La rosa profonda del Napoli
L’uomo chiave nella (netta) vittoria del Napoli sulla Roma è stato Piotr Zielinski: il centrocampista polacco non è stato determinante in prima persona con un gol, con un tiro decisivo o un assist illuminante, ma ha fatto da cuneo tra il 4-3-3 e il 4-2-3-1, con i suoi strappi ha tagliato in due il sistema difensivo di Fonseca, ha liberato più volte i suoi compagni, Mertens e Lozano su tutti, a tu per tu con Mirante. Insomma, è stata la scheggia imprevedibile di una squadra che, una settimana dopo la brutta sconfitta contro il Milan, ha saputo reinventarsi per far fronte all’assenza di Osimhen. Il caso di Zielinski racconta un aspetto fondamentale nella stagione del Napoli: la sua assenza (per Coronavirus) non è stata avvertita davvero dalla sua squadra, dal suo allenatore, o quantomeno non ha avuto un grande impatto sulla possibilità di mettere insieme una o più formazioni titolari di alta qualità. Allo stesso modo, però, la mancanza di un giocatore con le sue caratteristiche, così forte e così duttile, non ha permesso a Gattuso di cambiare l’identità tattica della sua squadra: contro il Milan, il 4-2-3-1 con Mertens prima punta e Politano-Lozano-Insigne nella batteria dei trequartisti non ha funzionato benissimo, l’atteggiamento e i meccanismi sono stati fin troppo ibridi, insomma il Napoli non era stato in grado di tenere il possesso ma neanche di attaccare in verticale. Il ritorno di Zielinski ha cambiato le carte in tavola: Gattuso ha potuto variare in maniera netta la proposta di gioco del suo Napoli, ha creato un contesto di possesso sofisticato in grado di esaltare le doti di Mertens e Insigne senza penalizzare quelle di Lozano, ha messo anche Demme e Fabián Ruiz nelle posizioni migliori, così ha reso ininfluente l’assenza per squalifica di Bakayoko e ovviamente quella di Osimhen – che ama muoversi in un sistema più diretto, meno ricercato. Questa è la chiave per la stagione del Napoli: Gattuso ha a disposizione una rosa profonda ed estremamente varia, in attacco può giocare in mille modi diversi e deve imparare a farlo, anche perché i valori dei calciatori sono elevati e quindi ogni combinazione può essere efficace, vincente, soprattutto quando coglie di sorpresa gli avversari. Se in passato la forza degli azzurri è stata quella del gioco codificato, dei meccanismi ripetuti e mandati a memoria, ora la strada potrebbe andare in un’altra direzione. Più incerta, forse, ma sarebbe così anche per gli avversari di turno.
Quanto costa questa Champions League
Una delle frasi fatte più vere nella storia della comunicazione calcistica è quella sulla “Champions che toglie energie e punti”. È una frase che diventa ancora più vera se parliamo di club che non sono abituati al doppio impegno, che risentono non solo della fatica, ma anche di una condizione di noviziato tecnico-economico, quindi di inevitabili falle strutturali nella rosa. Nell’ultimo weekend di Serie A, Atalanta e Lazio hanno incarnato perfettamente questo cliché: se la squadra di Gasperini ha dovuto affrontare due partite dall’altissimo coefficiente di difficoltà, ha dovuto battersi cioè con il Liverpool e il Verona – due squadre che, ovviamente nel loro perimetro tecnico, praticano un calcio intenso, senza pause, difficilissimo da sostenere sul piano puramente fisico – e alla fine ha dovuto concedere qualcosa nel secondo tempo della seconda gara, gli uomini di Simone Inzaghi sono apparsi sfatti e molli fin dall’inizio del match contro l’Udinese: ai friulani è bastato difendersi con ordine e ripartire con buona qualità per portare a casa una vittoria netta, addirittura comoda. Il fatto che anche la Juventus – persino la Juventus – abbia manifestato un calo dopo la vittoria contro il Ferencvaros e l’ottima prova contro il Cagliari evidenzia come questa Champions League in particolare, un’edizione dal calendario compresso, serrato, sia un’esperienza impattante sul rendimento di tutti. Non a caso, tutte le grandi squadre d’Europa – Bayern Monaco escluso – stanno vivendo un inizio di stagione complicato, soprattutto nelle gare di campionato. Certo, poi c’è il caso opposto dell’Inter: tre giorni dopo la sconfitta contro il Real Madrid, la squadra di Conte ha vinto benissimo in casa del Sassuolo, anzi probabilmente la squadra nerazzurra ha giocato la partita più convincente dell’annata 2020/21, e l’ha fatto nonostante l’andamento altalenante delle ultime settimane, e poi l’assenza di Brozovic, l’iniziale rinuncia a Lukaku. Insomma, anche un’altra frase fatta, quella sulla “stagione pazza” sembra trovare riscontro nella realtà delle cose: mai come quest’anno tutto è imprevedibile, sempre, basti pensare che proprio il Sassuolo era la squadra più in forma della Serie A, era imbattuta, quindi non faremmo male ad aspettarci qualunque cosa nelle prossime settimane.
Atalanta-Verona è stata proprio una gran bella partita
Ormai il Milan è una grande squadra
In questo scenario così incerto, proprio il Milan rappresenta un’eccezione, felice e forse anche inattesa. La squadra rossonera non ha solo iniziato alla grande la stagione – che poi non è proprio così: l’eccezionale rendimento in campionato è stata una costante di tutto il 2020 – ma ora ha raggiunto un livello di maturità tale che certe partite vengono condotte in porto in maniera serena, senza affanni o quasi. La Fiorentina è stata battuta facilmente, al termine di una prestazione lineare; il Milan non ha avuto bisogno di far registrare picchi, ha segnato due gol con poche accelerazioni, poi Kessié si è fatto parare il rigore del 3-0. Tutt’intorno a questi episodi chiave, la squadra di Pioli ha mantenuto il controllo tattico ed emotivo del gioco, lo ha fatto grazie alla perfetta aderenza tra idea di gioco, sistema tattico ed elementi a disposizione, e proprio questo aspetto va sottolineato più di tutti gli altri: l’assenza di Ibrahimovic, insieme a quelle di Bennacer e Rafael Leão, avrebbero potuto mettere in difficoltà Pioli (a sua volta assente) e il suo staff; invece il Milan non ha manifestato grossi cambiamenti tattici e cali nel rendimento, è bastato inserire Tonali e Brahím Diaz, spostare Rebic in attacco e così la squadra ha giocato con la fluidità, la concentrazione e l’efficacia che hanno caratterizzato gli ultimi mesi; certo, magari alcuni movimenti e alcune interpretazioni tattiche – individuali e collettive – sono risultate diverse, ma anche questa capacità di variare è parte del dna di una grande squadra. Ciò che il Milan aspetta legittimamente a essere, al di là del primato in classifica: la coerenza con cui è stata costruita la rosa, soprattutto in relazione al progetto tecnico-tattico, e la continuità dei risultati ottenuti sono due segnali chiari rispetto alle ambizioni dei rossoneri. Anche perché 64 punti in 28 partite non si fanno mai per caso, ma devono essere per forza il frutto di un lavoro portato avanti con intelligenza, costanza, lucidità.