Come abbiamo ritrovato Franck Kessié

Il progetto coerente e la rinascita del Milan gli hanno permesso di esprimersi al meglio, così è diventato uno dei centrocampisti più decisivi della Serie A.

Quando Franck Kessié si è presentato sul palcoscenico della Serie A, era troppo giovane e sembrava troppo completo perché non rimanessimo abbagliati: era l’estate del 2016 e ci siamo innamorati tutti, subito, del suo fisico imponente (183 per 88 kg, almeno secondo Wikipedia) fatto di muscoli enormi che però non lo rendevano statico, anzi, in realtà Kessié era un giocatore sorprendente proprio perché dava l’impressione di essere un centravanti che aveva deciso di traslocare a centrocampo, era naturalmente esplosivo ma anche guizzante, scattante, agile; allo stesso tempo ha mostrato fin da subito di possedere una valida tecnica di base, un buon calcio sul breve e sul lungo, di destro e di sinistro, magari non poteva organizzare il gioco con i tempi mentali e la maturità di un regista classico, ma di certo era un giocatore che non sfigurava affatto con il pallone tra i piedi; e poi sapeva inserirsi, riusciva a leggere e anticipare le coperture difensive, la sua sensibilità tattica era ancora un po’ grezza ma era già palpabile, percettibile. Sembrava scontato, certo, inevitabile: col tempo, nel tempo, Franck Kessié avrebbe potuto imparare a fare tutto, sarebbe potuto diventare qualsiasi cosa.

Non era proprio così, quindi non è andata proprio così. Quando è passato al Milan, nell’estate del 2017, Kessié ha cambiato completamente il suo mondo, forse non era ancora pronto, a livello psicologico, per giocare in un grande club, e infatti i suoi comportamenti non sono stati sempre limpidissimi, addirittura una lite con Biglia durante il derby del 17 marzo 2019 spinse il tecnico rossonero, Rino Gattuso, a dire che il Milan degli anni Duemiladieci «è una squadra che perde proprio a causa di certi atteggiamenti»; allo stesso modo, il centrocampista ivoriano si è trovato in una realtà tattica molto diversa rispetto a quella dell’Atalanta di Gasperini, che non era ancora diventata una squadra-brand ma aveva iniziato a lavorare sul collettivo perfetto o comunque ultra-perfezionato di oggi: i bergamaschi giocavano già in maniera aggressiva, esasperando il pressing e le transizioni verticali, la fisicità degli elementi migliori. Kessié ha lasciato tutto questo per unirsi al Milan di Montella, una squadra assemblata per giocare un calcio ragionato, paziente, e infatti nell’estate 2017 arrivarono in rossonero Bonucci, Biglia, due attaccanti associativi come Kalinic e André Silva. L’esperimento finì decisamente male, solo che anche i due successori di Montella – Gattuso e poi Giampaolo – hanno proseguito su questa strada, ovviamente a modo loro. Un modo che però non è stato proprio perfetto, del tutto perfetto, per Franck Kessié.

Come detto in precedenza, Kessié aveva e ha delle caratteristiche che lo rendono funzionale, efficace, a volte anche determinante, in contesti tattici diversi, pure in quelli fondati sul primato del possesso palla. Non a caso è stato il calciatore di movimento più utilizzato della rosa del Milan al termine della stagione 2017/18, così come alla fine di quella successiva. Nessun allenatore ha mai rinunciato a lui, e lui ha sempre risposto presente, solo che spesso ha dato l’impressione di non riuscire a dare il massimo, si esprimeva come se il suo gioco fosse frenato, limitato. Era diventato un buon calciatore, certo, ma non il centrocampista completo e dominante che ci aspettavamo, che vedevamo in lui, che volevamo ed eravamo certi sarebbe stato.

L’arrivo di Stefano Pioli al Milan è stato letto, venduto, raccontato in maniera un po’ superficiale. È sempre successo, nella carriera dell’allenatore emiliano: il suo stile minimale e i suoi modi pacati hanno determinato l’apposizione, sul suo faldone personale, dell’etichetta di normalizzatore. In realtà, Pioli è un tecnico che ama fare rivoluzioni radicali, e al Milan ha semplicemente – e felicemente – imposto gli stessi concetti delle sue precedenti esperienze alla Lazio, all’Inter, alla Fiorentina: ha preso in mano la squadra rossonera e l’ha fatta diventare sua, profondamente sua, portandola in un territorio tattico esasperato, si potrebbe dire anche estremo, in cui il calcio è un gioco fatto di intensità, verticalità, immediatezza mentale e fisica. È così che, insieme a tanti altri compagni, Kessié si è trasformato, è tornato a essere un giocatore determinante sempre, o comunque molto spesso. Certo, è più facile parlare a cose fatte, ma nel suo caso era evidente che ridurre i tempi d’azione e di pensiero avrebbe potuto portargli un giovamento; del resto parliamo di un calciatore atleticamente superiore, che possiede le misure fisiche e l’intuitività necessarie per anticipare le giocate degli avversari, per sottrargli il pallone e per servire un compagno vicino o anche lontano, tutto rapidamente, tutto in due tocchi.

