Il Sassuolo di De Zerbi è la cosa più bella della Serie A

Nessuna squadra italiana gioca in un modo così ricercato, così vicino alle idee del suo allenatore.

La fama di Roberto De Zerbi precede Roberto De Zerbi, da sempre. Anche quando guidava il Foggia veniva descritto come un tecnico idealista, con una cultura tattica molto poco italiana, per cui la costruzione e lo sviluppo di un’identità di gioco chiara, e ben radicata, rappresentavano l’unica strada possibile per raggiungere i risultati. Ovviamente la realtà è molto più sfumata: per esempio, quando viene presentato come nuovo tecnico del Palermo dice di voler innanzitutto ringraziare «i calciatori del Foggia, che ho allenato per due stagioni e che mi hanno fatto conoscere e apprezzare».

Queste parole evidenziano come De Zerbi non sia mai stato un visionario, un tecnico obnubilato da un culto fideistico del sé o da un certo calcio, piuttosto ha sempre avuto la consapevolezza che il successo di un allenatore dipende soprattutto dalla qualità, dalla disponibilità, dall’aderenza dei giocatori rispetto alla sua proposta. Però, in quella stessa conferenza stampa, dice anche di voler dare «subito la mia idea di gioco alla squadra, su questo non scenderò a compromessi: la volontà di fare la partita deve essere il motivo predominante nello spogliatoio, la mentalità fa la differenza». Ancora oggi, questo è il suo approccio al gioco, al mestiere di allenatore.

Assumere De Zerbi è dunque una scelta effettivamente ambiziosa, impegnativa, proprio come il suo calcio. Il Sassuolo, però, è un club che ha la struttura e l’approccio manageriale giusti per “sostenere” un allenatore del genere, e allora ha deciso di affidarsi a lui in tutto e per tutto, ovviamente nel perimetro delle sue possibilità: ha concluso operazioni di mercato – in entrata e in uscita – tese ad accontentarlo, a dargli i giocatori di cui ha bisogno, per qualità e caratteristiche; gli ha dato la libertà di sperimentare in maniera continua, senza troppe pressioni o troppi assilli; ha costruito un progetto di miglioramento progressivo e coordinato, dilatato nel tempo. È così che quella neroverde è diventata una squadra unica nel panorama della Serie A, per identificazione con le idee del suo allenatore. Forse la più bella da veder giocare nel nostro campionato, almeno in questo momento.

Il gioco del Sassuolo è unico non perché abbia qualcosa di veramente innovativo rispetto a ciò che abbiamo già visto nel mondo, ma perché è il più complesso e ricercato nel suo mondo, quello del campionato italiano. Tutti gli aspetti legati alla tattica individuale e collettiva sono stati pensati e studiati a tavolino prima di essere ricercati in campo, e questo ovviamente avviene in tutte le società, per tutti gli allenatori. La differenza è che nel Sassuolo di De Zerbi questo lavoro va in direzione precisa, non trattabile: la squadra neroverde deve sempre provare a controllare il gioco in tutti i suoi aspetti, indipendentemente dalle variabili del contesto – le assenze, i periodi di scarsa forma dei giocatori, il valore assoluto degli avversari di turno, il loro atteggiamento. E il Sassuolo, che ha una rosa di qualità, la nona per valore complessivo in Serie A secondo i dati di Transfermarkt, riesce a interpretare benissimo questo approccio propositivo. Soprattutto ora, nel corso della terza stagione con De Zerbi in panchina.

Lo strumento migliore e più efficace per controllare il gioco, nell’era moderna, è senza dubbio il possesso palla. Il Sassuolo lo utilizza in maniera intensiva (il dato medio per partita è pari al 59,1%, secondo più alto in Serie A dopo quello dell’Inter) soprattutto nella sua trequarti difensiva, laddove costruisce praticamente tutte le azioni partendo dal basso. L’idea fondamentale che guida la risalita del campo della squadra di De Zerbi è la creazione della superiorità posizionale: i difensori neroverdi si scambiano molte volte il pallone con passaggi brevi, rasoterra, coinvolgendo spesso anche Consigli; questa ragnatela richiama il pressing degli avversari, cosi che i terzini e/o i centrocampisti possano muoversi e farsi trovare dietro la linea di pressione. La ricerca esasperata dell’uscita palla al piede, ovviamente, aumenta la probabilità che i giocatori del Sassuolo perdano il possesso in zone pericolose, come successo contro il Bologna, quando Orsolini ha segnato gol il 3-1 della squadra rossoblu, e nell’ultima partita contro il Napoli – ma in quel caso Osimhen non ha saputo approfittarne. Quando funziona, però, la costruzione bassa del Sassuolo porta degli enormi vantaggi. Ed è pure molto bella da vedere.

