Uno è vestito di bianco, l’altro di verde. Entrambi con la maglia della Nazionale Italiana indosso e in fila indiana con i propri compagni. L’unico obiettivo, fino a un secondo prima, era la partita. Il rumore dei tacchetti sul pavimento si ferma. I due ragazzi si staccano dai propri compagni, sorridono, e si lasciano andare a un lungo abbraccio, dodici anni dopo l’ultima volta. Erano in Somalia, il loro Paese d’origine. Le famiglie si conoscevano, giocavano insieme per le strade del loro paese. Poi le vicissitudini di una vita piena già a diciassette anni li ha divisi.
Si sono rincontrati in Italia, per adesso solo da avversari su un campo da calcio. Un incontro forse impossibile se non ci fosse stato il torneo finale di “Rete!”. Un progetto di responsabilità sociale promosso da FIGC e dal Settore Giovanile e Scolastico, riservato ai minori stranieri non accompagnati accolti in Italia e finalizzato a favorire i processi di inclusione attraverso il calcio. In collaborazione con il Ministero dell’Interno, l’ANCI e il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SIPROIMI), con il sostegno di Eni e Puma.
Arrivato alla sesta edizione, la fase finale di “Rete!” ha avuto luogo a Roma domenica 11 ottobre, con le tre squadre migliori dei 54 Centri di accoglienza sparsi su tutto il territorio italiano che hanno aderito all’edizione 2020 del torneo. Oltre 500 i ragazzi coinvolti, provenienti da dieci regioni italiane. Alla fine ha vinto Trento, battendo i centri SIPROIMI di Mazzarino (Sicilia) e San Severino (Basilicata). Uno dei due ragazzi somali ha anche segnato il rigore decisivo. Lui, di mestiere, fa il centrocampista nelle giovanili del Trento. «Con i miei amici del centro gioco in difesa, lascio a loro i ruoli in attacco», dice. Perché il fine ultimo del progetto non è vincere, forse non è nemmeno partecipare, ma includere, regalare, anche attraverso il calcio, un futuro ai tanti ragazzi arrivati in Italia da soli e con ogni mezzo. Del “come” preferiscono non parlare, riservati sul passato. Gli occhi raccontano qualcosa. Per le parole c’è il presente, fatto di Amadou, Sofian, Alex, compagni di squadra e amici del centro di accoglienza. Ognuno con una storia diversa, un passato vissuto tra Libia, Somalia, Mali, Senegal. Ma anche Pakistan, Birmania e Bangladesh.
L’Italia li ha uniti, sicuramente dal punto di vista linguistico in campo. Perché il calcio è linguaggio universale, divertimento, passione e il progetto “Rete!” il giusto premio a un anno di sacrifici tra allenamenti e partite. Ma tutto il sistema fa tanto di più per questi ragazzi. A livello territoriale gli enti locali, con il supporto delle realtà del terzo settore, garantiscono interventi di accoglienza integrata che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socioeconomico. E il calcio va di pari passo, tramite una forte sinergia con le società sportive del territorio. Favorendo i processi di inclusione e tesseramento, ma anche quell’integrazione reale fatta di semplice vita di spogliatoio con i ragazzi italiani.
C’è un sistema di accoglienza che, tra mille difficoltà, funziona. Dietro c’è un Governo centrale che nel 2018, attraverso il cosiddetto “decreto Salvini”, ha modificato i criteri di inclusione. Gli SPRAR sono diventati SIPROIMI. Un cambiamento non solo di acronimo, ma una sostanziale ridefinizione dei confini del sistema di accoglienza. Precedentemente riconosciuta – secondo il Governo gialloverde – «sulla base della generica previsione di seri motivi di carattere umanitario dai contorni indefiniti», dal 2018 trasformata e concessa in presenza di «ben definite circostanze». Ma in prima linea rimangono sempre le persone. Con acronimi e regole che si modificano di continuo, a seconda dei tanti, troppi interessi del momento, il lavoro quotidiano di chi veramente accoglie non cambia. Mai.
Due delle squadre dei centri SIPROIMI schierate prima dell’inizio di una partita
Omar è un ragazzone di 31 anni, arrivato in Italia cinque anni fa dal Gambia che ha vissuto sulla sua pelle la realtà di un centro di accoglienza. Da due anni fa il mediatore culturale nel centro SIPROIMI di Mazzarino. Ha fatto il salto, costruendosi un futuro, «ma sono come loro, solo un po’ più grande». Il senso di responsabilità traspare ad ogni gesto. Sempre accanto ai ragazzi, sprone e consigliere. Allenatore, amico ma soprattutto educatore. «Non sono solo un tramite tra loro e la struttura. Li aiuto a trovare soluzioni ai loro bisogni, risolvo i problemi quando posso. Do voce ai non detti, perché per molti la lingua, soprattutto all’inizio, è un grande ostacolo. Per loro ci sono sempre». Saper ascoltare è al centro di tutto, ma l’educazione e l’insegnamento sono il mezzo per l’obiettivo più grande del sistema: «Ognuno dei ragazzi arriva in Italia con un’idea e un progetto di vita ben preciso. Sta a noi indirizzarli e sviluppare insieme a loro un percorso di crescita che li porti ad intraprendere la strada migliore per il futuro».
Molteplicità e diversità sono facce della stessa medaglia. Tante etnie, così come tanti e diversi sono gli obiettivi e bisogni di ognuno. Da conciliare e far convivere in una realtà nuova e sconosciuta per dei ragazzi ancora adolescenti. La chiave sta in una sola lettera: integrazione attraverso l’interazione. E il calcio è il passepartout universale per scardinare ogni barriera. I numeri crescenti del progetto “Rete!” sono lì a dimostrarlo. Nell’arco di 6 anni ha quasi triplicato il numero dei partecipanti, passando dai 237 ragazzi e 24 centri SIPROIMI del 2015, ai 570 giovani e 54 strutture d’accoglienza del 2020. Un trend in continua e costante crescita reso possibile grazie alla FIGC che offre organizzazione e professionalità, mettendo a disposizione la capillare struttura dello staff di tecnici federali regionali. Eccellenze che i SIPROIMI d’Italia accolgono con entusiasmo e la risposta dei ragazzi in campo è evidente. Il livello si alza, così come la competitività. Partecipano per crescere e migliorarsi. Scendono in campo per vincere. La coppa e le medaglie sono solo il riconoscimento di uno sforzo lungo un anno. L’essenza sta tutta nella foto finale. Vincitori e sconfitti, insieme. In bianco, in azzurro, in verde.