Per raccontare il miglior momento di Neymar Jr. al Paris Saint-Germain, ovvero questo momento, non è necessario far riferimento ai numeri. Perché i numeri, in realtà, erano dalla parte di Neymar anche quando la sensazione comune era quella di avere a che fare con un giocatore incapace di andare oltre se stesso e i propri limiti, e quindi di colmare la distanza che ancora lo separava da Messi e Cristiano Ronaldo. Oggi qualcos’altro è cambiato, ed è una percezione legata a ciò che Neymar sembra essere in grado di fare sempre sul campo, indipendentemente dal fatto che le sue giocate si traducano in un gol, un assist o in una qualsiasi delle altre voci statistiche attraverso cui siamo abituati a valutare un calciatore.
La rete del 3-1 segnata nella gara contro il Manchester United, la seconda personale di Neymar, è un esempio perfetto in questo senso. Gli highlights, infatti, sono in grado di restituirci solo la semplicità, anzi la banalità, del tocco a porta vuota su assist di Rafinha. La sintesi video, in questo caso più che mai, è la rappresentazione ideale della nostra difficoltà nel comprendere dove risieda oggi la vera grandezza di Neymar. E, cioè, nel modo in cui recupera palla nella metà campo difensiva, nel dribbling a spezzare il raddoppio, nel movimento con cui mette a sedere Maguire, nel passaggio che avvia l’azione poi rifinita da Mbappé e Rafinha. L’azione che lui stesso conclude, ma il suo essere dominante si è visto molto prima.
In realtà l’intera partita di Neymar a Old Trafford è stata una dimostrazione di superiorità tecnica, fisica e psicologica a prescindere dai due gol, oltre che la sintesi di quel compromesso tra estetica e utilità che non era scontato raggiungesse, e che ora, anzi da un po’ di tempo, lo sta proiettando in quella dimensione ulteriore e definitiva che abbiamo sempre immaginato per lui. Una dimensione della quale non riusciamo a non stupirci, anche se in realtà non dovremmo.
Il gol segnato allo United, fin dall’inizio dell’azione e da tutte le angolazioni possibili
La gara di Old Trafford ha ricordato da vicino quella contro l’Atalanta nella “bolla” di Lisbona, vero e proprio spartiacque per ciò che riguarda il modo in cui pensiamo e raccontiamo Neymar. Anche in quel caso il fatto che non abbia segnato – anzi, si concesse addirittura il lusso di sbagliare un gol clamoroso a tu per tu con Gollini, quando il risultato era ancora fermo sullo 0-0 – o l’aver stabilito il nuovo record di dribbling riusciti in una gara a eliminazione diretta di Champions League (16 su 23 tentati), sono stati dettagli assolutamente irrilevanti rispetto alla valutazione complessiva della miglior partita della carriera del Neymar europeo o, meglio, del Neymar giocatore chiave e leader di una squadra top come il Psg.
In quella partita, così come in molte di quelle successive, c’è stato tanto altro. Anzi, c’è stato tutto: l’uso del dribbling come arma difensiva e come strumento per creare la superiorità numerica, la qualità nel facilitare la risalita del campo nei momenti di massima difficoltà collettiva, lo spendersi anche in fase di pressing, persino il frequente ricorso al tunnel per creare e crearsi uno spazio da attaccare partendo da fermo. Tutte queste giocate furono i segnali della definitiva evoluzione da “statpadder” da Ligue 1 a leader che vince e fa vincere le partite. Anche in Champions, cioè al massimo livello competitivo.
Che segni o faccia segnare è persino irrilevante nel momento è cambiata anche la chiave di lettura delle partite di Neymar: non conta tanto quello che fa, piuttosto ciò che gli altri – compagni e avversari – credono che possa fare nell’arco dei 90’. E, da questo punto di vista, Neymar è ormai un giocatore completo e totale sia nella dimensione qualitativa che in quella quantitativa. Un giocatore che, come dice Tuchel, «ha dimostrato di sapersi prendere le sue responsabilità» e sul quale «puntare nelle grandi partite», quelle che cambiano percezioni e consapevolezze a livello individuale e collettivo.
