Passare un pomeriggio a guardare i video degli assist di Kevin De Bruyne, alla ricerca di un pattern che permetta di inquadrarlo come il miglior assistman dell’era moderna, rischia di diventare noioso. Almeno fin quando lo sforzo visivo si concentra unicamente su di lui. Per quanto sia un giocatore bello da vedere dal punto di vista estetico, tecnico e tattico, la ripetitività delle compilation di passing skills presenti su YouTube finisce quasi per ridimensionarlo, standardizzando la qualità di ogni tocco, di ogni passaggio, di ogni intuizione con e senza palla, come se veicolasse una sensazione di “già visto” che non appartiene a un giocatore unico nel suo genere.
Tutto cambia, però, se ci si focalizza su chi sta intorno a De Bruyne – i compagni di squadra, ma anche gli avversari. Un assist è tanto più “debruyniano” quanto più il destinatario risulta connesso, quindi pronto, a ciò che De Bruyne farà. Si tratta di un’estensione ulteriore del concetto di rischio di cui parlava Cantona e che accomuna il belga a tutti i grandi giocatori cerebrali e di visione: nessuna giocata è troppo rischiosa o ambiziosa se è parametrata sulla fiducia nelle capacità e nelle caratteristiche degli altri. E, in ogni caso, non è nemmeno solo una questione di ciò che fa, del singolo gesto, ma anche di ciò che gli altri 21 giocatori sul terreno di gioco credono che possa fare: un dominio sulla partita cerebrale e psicologico, prima ancora che tecnico.
De Bruyne, soprattutto nelle situazioni in cui riceve il pallone poco oltre la linea di metà campo, mentre gli esterni offensivi attaccano lo spazio alle spalle della linea difensiva, è l’equivalente calcistico del quarterback Nfl che al momento dello snap ha pochi decimi di secondo per decidere quale corsa premiare. Tutto ciò che fa De Bruyne avviene in funzione dei movimenti di Sterling, Aguero, Mahrez e Gabriel Jesus, in funzione di ciò che loro, i compagni di De Bruyne, potranno fare (o non fare) una volta raggiunti dal passaggio. Perché il passaggio arriverà, questo è quasi certo: stando alle statistiche di WhoScored, accade almeno otto volte su dieci da quando è al City. E infatti l’assist a Sterling contro il Marsiglia in Champions League è stato il numero 87 dal 2015, 18 in più di qualsiasi altro giocatore di Premier League in questo stesso arco temporale. Contro lo Sheffield, l’altro ieri in Premier League, è arrivato il passaggio decisivo numero 88.
Questo principio va però al di là di numeri e statistiche e domina ogni aspetto del gioco di De Bruyne. Anche, anzi soprattutto, quando la rifinitura risulta minimalista per scelta, tempismo ed esecuzione: l’appoggio che permette a Sterling di chiudere la transizione con il gol del 2-0 contro il West Ham o il tocco a tagliare fuori l’intera linea difensiva del Wolverhampton, sono l’espressione di una capacità di reazione in cui il fattore estetico è del tutto incidentale o comunque subordinato all’efficacia, sebbene la ripetitività di certi gesti tecnici lascerebbe supporre il contrario. Significa che un assist di De Bruyne è anche un assist bello ma è prima di tutto un assist efficace e adatto alla singola situazione. Come quando, dopo aver ricevuto in corsa sul lato corto dell’area di rigore, si ricorda di essere anche uno dei migliori esterni offensivi del mondo, brucia il diretto avversario sul primo passo e mette in mezzo quei palloni bassi, forti e fronte porta che bisogna solo spingere in rete.
Per conferma basterebbe chiedere ad Aguero, Bernardo Silva e Gabriel Jesus, solo per restare alla stagione in cui ha eguagliato Henry per numero di assist (20) in un campionato. Oppure a Koulibaly che, in Champions League, venne puntato con il primo controllo e saltato con il secondo senza avere il tempo di realizzare cosa fosse quella macchia celeste che gli era passata accanto a una velocità insostenibile persino per uno come lui, in una progressione prima dell’assist che è ancora più impressionante dell’assist stesso per tecnica, fisicità, brutalità.
Tuttavia nell’epoca delle signature moves e delle giocate che diventano brand, anche De Bruyne ha un colpo che è soltanto suo e che lo distingue dagli altri centrocampisti d’élite: il passaggio “ad aggirare” il difensore e a premiare l’inserimento del compagno dal lato debole. Che sia nella sua versione “light” – direttamente su palla da fermo o calciando di prima, a memoria, a trovare l’uomo sul secondo palo – o in quella più iconica e scenografica, con la palla che viaggia veloce e a pelo d’erba, il principio è quello della palla curva nel baseball, ovvero giocare sul tempo di reazione dell’avversario per sottrargli la possibilità di intervento.
