Quando, al minuto 33 della sfida tra Atalanta e Liverpool, Diogo Jota ha scherzato Hateboer, portandosi il pallone dal sinistro al destro prima di calciare sul primo palo e prendere in controtempo Sportiello, la sensazione è stata che le responsabilità dell’esterno olandese fossero comunque maggiori rispetto alle abilità del portoghese, che pure era riuscito a spostarsi il pallone sul suo piede forte con una naturalezza e una facilità disarmanti persino per uno con le sue qualità tecniche. In realtà la scelta di Hateboer di posizionarsi in modo da contrastare un’eventuale volée mancina era stata la diretta conseguenza di un primo tempo che l’ex giocatore del Wolverhampton aveva giocato in maniera totalmente contro-intuitiva, usando solo il piede sinistro, o quasi.
Dopo nemmeno due minuti dal fischio d’inizio, infatti, Diogo Jota aveva già creato la prima palla gol costruita tutta con il sinistro, anzi si può dire con una giocata alla Salah, piantando sul primo passo lo stesso Hateboer e anche Palomino, e mancando di lucidità solo nel momento di angolare a sufficienza la conclusione in diagonale; al 16esimo, poi, aveva siglato la rete del vantaggio, dettando la traccia verticale ad Alexander-Arnold e leggendo in anticipo il momento in cui Sportiello avrebbe spostato il peso sulla sua gamba sinistra per chiudergli l’angolo per la conclusione di destro.
Giocando in questo modo, è come se Diogo Jota avesse avesse demolito il piano partita di Gasperini, mandando all’aria tutti gli adeguamenti difensivi preparati a tavolino dall’allenatore dell’Atalanta, per poi tornare indietro e determinare un nuovo effetto-sorpresa alla prima occasione utile. Anche il terzo gol personale – quello del 5-0, il più facile, complice anche un’uscita un po’ così di Sportiello – sarebbe stato realizzato con il piede solo nominalmente più debole. Ma a quel punto non aveva più importanza.
Il secondo gol di Diogo Jota contro l’Atalanta: ad Hateboer gira ancora un po’ la testa
Quella all’Atalanta è stata la terza tripletta di Diogo Jota nelle ultime otto partite europee disputate, e, nell’immaginario collettivo, è destinata a prendere il posto di quella realizzata in Europa League, quando i Wolves ospitarono e sconfissero il Besiktas, nel dicembre 2019: al 57esimo minuto, il suo colpo di testa sul secondo palo dà forma e concretezza allo splendida preparazione di Pedo Neto; al 63esimo il suo tap-in ribadisce in rete una terrificante conclusione dai 25 metri di Leander Dendoncker, che però viene respinta dal palo; al 68esimo arriva il comodo tocco sotto misura su assist del danese Oscar Buur. Tre gol in undici minuti partendo dalla panchina, terza tripletta più veloce nella storia della competizione.
Una dimostrazione di superiorità tecnica, fisica e psicologica replicata qualche mese dopo, sempre in Europa League e sempre con una tripletta, questa volta realizzata contro l’Espanyol: la semplicità, anzi la leggerezza, con cui in occasione del quarto gol passa in mezzo a due avversari con una semplice finta di tiro prima del destro a incrociare, potente e preciso, è la rappresentazione di un giocatore di alto e altro livello, troppo più forte di compagni e avversari, almeno in certe partite. In quel momento della sua carriera Diogo Jota era arrivato dove erano già stati i Falcao, i Payet, gli Huntelaar, gli Aduriz: era un atleta talmente sovradimensionato rispetto al suo contesto che sembrava riuscire a trasformare un’intera competizione in una sorta di playground personale. Un po’ come settare su “principiante” la difficoltà della vostra partita su FIFA21 e divertirsi a vedere i giocatori controllati dall’IA incapaci di opporre qualsiasi tipo di resistenza.
Anche il gol di Ruben Neves non è niente male
Raccontare Diogo Jota solo attraverso i gol realizzati – sei nelle ultime quattro partite – potrebbe sembrare riduttivo, soprattutto se si considera la sua versatilità. Una dote che ne ha fatto uno dei punti fermi anche del Liverpool di Klopp, ovvero una delle squadre di club più forti al mondo. Tuttavia è proprio nelle gare in cui segna che emerge la sua natura di arma offensiva totale: «Segnare dei gol è ciò che contraddistingue il mio gioco, quindi ogni volta che scendo in campo il mio principale obiettivo è segnare e creare le condizioni perché ciò avvenga», ha detto dopo la serata del Gewiss Stadium. E se nei Wolves di Nuno Espirito Santo era il giocatore chiave dal punto di vista creativo in un sistema liquido, costruito sull’interpretazione moderna e dinamica del ruolo di trequartista che domina l’ultimo terzo di campo agendo alle spalle della linea di pressione, in questi primi mesi con il Liverpool la sua centralità è strettamente connessa al modo in cui riesce a eseguire ciò che gli viene richiesto. Non è solo una questione di ruoli, compiti e funzioni ma di adattabilità e interpretazione: quando viene impiegato nel tridente offensivo – da esterno o finto nueve cambia poco – viene fuori la natura immediata, diretta e verticale del suo gioco, che gli permette di adeguarsi naturalmente a un sistema di corse e tagli pensati per dominare lo spazio prima ancora che il pallone; quando, invece, viene utilizzato come mezzala di costruzione, la sua dimensione associativa gli permette di creare situazioni di superiorità numerica e posizionale attraverso giocate qualitativamente superiori per scelta, esecuzione, tempismo, efficacia.