Uscire palla al piede dalla difesa, un esempio

Nella prima porzione di campo, dunque, De Zerbi ha insegnato e fa attuare i principi del gioco di posizione, che prescindono dallo schieramento dei calciatori: a Napoli, infatti, il tecnico del Sassuolo ha optato per la difesa a tre in fase di impostazione, poi ha scelto il doble pivote composto da Locatelli e Lopez e due esterni a tutta fascia, Muldur e Rogério. Un assetto diverso rispetto a quello utilizzato finora – il 4-2-3-1 – che però non ha cambiato le attribuzioni e l’atteggiamento dei giocatori; anzi, la presenza di un uomo in più in costruzione bassa ha accentuato la tendenza al possesso palla (al termine della gara con il Napoli, il dato percentuale dei neroverdi ha toccato il 57%) e reso ancora più libere e frequenti le progressioni di Chiriches, il centrale con la maggior proprietà tecnica, quello che porta più spesso la palla in avanti anche senza scambiarla con i compagni.

La ricerca del terzo uomo, dello smarcamento dietro le linee avversarie, l’attitudine agli scambi sofisticati, ai passaggi rischiosi, tutte queste dinamiche si manifestano anche in fase offensiva, ma non sono l’unica arma del Sassuolo per attaccare l’area di rigore avversaria. La squadra di De Zerbi, infatti, ha giocatori molto abili ad allungare il campo, ad attaccare in spazi larghi, quindi a un certo punto della manovra è come se cambiasse marcia, proprio per cercare di valorizzare la qualità di questi elementi. Un meccanismo molto utilizzato è quello del cambio campo, così da isolare gli esterni offensivi – di solito sono Berardi e Boga, schierati a piede invertito – e poter creare superiorità numerica grazie alla sovrapposizione dei terzini; spostare il pallone da una fascia all’altra serve anche a sfruttare il lato debole del pressing avversario, una conseguenza inevitabile quando si esaspera il possesso, quindi si aumenta la densità in zona palla – come in questa azione contro il Napoli.

Doppio cambio di gioco, esterno a piede invertito, sovrapposizione del laterale difensivo: una delle opzioni del Sassuolo dopo la costruzione bassa

E poi c’è Caputo, ovviamente: il centravanti pugliese non è solo il giocatore che tira più spesso (3,6 volte per match) nella seconda squadra per conclusioni tentate della Serie A (17,8 ogni 90 minuti, di cui 6,8 nello specchio), ma è anche una punta moderna, dal vasto menu tattico, che attacca tantissime volte la profondità ed è bravo pure quando deve muoversi al di qua della linea difensiva avversaria, per aprire spazi agli inserimenti dei compagni; magari in certe situazioni la sua tecnica non sarà proprio raffinatissima ma questa mancanza viene compensata con un’intelligenza rara, che lo rende una sponda perfetta per calciatori con maggiore sensibilità nel controllo – per esempio Djuricic, che contro il Bologna ha segnato proprio grazie a un assist di Caputo dopo un perfetto movimento in orizzontale, davanti ai centrali avversari, non alle loro spalle.

Caputo, però, resta soprattutto un centravanti puro, in grado di tenere bassa la difesa avversaria, bravissimo quando viene servito a pochi metri dalla porta avversaria. Per sfruttare queste sue doti, il Sassuolo ha imparato a cercarlo spesso anche in profondità, rendendo più diretta e verticale la rifinitura, come in occasione dello splendido gol realizzato l’anno scorso contro la Roma. Poi ci sono tanti altri gol segnati in modi diversi, di testa, anticipando il difensore sotto porta, attaccando il secondo palo, sono tutte soluzioni che possono risolvere un’azione costruita attraverso il possesso, oppure dopo un dribbling sull’esterno e un cross dal fondo. Caputo ha reso più forte ed efficace il Sassuolo di De Zerbi (i neroverdi hanno totalizzato 43 punti e 53 gol segnati nella stagione 2018/19, senza Caputo, poi nell’annata successiva sono arrivati a 51 punti con 69 reti all’attivo) non solo per le sue eccezionali doti realizzative, ma proprio perché ha spinto l’allenatore ad ampliare ancora il suo lavoro, a cercare e creare nuove soluzioni, anche più immediate, in fase offensiva.