Il 14 ottobre 2017, al 55esimo minuto di una gara contro lo Stoke che i Citizens vinceranno 7-2, il belga viene servito sulla trequarti destra di campo, inseguito da Erik Pieters. Il passaggio, forte e sulla corsa, permette a De Bruyne di non preoccuparsi troppo dell’avversario che gli corre accanto, di alzare la testa quella frazione di secondo necessaria a vedere lo scatto di Gabriel Jesus sul lato opposto e di calciare forte e a effetto di collo interno. Darren Fletcher, in affannoso ripiegamento difensivo, si aspetta il tocco in diagonale dritto per dritto e cerca di occupare l’unica direttrice disponibile, ma quando vede la palla curvare e andare verso l’attaccante brasiliano è ormai troppo tardi: l’impietosa inquadratura frontale, mostra il centrocampista scozzese scivolare sull’erba del City of Manchester più per un malcelato senso di impotenza e frustrazione che per cercare un intervento in scivolata che De Bruyne aveva eluso nel momento stesso in cui il pallone si era staccato dal suo piede.
Dieci minuti dopo la giocata viene replicata. Stavolta De Bruyne avanza centralmente in conduzione, con le due linee dello Stoke che scappano all’indietro; è in possesso palla, ha una visione pressoché totale dei metri di campo davanti a lui e può gestire in assoluta tranquillità spazi e tempi dell’imbucata. Appena Fletcher fa per staccarsi e uscire in pressione, il destro del belga si trasforma nel putter del golfista che alla diciottesima buca sta per chiudere un giro sotto il par: la palla passa in mezzo a Zouma e Martins Indi e arriva, carica di effetto, sul sinistro di Sané che non deve far altro che sentenziare il povero Butland, mentre Geoff Cameron si trova tagliato fuori già in partenza nonostante si fosse dimostrato particolarmente reattivo nel seguire il movimento dell’esterno tedesco.
Nel ricordare quest’assist come la sua miglior giocata di sempre, De Bruyne dirà che «non è un qualcosa che puoi allenare, semplicemente è un momento della partita: vedi uno spazio che pensi di poter sfruttare e ci provi. La questione non è legata al grado di difficoltà del passaggio ma alla tua visione del calcio».
Una visione che, nel suo caso, è figlia di una superiorità tecnica e antropologica: come direbbe Guardiola, De Bruyne «vede tutto e lo vede prima» ed è in grado di semplificare situazioni complesse sfruttando questa comprensione anticipata del gioco. In questa gara contro il Liverpool la rapidità e la geometrica precisione con cui mette Agüero in condizione di giocarsi l’uno contro uno contro il portiere è disarmante ben più della passività della terza linea di Klopp, anche se il sospetto è che l’aver azzerato i tempi di azione e reazione in appena due tocchi avrebbe reso passiva qualsiasi difesa.
Certe volte la sensazione è che De Bruyne abbia un piede prensile che gli permette di deformare la comune percezione di una giocata, sorprendendo e sorprendendosi del compromesso che è riuscito a trovare tra estetica e utilità: «Oggi giocare un calcio semplice è la cosa più difficile. Ma quando la palla rotola sull’erba è la gioia più grande che si possa provare nella vita. E quando al City giochiamo in quel modo, quando siamo fluidi, per me è il Nirvana», dirà nell’agosto 2019 a The Players’ Tribune.
Contro il laser-pass che taglia il campo per 25-30 metri da sinistra verso destra non c’è, invece, difesa che tenga: si tratta di un fondamentale che forse il solo Messi padroneggia meglio di De Bruyne, che comunque l’ha implementato in maniera naturale nel momento in cui Guardiola ha deciso di estremizzare il concetto di verticalità applicato al suo calcio. E quando l’inserimento del compagno avviene nei tempi giusti, si può persino ovviare ad un eventuale difetto nella conclusione: contro il West Bromwich Fernandinho ha già segnato nel momento in cui attacca lo spazio dove sa che De Bruyne farà arrivare il pallone, permettendosi (e permettendoci) di sorvolare sulla relativa pulizia tecnica del suo diagonale mancino.
Parlare di una “fenomenologia” degli assist di De Bruyne, quindi, significa raccontare il suo modo di interpretare in chiave moderna il ruolo dell’assistman. De Bruyne è un regista, ma anche un trequartista, una mezzala e un esterno d’attacco, è tanti passatori in uno fusi nel centrocampista totale, il giocatore che decide i ritmi della partita ed è in grado di creare dal nulla un’azione dal gol grazie a una superiorità tecnica, fisica e psicologica con pochi eguali nella storia. Un innovatore che ha riscritto l’idea stessa di rifinitura portandola a standard d’eccellenza superiori che costituiscono il nuovo parametro di riferimento, un genio che sta cambiando il suo sport senza la necessità di forzare una rivoluzione, il giocatore che Guardiola vorrebbe vedere «segnare un milione di gol anche se penso che preferisca fare un assist». E noi con lui. Perché di questo gol di David Silva contro il West Ham quello che resta negli occhi è il momento immediatamente precedente. Il momento dell’assist. Il momento di Kevin De Bruyne.