Perché, nonostante la pandemia, il campionato cinese è riuscito a ripartire?

Il torneo è terminato senza problemi, e senza nessun nuovo contagiato.

Rivolgendosi ad uno dei suoi discepoli prediletti, il Maestro Confucio disse: «Dunque, You, vuoi che ti spieghi che cos’è la sapienza? Essere consapevole di quel che si sa e riconoscere le proprie mancanze: questa è la sapienza». Il pensiero filosofico Confuciano, nonostante si basi su insegnamenti che risalgono a circa 2500 anni fa, non è solo una prestigiosa tradizione culturale confinata in un remoto passato: ancora oggi, infatti, rappresenta un riferimento fondamentale a cui si ispirano le scelte politiche, sociali ed economiche della Cina moderna, guidata dal Presidente Xi Jinping e, ovviamente, del Partito Comunista.

Lo stretto rapporto tra il Governo Centrale Cinese e la Chinese Football Association (equivalente della nostra Figc) ha permesso, a dispetto di chi profetizzava un esito assai diverso, il regolare svolgimento del campionato nazionale. Un traguardo complesso e ambizioso, conseguito anche grazie agli insegnamenti ricavati dalle altrettanto terribili esperienze epidemiologiche con le quali la Cina ha combattuto nel recente passato: l’aviaria e la Sars. Dopo un iniziale e comprensibile momento di sbandamento, la Cina, ha saputo rispondere rapidamente alla crisi scatenata dal Covid-19. In pratica il Governo Centrale non ha fatto altro cha evitare di ripetere i macroscopici errori fatti in precedenza. Proprio come insegna Confucio.

Da diverse settimane, in Cina, i contagi “locali” – ovvero quelli all’interno del territorio – sono vicini allo zero, mentre sono poche decine quelli importati da viaggiatori provenienti dall’estero. Dopo le colpevoli sottovalutazioni iniziali, la Cina ha totalmente modificato il proprio atteggiamento nei confronti della pandemia: Xi Jinping ha fatto del contenimento del virus una grande battaglia da combattere e vincere, e per descrivere la strategia governativa ha utilizzato parole forti e suggestive – la definizione precisa è stata: «demone da sconfiggere». E i risultati, tra cui va sottolineata la ripresa del turismo cinese, il settore che ha saputo ridare impulso all’intero motore economico nazionale, sono sotto gli occhi di tutti.

Le decisioni prese in ambito sportivo/calcistico si sono, ovviamente, conformate alle indicazioni nette e chiare impartite dal Governo Centrale di Pechino. Inizialmente la Chinese Super League si sarebbe dovuta svolgere a partire dal 22 febbraio, con la consueta formula (sedici squadre a girone unico). Dopo l’inizio della pandemia, il torneo è stato “snellito”: le squadre sono state divise in due gironi composti da otto squadre; le gare del gruppo A sono state giocate nella provincia del Jiangsu (collocata lungo la costa Est della nazione), mentre quelle del gruppo B si sono svolte nella provincia del Liaoning (localizzata nella parte nord-orientale del Paese). Il calendario prevedeva lo svolgimento di una o due partite al giorno per girone, permettendo comunque di concludere ogni turno di campionato nel giro di 96 ore.

Al termine di questa prima fase, le migliori otto squadre si sono qualificate ai playoff a eliminazione diretta, mentre tutte le altre si sono giocate la salvezza in un altro tabellone. Alla fine il titolo nazionale è andato – per la prima volta nella storia – allo Jiangsu Suning, vincitore della finale contro il Guangzhou, mentre l’unica squadra retrocessa in League One è stata lo Shijiazhuang Ever Bright.