Kessié si è trasferito al Milan nell’estate del 2017, da allora ha accumulato 149 presenze e 19 gol in competizioni ufficiali, e curiosamente i gol sono arrivati solo in gare di Serie A (Miguel Medina/AFP via Getty Images)

Basta guardare i suoi highlights personali tratti dal derby vinto dal Milan (2-1) il 17 ottobre 2020: quasi tutte le sue giocate in fase di possesso sono frutto di tocchi di prima, tutti i passaggi – pure quelli più ambiziosi, dietro le linee avversarie – sono diretti, veloci, anche perché c’è sempre un compagno che si sovrappone, che si lancia nello spazio accanto a lui (e quasi sempre si tratta di Theo Hernández, il terzino di parte). Kessié, oggi, è un giocatore che non ha più bisogno di ragionare molto portando il pallone, di girarsi, predisporre il corpo a un passaggio preciso, sui piedi del compagno; intendiamoci, è un calciatore in grado di fare tutte queste cose (e sa farle anche bene), solo che certe giocate sono diventate una delle opzioni, diciamo pure un’opzione secondaria, a disposizione del Milan. Certo, anche la vicinanza con Bennacer favorisce molto Kessié, in questo senso: l’algerino è un giocatore che ama e sa prendersi molte responsabilità in campo, è un regista moderno che gioca molti palloni ma non rallenta il gioco, piuttosto lo velocizza, non ha grande statura fisica ma sa compensare questa mancanza con una rara intelligenza posizionale, e che possiede la rapidità per farla fruttare in tutte le fasi di gioco.

In una squadra che pensa e ragiona in verticale, un doble pivote composto da due giocatori così è praticamente perfetto: gli spazi che si allungano a centrocampo, quando il Milan si distende, sono un luogo ideale per Kessié, che interpreta benissimo le sue attribuzioni; magari oggi è un calciatore meno offensivo, meno presente in area avversaria rispetto al passato – quattro dei sette gol che ha realizzato dall’inizio della stagione 2019/20 sono arrivati su rigore  – ma il suo contributo è diventato preziosissimo in altri punti del campo, in altri momenti della manovra offensiva, per esempio nella riaggressione alta, nella transizione positiva, oppure quando c’è da far salire velocemente la squadra dopo l’ennesima sponda di Ibrahimovic.

Anche in difesa i cambiamenti apportati da Pioli hanno aiutato Franck Kessié a migliorare il proprio rendimento. È tutto collegato: la tattica diretta del Milan determina il suo atteggiamento in fase passiva così come forza le contromosse degli avversari, quindi gli stessi spazi che si allungano in attacco finiscono per dilatarsi anche quando c’è da recuperare il pallone; è così che Kessié può far valere la sua straripante forza atletica, la sua capacità di attaccare e infastidire i portatori di palla su un campo grande, di tenere alti il ritmo e l’intensità del pressing.

Un minuto scarso di grandi giocate, soprattutto difensive, di Franck Kessié

È questa la chiave: Kessié, lungo tutto l’arco del 2020, è stato un calciatore messo in condizione di non mostrare i suoi limiti, quei limiti che si palesano quando il ritmo delle partite rallenta un po’, volutamente o meno, e allora ai giocatori è richiesto un approccio diverso; oggi lui e i suoi compagni agiscono in maniera istintiva, sono invitati, anzi sono spronati a farlo, si trovano bene quando riescono a giocare in questo modo, ma hanno anche la qualità – individuale, che poi diventa collettiva – di essere pericolosi anche in altre situazioni, per esempio al termine di lunghe fasi di possesso palla. Solo che un certo tipo di calcio, apparentemente più organizzato, più ragionato ma anche più prevedibile, è diventata un’alternativa cui ricorrere nei momenti di bisogno. L’obiettivo tattico numero uno è un altro, è dichiarato, ma soprattutto è sempre appartenuto a Pioli ed è aderente con le caratteristiche dei giocatori che Pioli ha a disposizione.

In virtù di tutto questo, la parabola di Franck Kessié è perfettamente sovrapponibile a quella di diversi compagni, ma anche del Milan inteso come squadra-società: l’avvio e il consolidamento di un progetto sviluppato in maniera coerente, anche se non necessariamente e immediatamente ambiziosa, forse anche casuale, ha finito per ribaltare le percezioni, ha modificato radicalmente i giudizi, ha permesso a tutti di fare un passo in avanti. Come quando rimetti finalmente in ordine la tua casa, oppure la tua stanza, e allora finisci per ritrovare anche degli oggetti che avevi dimenticato di possedere, che credevi di aver perso, o che semplicemente ricordavi diversi. Con Franck Kessié è andata proprio così: si è ritrovato quando il Milan ha saputo trasformarsi in un ambiente adatto a lui, e allora il centrocampista 19enne che sembrava destinato a prendersi il mondo è diventato un giocatore dalle qualità enormi ma definite, un atleta con tantissimi pregi e pochi difetti, dalla personalità spiccata e con un futuro ancora tutto da scrivere. In fondo era quello che ci aspettavamo per lui, magari pensavamo che il percorso sarebbe stato differente, magari più veloce e più luminoso, ma a volte il tempo che passa serve proprio per chiarire i dubbi, per tracciare certi confini. E poi per superarli nel modo giusto, imboccando la strada migliore.