Il Sassuolo sa anche verticalizzare molto bene

È dunque ingeneroso, anche perché sbagliato, pensare che il Sassuolo sia una squadra esclusivamente di possesso, una squadra che conosce un solo modo di giocare. Nella rosa di De Zerbi c’è una grande quantità ma anche un’ampia varietà di talento, soprattutto negli elementi più giovani – basti pensare a Raspadori e Traoré. Anche per portare avanti una delle mission del club – la valorizzazione dei giocatori, negli ultimi tre anni, ha fruttato oltre 150 milioni di euro in cessioni – il tecnico bresciano cerca sempre di costruire nuove sinergie tra gli uomini a sua disposizione, senza mai rinunciare a proporre un gioco non solo ricercato, ma ricercato in senso offensivo, che possa far brillare, e non disperdere, la qualità dei prospetti più interessanti. Se in passato questa sperimentazione era costata molto in termini difensivi (negli ultimi due campionati il Sassuolo ha incassato 123 gol a fronte di 122 realizzati), ora la squadra di De Zerbi sembra aver raggiunto un equilibrio migliore: il sistema è sempre sbilanciato in avanti (18 gol segnati e nove gol subiti in sei giornate di Serie A) ma sembra più sicuro rispetto al passato.

Anche in fase difensiva l’atteggiamento e i meccanismi attuati da De Zerbi sono decisamente proattivi, è evidente che il tecnico e i suoi giocatori non accettino l’idea secondo cui occorra snaturarsi in relazione all’avversario: la linea resta sempre abbastanza alta, mai sotto la trequarti campo (a Napoli, nella partita in cui si è abbassato di più, il Sassuolo ha tenuto il baricentro a 46 metri), così che le distanze tra i reparti restino sempre minime; il pressing però non è ossessivo, piuttosto si attiva in determinate circostanze, soprattutto quando il pallone supera il centrocampo, quando diventano più semplici i raddoppi e le scalate dei centrocampisti, degli esterni. I problemi si manifestano quando gli avversari riescono a muoversi e a muovere la palla con velocità, dopo il recupero in zona alta e/o con un’azione sviluppata bene in verticale: Chiriches e Ferrari, i due centrali titolari, non sono particolarmente esplosivi, sono bravi a difendere di testa, di concetto, ma non sono molto reattivi, quindi spesso soffrono le imbucate veloci, i tagli alle loro spalle in condizioni di parità o inferiorità numerica.

Imbucate come queste

L’altra fragilità ricorrente del Sassuolo è la difesa del lato debole, ma si tratta di una problematica genetica, un bug di sistema inevitabile quando la fase passiva è orientata sul pallone – e infatti l’unica grande occasione concessa al Napoli senza un errore in costruzione è arrivata in questo modo. Proprio la partita contro la squadra di Gattuso, però, ci ha detto che il Sassuolo di De Zerbi è arrivato a un livello tale di maturità e di consapevolezza, e ha un sistema metabolizzato così profondamente dai giocatori, che i risultati sembrano dipendere ormai solo da dinamiche volatili, non realmente controllabili, neanche da un allenatore come De Zerbi – le prestazioni individuali, gli errori tecnici, le grandi giocate degli avversari. Al San Paolo, infatti, il Sassuolo è riuscito a imporre il suo gioco e il suo ritmo alla partita nonostante le assenze di Caputo, Berardi e Djuricic; ha sofferto pochissimo contro avversari di grande livello, ha cambiato assetto ma non ha smarrito la sua identità, anzi ha mostrato che tutta la rosa è pienamente dentro il progetto, conosce e sa mettere in pratica il calcio di De Zerbi. Ha vinto per questo, ha vinto con le idee, per le idee, proprio come vuole il suo allenatore.