Fondato nel 1994, il Jiangsu Suning ha vinto il primo campionato della sua storia; i due migliori marcatori della squadra sono stati l’italobrasiliano Éder (nove gol) e il brasiliano Alex Teixeira, ex Shakhtar, autore di dieci reti (STR/AFP via Getty Images)

Le due strutture ricettive (il prestigioso Crown Plaza Hotel e l’altrettanto rinomato Taimei Xiangguli Hotel) nelle quali hanno alloggiato calciatori e addetti ai lavori sono diventate, per circa tre mesi, off limits per chiunque. Una bolla in pieno stile Nba, anzi due. Una soluzione che non è piaciuta proprio a tutti: a più riprese, infatti, tecnici e membri dei diversi staff, abbiano contestato – in maniera più o meno velata – la situazione paradossale in cui si trovavano a dover vivere, allenarsi, lavorare. «Siamo stati per settimane sotto un’enorme pressione mentale che spesso ha smorzato le reazioni dei giocatori in campo. In queste condizioni è più facile sbagliare e farsi male», aveva dichiarato, ad inizio settembre, Li Xiaopeng, ex allenatore dello Shandong Luneng. In più occasioni Fabio Cannavaro, manager del Guangzhou Evergrande, in maniera quanto mai sincera, ha lanciato chiari segnale alla Federazione: «Sono preoccupato dallo stato mentale della squadra. Sono determinato a portare avanti anche il sistema di rotazione, anche se questo dovesse significare perdere alcune partite. Niente è più importante della salute dei giocatori».

Nonostante le critiche ricevute, i risultati ottenuti sembrano aver dato ragione al “modello cinese”. Zero contagi dentro le due bolle per tutta la stagione, numeri che fanno ancora maggior rumore se paragonati a quelle di molte realtà europee – che, ancora oggi, sono nel pieno dalla seconda ondata e non riescono a trovare dei protocolli che permettano di limitare i contagi interni ai club. A questo proposito il presidente federale Chen Xuyuan, intervistato da Xinhua Sport – la maggiore agenzia di stampa della Repubblica Popolare Cinese – non ha escluso la replica di questo controverso format anche per la stagione 2021-2022: «Tornare a giocare con le modalità che tutti conosciamo è particolarmente rischioso. Ogni trasferta si trasformerebbe un possibile focolaio».

Cédrc Bakambu è stato il capocannoniere della Chinese Super League 2020: l’ex attaccante del Villarreal, dal 2018 al Beijing Guoan, ha realizzato 13 gol in 16 partite (STR/AFP via Getty Images)

In realtà va anche ricordato che la Cina è riuscita a riportare i tifosi allo stadio, seppure in modo parziale e ovviamente contingentato. La prima gara di Chinese Super League che ha riaperto le porte al pubblico è stata quella tra Shanghai SIPG (dove giocano, fra gli altri, anche Arnautovic ed Oscar) e Beijing Guoan, dello scorso 22 agosto. Per questo match, la Federazione aveva permesso la presenza sugli spalti di 1900 persone, tra tifosi e addetti ai lavori, tutti con l’obbligo di mascherina, rispettosi delle misure di distanziamento sociale, e con un certificato medico che indicava l’avvenuta effettuazione, nei quindici giorni precedenti al match, di un test per escludere ogni forma di contagio. Già in occasione della nona giornata di Chinese Super League, svoltasi lo scorso 6 settembre, i tifosi del Wuhan Zall F.C.,– la squadra della città che fu l’epicentro della pandemia da Covid-19 – avevano avuto l’occasione di tornare allo stadio per supportare gli “Orange Fighters”. Una scelta dal profondo significato simbolico.

Il costante miglioramento della situazione epidemiologica in Cina ha permesso, sempre rispettando le normative nazionali, un progressivo aumento del numero di tifosi presenti e una maggiore libertà all’interno degli stadi. Non a caso, la finale di ritorno tra Guangzhou Evergrande e Jiangsu Suning, giocata nello stadio Nazionale di Suzhou, ha visto l’ingresso nella struttura di circa 10mila spettatori. L’immagine-clou della serata è stata senza dubbio quella dei festeggiamenti della squadra allenata dal tecnico rumeno Cosmin Olaroiu con i propri tifosi: «Considero questo successo il più importante di tutta la mia carriera: è un’emozione unica. Per qualche ora siamo riusciti a far dimenticare al nostro pubblico gli ultimi terribili mesi, non posso che esserne orgoglioso». Lo stesso Confucio avrebbe, senza dubbio, apprezzato: la Cina ha dimostrato che, se si vuole, è possibile partire dalle proprie mancanze, trasformando i propri errori in preziose opportunità.