Come il Napoli ha ritrovato il vero Lozano

C'entrano qualcosa Osimhen e il nuovo stile di gioco della squadra di Gattuso, ma anche i nuovi tempi del calciomercato hanno avuto un peso decisivo.

Il primo mese della Serie A 2020/21 ha detto che ci sono tre certezze: Zlatan Ibrahimovic è ancora uno degli attaccanti più decisivi in Italia; le partite del Sassuolo sono le più divertenti da guardare e forse anche da giocare; Hirving Lozano è diventato un calciatore importante per il Napoli. Se alle prime due cose eravamo ormai abituati – per Ibra va così da oltre un decennio, il Sassuolo gioca in questo modo da quando è guidato da De Zerbi – il rendimento dell’attaccante messicano del Napoli è una sorpresa. Il giocatore che l’anno scorso faceva fatica a stare in campo ha segnato quattro volte nelle prime tre partite, una ogni 60 minuti di gioco, praticamente ha realizzato lo stesso numero di gol che ha messo insieme in tutta la scorsa stagione (quando si è fermato a quota cinque, in 34 presenze).

Le prestazioni di Lozano costringono a una riflessione, a ricalibrare l’idea che ci eravamo fatti di lui durante il primo anno al Napoli, in cui non c’era stato nulla di quanto visto con il Psv Eindhoven e con la Nazionale messicana – cioè il motivo per cui Carlo Ancelotti aveva deciso di portarlo al San Paolo. Il primo cambiamento è tutto suo, riguarda Lozano, è nella sua testa, nelle giocate che fa in campo, quelle che tenta e quelle che gli riescono. I problemi della scorsa stagione erano prima di tutto individuali: con il senno di poi è chiaro che ha avuto difficoltà ad ambientarsi, a trovare i suoi spazi in campo e nello spogliatoio, a fare la tara con un campionato diverso, con avversari diversi, compagni di squadra diversi. Nelle ultime settimane è cambiato così tanto che sembra ovvio che Lozano non fosse quel giocatore lì, che non potesse essere solo quel giocatore lì. Ma fino a poche settimane fa era più difficile crederlo.

Il cambiamento, oltre che in Lozano, c’è stato però anche nel contesto tattico in cui si muove il Chucky. Gattuso ha trasformato la squadra lenta, prudente e ordinata della scorsa stagione in una squadra elettrica, verticale, sempre pronta ad attaccare lo spazio quando se ne crea l’occasione. È cambiato l’approccio alle partite del Napoli: oggi gli azzurri battono strade diverse, prediligono una fase offensiva rapida e diretta, non più basata sulla qualità tecnica nello stretto e sull’attacco posizionale. È una soluzione costruita anche sulle necessità: Gattuso deve nascondere i limiti tecnici di Manolas, Hysaj, Bakayoko, allora ha deciso di non fare più affidamento (solo) sul palleggio insistito.

La partita di sabato contro l’Atalanta è stata il manifesto del nuovo Napoli, che ha creato azioni d’attacco con pochi passaggi, allungando il campo in verticale prima ancora di sfruttarne l’ampiezza. In questo nuovo assetto una delle chiavi di volta è Victor Osimhen, utilizzato nel ruolo di centravanti: il nigeriano può impegnare i difensori avversari prendendo posizione sui palloni che arrivano dalla difesa, o direttamente da Ospina, attirando la marcatura dei centrali, ma soprattutto sa diventare letale se lanciato in campo aperto. Così la sola presenza dell’ex Lille apre praterie enormi di cui Lozano è il primo a beneficiare. Se l’anno scorso l’esuberanza atletica del messicano era strozzata da spazi stretti e azioni fin troppo manovrate – in cui si notavano solo le sue carenze nel gioco associativo – quest’anno è liberata in attacchi alla profondità in cui può sfidare il diretto marcatore, una gara di velocità che si ripete in loop un’azione dopo l’altra.

La rinascita del messicano racconta quanto possa essere importante per un giocatore trovare un contesto adeguato, ritagliato sulle proprie qualità. Può essere la differenza tra yin e yang, tra Lozano da cinque gol in un anno e Lozano da quattro gol in 240 minuti. Insomma, queste prime quattro giornate di campionato e il caso-Lozano ci dicono – ancora una volta, in maniera ancora più profonda – che il giudizio su un giocatore non può essere astratto dalla squadra in cui gioca. Poche settimane fa questo stesso ragionamento si applicava a Duván Zapata, un giocatore che ci spingeva a interrogarci se fosse possibile portare il suo incredibile rendimento fuori dalla bolla dell’Atalanta: «Il grande merito di Gasperini è quello di aver compreso quanto possa essere letale, per gli avversari, azionare il centravanti colombiano in situazioni dinamiche. In questo modo si nascondono gli aspetti meno sviluppati del suo gioco e si valorizzano le sue qualità». E lo stesso discorso, ma all’opposto, vale per un giocatore come Eriksen: il danese, fino a questo momento, è stato incastrato a forza in una squadra in cui non è previsto un giocatore come lui, che non chiede il suo aiuto, e non è disposta a cambiare per assorbirne il gioco. È così che l’Inter di Conte penalizza Eriksen.

