaria ringraziava tutti e voltava pagina. E ci lascia qui: arriva Anna Billò, bravissima, auguri, ma tanto noi i quaranta li abbiamo passati, gli anni spensierati non tornano più, suona un’armonica.

Siccome i dolori, come alla schiena alla nostra età, poi arrivano tutti insieme, per questa stagione hanno deciso di toglierci pure Pardo. Dire che siamo cresciuti con Pardo sarebbe troppo, anche perché il primo a non essere cresciuto è lui. Nel senso che con quei basettoni cockney vive il suo Erasmus permanente, gli Oasis suonano Champagne Supernova in loop, e noi con lui, a vederlo sbracciarsi nei suoi completi Lardini, a fare le voci, a cazzeggiare con Cassano, a chiamare i suoi amici che tanto ci mettevano allegria (Qualitààààà).

L’addio di Pier, generazionalmente, è un po’ meno impattante, tanto lui comunque c’è: te lo ritrovi su Instagram con tutti i bomberoni, su Dazn, pure a fare le telecronache («Sono treeeee, Tre a zero Romaaaa, Manolassss!»). Certo, Tiki Taka, da sette anni, era proprio lui, la nave corsara creata per riempire un buco di palinsesto e poi diventata appuntamento, ci mancherà. Quelli di Mediaset però sono stati bravi, e a fare quella cosa (o un’altra cosa, vedremo) hanno chiamato Chiambretti, uno che naviga tra i linguaggi televisivi, che è andato vestito da postino davanti al Presidente della Repubblica, che ha sdoganato lo smoking con le sneakers e che si è inventato Costantino della Gherardesca vestito da maga. Insomma, uno da cui aspettarsi sorprese, speriamo. Intanto però sarà una stagione di assenze, di passaggi, di melanconia: gli stadi senza spettatori, il rumore del palo non più coperto dagli “ohhhh”, gli studi televisivi senza pubblico, speriamo non ci siano positivi nelle squadre sennò risalta tutto, precarietà, l’autunno che diventa inverno.

Noi senza Ilaria, noi senza Pier, noi senza pure Gianni Mura, che se lo leggeva mio padre ma anche io, e adesso al suo posto a Repubblica hanno preso Condò e speriamo, bravissimo anche lui, eppure quella roba là è finita, per forza, mica può tornare, chanson d’amour. Ci restano ancora i pezzi romantici di Claudio Valeri e Marco Franzelli sulla Rai, speriamo in Donatella Scarnati con la Nazionale, forse i Gallagher fanno pace, speriamo, vediamo, adieu.

Da Undici n° 34