La costruzione dell’identità del Barcellona, tra anti-franchismo e Olanda

Perché il Barça è “più che un club”? Una storia che nasce dalla dittatura, passa per Cruijff e in cui l’Olanda è sempre fondamentale.

Da lontano sembra che Casa Amatller, uno degli edifici che definisce l’architettura di Barcellona, abbia un’aria fortemente olandese. Fu commissionata nel 1900 da un cioccolataio, e il suo tetto, costruito come se fosse fatto a gradini, non sarebbe fuori luogo in un canale di Amsterdam. Proseguendo più giù con lo sguardo, tuttavia, lungo la facciata, diventa chiaro che questo capolavoro modernista è un’altra cosa ancora. Un po’ come fa il Barcellona Fc, che contribuisce in diversi modi all’evoluzione dell’immagine della città, questo edificio su Passeig de Gràcia riflette diverse influenze e può aiutare a capire la cultura catalana. La forma della Casa e le sue decorazioni sono influenzate dall’Europa settentrionale. Ci sono dettagli esuberanti di romanico e gotico, richiami ad austeri edifici religiosi

del medioevo, e infine statue semi-deliranti di animali che leggono libri o scattano fotografie. L’architetto, Josep Puig i Cadafalch, fu un’importante figura nel movimento della Renaixença catalana, tra la fine del Diciannovesimo secolo e l’inizio del Ventesimo. Era un politico, storico dell’arte, promotore della lingua catalana e, dal 1917 al 1923, presidente della Mancomunitat, un’antenata dell’odierno governo autonomo. Cadafalch faceva parte di un’élite intellettuale che vedeva la bellezza come uno strumento per formare l’identità catalana contemporanea, che avrebbe dovuto essere internazionale e creativa: un faro della modernità progressista.  Nel calcio, più tardi, questi valori vennero incarnati dallo stile di gioco e vittorie di Johan Cruijff, alla base dell’ascesa del Barcellona da un’oscurità relativa a un’importanza mondiale. Arrivato come giocatore nel 1973, con Rinus Michels in panchina ribaltò il dominio del Real Madrid alla sua prima stagione. Più tardi, come allenatore tra il 1988 e il 1996, e poi come guru per Guardiola, costruì la filosofia e il sistema di sviluppo dei giovani che hanno fatto del Barça, a lungo, il club più di successo e più ammirato del mondo.

Ma tra l’era di Cadafalch e quella di Cruijff, ci fu un lungo buco nero di sofferenza. Talvolta dimentichiamo la totale e selvaggia repressione che venne messa in atto, dopo la vittoria fascista nella Guerra civile del 1936-39, in Catalogna e in altri luoghi della Spagna. Come scrive Paul Preston nel suo libro The Spanish Holocaust, l’obiettivo di Francisco Franco era di annientare l’identità catalana. Come disse uno degli amici del caudillo, ci voleva «una punizione biblica» per «purificare» la «città rossa».

La ferocia del Franchismo, a poco a poco, si diluì, mentre il dittatore cercava l’appoggio delle democrazie occidentali, ma anche in una Spagna industrializzata, e aperta al turismo di massa, il regime rimaneva capace di spaventose crudeltà: nel marzo 1974, durante la prima stagione di Cruijff al Barça, nella prigione di La Model, a nemmeno due chilometri dal Camp Nou, un giovane anarchico catalano chiamato Salvador Puig Antich venne giustiziato con la garrota. Ironicamente, fu anche questa malvagità ad accrescere l’importanza del Barcellona Fc: con la soppressione dell’identità catalana, e mimetizzandosi nella preesistente rivalità con il Real Madrid, il club diventò il centro – e il deposito – dell’identità catalana. Cruijff non parlò mai catalano. Nelle sua prime stagioni, parlava addirittura spensieratamente di «questa città spagnola» e «tifosi spagnoli».

Eppure, un po’ per caso, capitò che lui e sua moglie si affezionassero al nome del santo patrono della Catalogna, Jordi. Nel 1974, appena prima di condurre il Barça a una storica vittoria senza precedenti – 5-0 al Real Madrid – i Cruijff chiamarono il loro primogenito Jordi. Un ufficiale del regime chiese che il nome venisse cambiato nel castigliano Jorge. Johan si rifiutò, e divenne immediatamente, e per sempre, un eroe catalano.

Cruijff ha giocato con il Barcellona per cinque stagioni, dal 1973 al 1978; ha vinto due trofei, una Liga e una Copa del Rey, e ha accumulato 227 presenze in competizioni ufficiali, con 86 gol realizzati (Allsport/Getty Images)

Negli anni, Cruijff rese il Barcellona la superpotenza calcistica più bella e dominante del panorama, prima in Spagna e poi (grazie al suo protetto Guardiola e, tramite questo, a Lionel Messi) in tutto il mondo. I tifosi, entusiasti, sposarono pienamente lo stile olandese, e da lì gli allenatori: in sei, incluso il presente Ronald Koeman, hanno avuto esperienze con l’Ajax. Ma lo rivendicano come loro, e sostengono che l’identità catalana sia ancora forte nella squadra.

A quarantacinque anni dalla morte di Franco, tuttavia, molte cose sono ormai cambiate: la Spagna è una democrazia, e il Barça è un gigante globale, con interessi di mercato primari negli Usa e in Asia, dove la storia del club è praticamente sconosciuta. La Casa Amatller di Cadafalch sorge in un isolato in cui trovano posto due altri grandi edifici modernisti: Casa Batlló di Gaudí e Casa Lleó-Morera di Lluís Domènech i Montaner. Tale è la loro diversità da ogni altro isolato che quel particolare blocco è chiamato IIla de la Discordia. E c’è discordia anche nel Barcellona, oggi: la sconfitta di agosto 2020 per 8-2 contro il Bayern Monaco ha lasciato un club in dissesto sportivo, finanziario e anche politico.

Insieme al Bayern Monaco, il Barcellona è l’unico club d’Europa che ha centrato per due volte il Triplete, vale a dire che in una stagione ha vinto il campionato, la coppa nazionale e la Champions League: i catalani ci sono riusciti nel 2009 e nel 2015 (David Ramos/Getty Images)

Koeman ha il compito di ricostruire; Messi, apparentemente all’ultima stagione, non ha nascosto la sua infelicità; e pur di abbassare un monte ingaggi impressionante, il club ha dovuto liberarsi di talenti come Luis Suárez e Ivan Rakitic senza ricevere chissà quanto in cambio. Nel frattempo, anche l’identità catalana del club rischia di diventare problematica: «La società catalana è divisa sull’indipendenza dalla Spagna come l’Inghilterra lo era su Brexit», ha detto Simon Kuper, autore di un prossimo libro sul club. «Ci sono persone che non parlano ai propri parenti, è una situazione emotivamente pesante. Le elezioni presidenziali si avvicinano, e i favoriti, Font e Laporta, sono entrambi indipendentisti».

Eppure, sul campo, il futuro del Barça potrebbe essere più luminoso di quanto questo lasci pensare. E anche se gli ultimi eroi del tiqui-taca, Piqué, Busquets e Messi, invecchiano, diventano sempre più importanti nuovi prospetti dell’accademia come Ansu Fati e Carles Aleñá. «Sarà dura per ogni presidente», dice Kuper, «ma tutti i candidati stanno dicendo di voler puntare sulla Masia. Hanno tutti bisogno di una storia, e quella storia può essere proprio La Masia».

Da Undici n° 35