Nella partita contro l’Atalanta, Lozano ha segnato il suo terzo e quarto gol in tre partite di questo avvio di stagione, tutte giocate da titolare (Francesco Pecoraro/Getty Images)

Partendo dal nuovo assetto, Gattuso sta costruendo un Napoli diverso, che esalta proprio le caratteristiche degli ultimi due grandi acquisti (almeno in termini di spesa) del club: Osimhen e Lozano, appunto. Non è una scelta solo sportiva: valorizzare questi due giocatori, cioè due dei maggiori asset del club, è una necessità manageriale, finanziaria. Prima e durante l’ultima estate, la società sembrava orientata – per non dire destinata – a vendere Lozano, ovviamente se avesse trovato una squadra disposta a spendere almeno la stessa cifra investita l’anno precedente – circa 40 milioni di euro. L’Everton di Ancelotti e l’Atlético Madrid erano le potenziali acquirenti, e a queste condizioni il Napoli probabilmente avrebbe ceduto l’attaccante messicano. Però anche il calciomercato nel 2020 è stato stravolto e ha perso la sua normalità, come tutte le altre cose.

Il Coronavirus, lo stop ai campionati e la crisi diffusa di liquidità hanno alterato i parametri di tutte le trattative: «si punta sulle certezze, e le grandi scommesse vengono rimandate a tempi migliori», ha scritto Simon Kuper su Espn. E Lozano era proprio una scommessa, per l’Everton, per l’Atlético Madrid, per qualsiasi squadra in cui sarebbe potenzialmente approdato. Così il Napoli si è trovato con le spalle al muro, in pratica: ha dovuto scegliere se svendere il giocatore – quindi perdere parte dell’investimento fatto solo un anno fa – o se puntare su di lui. Ha deciso di crederci, ma anche di provare a costruire una squadra che giochi con e per Lozano, in modo da rivitalizzare il giocatore, il suo status, la sua valutazione sul mercato.

Con la Nazionale messicana, Lozano ha finora segnato 10 gol in 39 partite. Suo, ai Mondiali 2018, il gol con cui la Tricolor ha battuto i campioni in carica della Germania (Benjamin Cremel/AFP via Getty Images)

Lo slittamento dei campionati e della sessione di mercato ha concesso al Napoli più giorni per riflettere, per immaginare il suo futuro, e per fare una scelta che per il momento si sta rivelando vincente. Ma che in tempi normali, forse, non avrebbe fatto. La nuova scansione dei tempi ha determinato la nascita di un Napoli diverso – più adatto alle caratteristiche di Lozano – e il “ritrovamento” di un giocatore rigenerato. La normale ciclicità del mercato e del calendario forse non avrebbero concesso questa seconda opportunità, una sorta di fiducia supplementare che sta pagando grossi dividendi. E che potrebbe determinare altri benefici nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, forse nei prossimi anni. Più in generale, la pandemia ha permesso al calcio, ai club, ai giocatori, di guardare le cose da una prospettiva differente, da angolazioni nuove, aprendo scenari che di solito sono esclusi a priori dalla frenesia, dalla ricerca del risultato immediato.

In fondo anche Jürgen Klopp, prima di raggiungere l’apice delle prestazioni con il Liverpool, ha impiegato diverse stagioni per trovare la quadratura del suo progetto – così come Ferguson aveva iniziato piuttosto male la sua avventura a Manchester, alla fine degli anni Ottanta. La decisione del club di insistere su di lui dopo i primi fallimenti, anzi incoraggiandolo con una rosa sempre più adatta alle sue idee, alle sue visioni, era sembrata quasi anacronistica: perché puntare su un allenatore che ha bisogno di tempo per vincere se si può andare all-in e provare a vincere da subito? Tre anni fa, prima che i Reds iniziassero a giocarsi la Premier League con il Manchester City, la strategia del club poteva sembrare un po’ naïf. Ma vincere tutto e subito è quasi sempre frutto del caso, più che del merito. Per raggiungere certi livelli di prestazioni, quindi di risultati, il più delle volte occorre aspettare, investire, costruire, un mattoncino alla volta. Il Napoli lo ha fatto intorno a Lozano, e ha già iniziato a raccogliere i frutti di questa scelta.