Il Neymar della seconda parte di 2020 – ma anche il Neymar che si appresta a entrare nella terza fase della carriera – è, quindi, un Neymar diverso, più forte nella misura in cui sembra essersi liberato da etichette e pregiudizi legati a un modo di giocare fin troppo divisivo e polarizzante se rapportato all’effettivo talento. Oggi persino le famigerate skills compilation su YouTube, per anni vero e proprio corollario negativo della narrazione attorno al Neymar “che si piace troppo”, riflettono un cambio di paradigma nell’approccio e nella presenza mentale all’interno della partita: in questo video, per esempio, appare evidente come le giocate di Neymar siano divenute meno appariscenti e più dirette, per certi versi persino più rabbiose e brutali nel loro essere riconducibili a una sovrastruttura collettiva superiore. A essere cambiato non è Neymar in sé, che resta il giocatore in grado di fare quello che vuole, quando vuole e contro chi vuole, ma la sua capacità di esserlo in funzione di ciò che è utile, di ciò che serve per vincere. Per vincere una partita, un campionato, ma anche la Champions League effettivamente sfiorata pochi mesi fa.
Nell’estate 2018, quando il suo Mondiale veniva raccontato quasi esclusivamente attraverso la lente deformata delle simulazioni vere o presunte, dei voli e delle capriole sul terreno di gioco, il sito FiveThirtyEight aveva sviluppato un modello statistico secondo cui il rendimento di Neymar in Russia era comparabile a quello di Cruyff nel 1974. Senza voler ridurre tutto a un paragone che ha senso fino a un certo punto, si può dire che oggi il brasiliano, a 28 anni e all’apice del suo prime, sia diventato quel tipo di calciatore che, attraverso il suo impatto sulla/e partita/e, riesce a migliorare il rendimento e il livello – in alcuni casi già molto alto – di chi gioca insieme a lui. E non è un caso che il Psg abbia raggiunto la prima finale di Champions della sua storia proprio qualche mese fa.
Il 24 novembre 2020, nel corso di una gara interna contro il Lipsia già decisiva per il futuro europeo del Psg nella nuova stagione, Neymar si è caricato la sua squadra sulle spalle ben oltre il rigore dell’1-0. Nonostante un inizio difficile, contraddistinto da un lancio sbagliato per Mbappé e da due palloni persi troppo facilmente, con il passare dei minuti Neymar è diventato il centro tecnico ed emotivo della squadra: prima ha creato i presupposti della superiorità numerica e posizionale nell’ultimo terzo di campo, tagliando dall’esterno verso l’interno o con gli strappi palla al piede in conduzione per vie centrali; poi è diventato il vero e proprio regista del Psg, mettendo la sua tecnica e la sua dimensione creativa nell’ultimo passaggio a disposizione delle corse in profondità di Mbappé, ma anche abbassandosi fin nella propria trequarti per facilitare e velocizzare l’uscita del pallone nella prima costruzione.
Nel finale, poi, il consueto campionario di finte, controfinte, doppi passi, tocchi di suola e di prima, è tornato utile per guadagnare uno o più tempi di gioco a vantaggio dei compagni e a sfavore degli avversari: di fatto Neymar ha costretto gli altri 21 in campo a giocare al suo ritmo, alla sua velocità, alle sue condizioni. E la stessa capacità di conquistarsi platealmente un fallo nelle zone chiave non è più vista in antitesi a una visione fisica – spesso virilista e quindi tossica – del gioco, ma solo come espressione della sua maturità nella lettura dei singoli momenti di una partita.
Un po’ di cosa belle fatte da Neymar durante la partita del Lipsia: ci sono le sue giocate, ma anche un’ammonizione colta in fase di pressing e altre azioni difensive
Al cambiamento di prospettive sul campo è seguito anche quello relativo al rapporto tra il Neymar-calciatore e il Neymar-personaggio. Quest’ultimo era visto tanto più arrogante, egoista e superficiale nel modo di giocare quanto più la sua personalità bizzosa e il suo look a base di dreadlocks, orecchini e tatuaggi sembravano influire sul suo voler cercare a tutti i costi la giocata bella piuttosto che quella funzionale. Oggi, invece, il Neymar fuori dal campo non travolge più il giocatore ma, anzi, è l’ulteriore espressione di una leadership positiva, riconosciuta e riconoscibile anche sotto altri aspetti.
Come quelli relativi alla recente partnership con Puma, grazie al quale è diventato non solo il calciatore con il contratto di sponsorizzazione più ricco di sempre (25 milioni a stagione) ma anche il volto di un brand in cerca di rilancio e che ha puntato su di lui per sedersi allo stesso tavolo, da pari a pari, con Nike a adidas. Cioè quello che, in fin dei conti, Neymar ha cercato e sta cercando di fare in queste stagioni che definiranno il suo posto nella storia: provare a “reclutare” Messi per giocare di nuovo insieme è il sintomo della voglia di dimostrare di essere finalmente pronto a sedersi a quel tavolo, con quei giocatori. E di dimostrarlo a se stesso prima ancora che agli altri.