Questo Verona non è una sorpresa

Il gioco di Juric, lo scouting, l'attenzione ai costi: i grandi risultati degli ultimi due anni sono i frutti di un progetto armonioso.

Il trasferimento di Nikola Kalinic al Verona è stata la vera sorpresa dell’ultimo giorno di mercato: mai ci saremmo aspettati che un giocatore del suo livello, con il suo status, potesse diventare il centravanti di una piccola squadra, ma piccola davvero, del campionato italiano. Certo, va detto che le sue ultime stagioni non sono state proprio brillanti, ma parliamo comunque di un attaccante che tra il 2017 e il 2020 ha indossato le maglie di Milan, Atlético Madrid e Roma. «Serviva un po’ di fantasia, cercavamo una punta forte. Ci è costato molto, ma abbiamo voluto fare una pazzia perché crediamo possa diventare un giocatore veramente importante», ha spiegato il presidente dell’Hellas Verona, Maurizio Setti, forse ancora un po’ stordito, subito dopo l’ufficializzazione dell’accordo. La sua era un’incredulità comprensibile: l’acquisto di Kalinic è un’operazione coraggiosa, forse addirittura rivoluzionaria, per l’Hellas. Soprattutto considerando cos’era l’Hellas fino a poco più di un anno fa.

Nell’estate 2019, il club gialloblu è tornato in Serie A dopo una promozione quasi inattesa, e per approcciare la nuova stagione ha deciso di seguire uno schema ben definito, delineato in ogni dettaglio. Era evidente che il club non avesse le risorse per andare oltre una dura lotta-salvezza – l’anno scorso il Verona aveva il ventesimo monte ingaggi del campionato: 25 milioni di euro – allora la dirigenza ha pensato di creare valore aggiunto lì dove c’era margine per farlo: partendo dal campo, da un certo stile di gioco. Se il nuovo allenatore Juric non dava garanzie in termini di risultati, ha sempre dimostrato di avere idee chiare, che si riflettono in un sistema peculiare e riconoscibile; era il tecnico giusto per costruire un’identità, tattica e non solo, e per trasmetterla a un gruppo che avrebbe avuto valori tecnici inferiori a molte altre squadre del campionato.

È stata una strategia che ha pagato: il sistema di Juric è basato sul sacrificio, sulla ripartizione delle responsabilità in parti uguali, nel 3-4-3 del tecnico croato non ci sono elementi a cui è concesso un attimo di riposo in una delle varie fasi di gioco, anche perché tutti hanno un’attribuzione che può essere delegata a un compagno, per una partita o anche per una singola azione. Un esempio: Miguel Veloso, una figura con caratteristiche uniche nella rosa del Verona per qualità di regia e distribuzione, non è il solo elemento che ha l’incarico di far progredire la manovra; se il portoghese non può verticalizzare con il suo sinistro, allora tocca a Lazovic e alle sue corse palla al piede sul binario esterno, oppure ai tre uomini offensivi, abili anche nel lavoro di cucitura del gioco.

Questo approccio totale ha massimizzato l’efficienza della squadra, aiutando i singoli a esprimersi al meglio. Nella formazione disegnata da Juric, infatti, hanno brillato e sviluppato il loro talento giocatori arrivati a Verona nel silenzio, e che invece hanno dimostrato di poter essere protagonisti ad alti livelli: Faraoni, Lazovic, Amrabat, Kumbulla, Rrahmani. L’esplosione di questi ultimi tre elementi – ceduti rispettivamente a Fiorentina, Roma e Napoli nel corso del 2020, per un incasso totale di circa 40 milioni di euro – racconta il successo di una programmazione che estende anche ad altri reparti della società il concetto di identità, di ripartizione delle responsabilità: oltre a Juric e alla proprietà, l’altro protagonista assoluto nella costruzione dell’Hellas è il direttore sportivo Tony D’Amico. È un vero uomo di culto a Verona, a soli quarant’anni è il più giovane direttore sportivo della Serie A, appare poco in pubblico e ancora più di rado rilascia dichiarazioni di circostanza ai microfoni. Intanto, però, ha dimostrato di saper lavorare molto bene anche con mezzi risicati a disposizione: i risultati del campo e del mercato sono evidenti, così come la perfetta aderenza con le richieste del suo allenatore.

Il Verona è un piccolo capolavoro manageriale assemblato anche grazie a un lavoro di scouting che ha portato in rosa gli uomini giusti, sia per dare una risposta immediata sul campo, sia in un’ottica di sostenibilità futura per il progetto societario. E non è un caso che proprio al termine della scorsa stagione, ad agosto 2020, la società abbia deciso di potenziare ulteriormente il reparto osservatori, con un nuovo responsabile – Paolo Cristallini, in uscita dal Sassuolo – e con Omar Milanetto, ex compagno di centrocampo di Juric ai tempi del Genoa e poi scout proprio in rossoblu e al Torino.

Mattia Zaccagni è uno dei giocatori dell’Hellas che è migliorato di più in queste ultime due stagioni: in 50 gare di Serie A, ha segnato due gol e servito 12 assist; la sua valutazione di mercato secondo Transfermartkt era di 1,5 milioni all’inizio del 2019/19, oggi è di 8,5 milioni (Miguel Medina/AFP via Getty Images)

Il progetto Verona è stabile, coerente, non solo per quanto riguarda la struttura societaria. Il budget stipendi, per esempio, è stato gestito allo stesso modo, anzi è addirittura più basso rispetto alla scorsa stagione, infatti oggi non supera quota 24 milioni – anche se quest’anno ci sono Crotone e Spezia che spendono ancora meno. Anche il valore dell’organico, pari a 109 milioni di euro, resta molto basso: è il 15esimo in Serie A, solo le rose del Parma, del Genoa e delle tre neopromosse valgono meno di quella di Juric. L’idea, evidentemente, è stata quella di attuare ancora una strategia che ha già funzionato. Il Verona, infatti, non ha ancora le risorse per fare un mercato aggressivo e costoso, da squadra della parte sinistra della classifica; o meglio, adesso ha la credibilità per acquistare Kalinic, ma l’arrivo dell’attaccante croato è stata un’operazione di coronamento, mentre il resto della campagna trasferimenti è stata condotta con il solito modello.

Al netto delle cessioni, attese e necessarie, dei giocatori che hanno ricevuto le migliori offerte, il Verona ha scelto di proseguire con Juric e il suo 3-4-3, e ha lavorato per ritoccare la rosa andando a pescare dei giocatori adatti a questo sistema di gioco: Tameze è stato acquistato dall’Atalanta per prendere il posto di Amrabat, Magnani, Ceccherini e Cetin sono arrivati per sostituire Rrahmani e Kumbulla in difesa, Barak è il successore di Pessina nella batteria di trequartisti incaricati di fare gioco a metà campo, e di dare un contributo sotto porta. Sono elementi con caratteristiche molto simili a quelle dei loro predecessori, quindi potenzialmente perfetti per raccogliere la loro eredità. Kalinic a parte, non si tratta necessariamente degli acquisti migliori in senso assoluto, e forse non dovevano neanche esserlo, ma di certo sembrano i più adatti per giocare nella squadra immaginata e disegnata da Ivan Juric. E la forza del Verona è proprio questa.

Da Undici n° 35