Diogo Jota è ciò che Klopp ha cercato – e sta continuando a cercare – in Salah, ovvero l’evoluzione da “semplice” realizzatore a giocatore in grado di creare e sviluppare connessioni entrando dentro il campo partendo dall’esterno. È così che Diogo Jota, ormai tre anni fa, ha dominato la Championship ben al di là dei numeri – 17 gol e cinque assist in 43 partite nel 2017/2018. È così che ha realizzato contro il Cardiff City la rete simbolo del suo manifesto calcistico, quello in cui è iniziatore e finalizzatore all’interno della stessa azione: ricezione spalle alla porta ai 30 metri, doppio triangolo con Jiménez, attacco dello spazio liberato dal movimento di Gibbs-White, facile conclusione ad anticipare Etheridge in uscita.
Flipper
C’è, poi, un altro dettaglio che lo rende il fit perfetto per il Liverpool: la velocità. O, meglio, la tecnica in velocità declinata in due differenti aspetti. Il primo, più ovvio, è relativo alla dimensione atletica del gioco: per quanto i suoi strappi in conduzione siano, dal punto di vista muscolare, più elastici che esplosivi – sebbene la brutalità di questo cambio di direzione contro l’Arsenal lascerebbe pensare il contrario – Diogo Jota è comunque un giocatore visibilmente più veloce degli altri, allo stesso modo in cui lo sarebbe ascoltare un 33 giri a 45.
Il cambio di passo, l’elasticità della progressione e la frequenza di corsa da esterno offensivo di nuova generazione, non sono così vistosi rispetto a quelli di un Salah o di un Mané, ma costituiscono ugualmente l’espressione di una superiorità fisica evidente e che si esprime anche al momento della conclusione: il contrasto tra la leggerezza negli appoggi e la violenza del suo tiro fronte porta è la sintesi perfetta tra l’armonia del gesto tecnico e atletico e la sua stessa efficacia. Peraltro ottenuta senza sforzo apparente, come tutte le cose che accadono semplicemente perché devono accadere.
In effetti sembra tutto molto semplice, molto naturale
Il secondo aspetto riguarda l’elemento “funzionale” della sua velocità, ovvero la capacità di fare la cosa giusta nel minor tempo possibile. Il gol del 2-1 realizzato contro il West Ham rappresenta perfettamente questo concetto: il modo in cui attacca la traccia interna una frazione di secondo dopo il controllo orientato di Shaqiri appartiene a un giocatore in possesso di enorme rapidità, di piede e di pensiero, con e senza palla, una qualità che lo pone su un livello più alto rispetto a molti compagni e molti avversari. Diogo Jota gioca più velocemente degli altri perché pensa e reagisce altrettanto velocemente: la rapidità è la base di partenza per una rifinitura e una finalizzazione pulite, precise e imprevedibili pur nella loro apparente semplicità. In un calcio che premia la velocità, in cui più sei veloce più sei prezioso, il portoghese ha trovato il modo di sfruttare tutti i vantaggi connessi all’essere molto più veloce e di azzerare le controindicazioni dell’essere troppo veloce.
Un assist bellissimo, un tempo di inserimento perfetto
Per questo l’impatto con la nuova realtà deve stupire fino a un certo punto. Così come non stupisce che Klopp stia cercando dei nuovi equilibri di squadra che gli permettano di far coesistere i suoi “fab four”. Poche ore fa, Peter Crouch ha detto che «lo stato di forma di Jota ha cambiato le carte in tavola. Ero certo che Firmino fosse un giocatore a Klopp non avrebbe mai rinunciato, ma ora l’allenatore ha una grande decisione da prendere», in riferimento a un dualismo che appare più concettuale che reale. La chiave sta nel modo in cui Jota e Firmino riusciranno a spartirsi le zone d’influenza sulla trequarti: in questo senso l’essere diventato il vero “uomo ovunque” del reparto offensivo potrebbe favorire l’adozione di un 4-3-3 spurio, in cui a fare la differenza sarà la capacità del portoghese di alternarsi nello slot di mezzala e in quello di esterno offensivo, magari in funzione delle singole fasi della partita, lasciando al brasiliano la regia offensiva per vie centrali. Un salto di qualità individuale e collettivo che potrebbe fare tutta la differenza del mondo. Per Diogo Jota, ma anche per il Liverpool.