L’Atlético Madrid ha cambiato pelle?

Pur senza rinnegare la sua identità storica, Simeone ha reso più spregiudicata la sua squadra. Grazie ad alcuni giocatori: Hermoso, Llorente, João Felix e Suárez.

Periodicamente, l’Atlético Madrid deve fare i conti con il fatto di essere una creatura di Diego Pablo Simeone. Negli ultimi nove anni il Cholo ha trasformato il club colchonero in una outisder permanente, cioè in una squadra teoricamente sfavorita che però è in grado di vincere più o meno sempre, o comunque di competere contro i migliori club del pianeta. E lo ha fatto talmente bene da essere riuscito a portarlo a una dimensione superiore. Un salto di livello che ha reso l’Atlético una squadra più forte e più prestigiosa e di quanto non fosse prima di Simeone, ma forse anche più grande del metodo che ha reso possibile tutto questo. In questi nove anni, il Cholo ha ritoccato il sistema adattandolo al contesto, dando versioni differenti della sua idea di calcio, tutte ricondotte alla riduttiva etichetta mediatica di “cholismo”, tutto per mantenere – a volte meglio, a volte peggio – lo status di squadra continua in Spagna e ostica in Europa.

Spesso, però, il tecnico argentino ha dato l’impressione di non essere riuscito a sfruttare fino in fondo il valore tecnico, enormemente cresciuto, del suo organico. Partite come la sconfitta di due stagioni a Torino fa contro la Juventus, al termine di una gara affrontato con un piano di pura passività, in difesa del risultato dell’andata, o quella dei quarti di finale della scorsa Champions League contro l’antitetico RB Lipsia di Nagelsmann, sono il rumoroso contrappunto di momenti come la notte di Anfield, la grande vittoria contro il Liverpool. Questi alti e bassi, più di una volta, hanno spunto una parte dell’universo colchonero a chiedersi se il cholismo fosse un patto con il diavolo che avesse ancora senso sostenere.

In questa prima parte di stagione, Diego Pablo Simeone sembra però aver trovato la miglior sintesi possibile tra il suo modo di concepire il calcio e la qualità tecnica complessiva, anno dopo anno maggiore, che gli offre la rosa. Una base che, potenzialmente, in senso più lato, potrebbe essere anche la sintesi tra la dimensione di underdog destinato a scavare il proprio sentiero come un fiume carsico, schiacciato tra i giganti di Spagna e d’Europa, e quella di squadra più vicina all’élite che al suo passato, due anime coesistenti nell’Atlético Madrid. Per ora, è semplicemente un atto di pragmatismo e flessibilità di Simeone, volto a ottenere il massimo dai suoi giocatori in questo momento così particolare, in cui c’è da sfruttare al meglio un Real Madrid e un Barcellona che sembrano vulnerabili come non mai.

Rispetto alla scorsa stagione, l’Atlético è una squadra più disinvolta quando ha il pallone, ed è in grado di proporre più spesso attacchi posizionali efficaci. Di conseguenza, come ha evidenziato lo stesso Simeone, riesce a tenere la linea difensiva più alta e a difendere in avanti. L’allenatore argentino continua a mettere l’equilibrio alla base della sua proposta – ha subito soltanto due reti in dieci gare di campionato – ma questo cambiamento offensivo è la conseguenza di alcune sue intuizioni e del completo adattamento, a un anno di distanza, dei più importanti acquisti seguiti alle cessioni di Griezmann e Rodri.

Non sono soltanto i gol fatti, ma anche i gol subiti a impressionare in questo Atlético: in 10 partite giocate, soltanto 2 volte i Colchoneros sono stati bucati. Merito, dice Simeone, del nuovo equilibrio della squadra, elemento che era mancato nelle ultime stagioni, anche in attacco (Gabriel Bouys/Getty Images)

Uno di questi è Mario Hermoso, difensore centrale dalle ottime qualità tecniche, reduce da un’annata di esordio poco brillante. La prima tessera del domino si è mossa quando è stato schierato terzino sinistro bloccato del 4-4-2: con Hermoso in quella posizione, nella fase di uscita del pallone, si forma in maniera naturale un trio con Giménez e Savic, in cui l’ex giocatore dell’Espanyol, grazie alla sua pulizia tecnica, si è ritrovato protagonista della prima distribuzione. La difesa a tre è diventata presto tale anche in fase di non possesso, con l’utilizzo sulla sinistra di uno tra Lodi e Carrasco – reinventato esterno a tutta fascia – in una sorta di 3-4-2-1. Da Hermoso e dal suo contributo con il pallone dal basso, quindi, nasce il nuovo Atlético. Almeno in parte.

Quando attacca, la squadra del Cholo ha dei pattern riconoscibili che si porta dietro da molto tempo: già lo scorso anno Renan Lodi e Trippier, i due terzini, partecipavano sempre all’azione sulla linea degli attaccanti, per garantire l’ampiezza. Nel mezzo spazio lasciato libero, un giocatore si inseriva spesso senza palla. È un meccanismo ricorrente dell’Atléti, ma è diventato un’arma con scarsissimo margine di errore da quando è Marcos Llorente ad attuarla . «Quando i giocatori mettono a disposizione dei nuovi strumenti, noi allenatori dobbiamo essere pronti a sfruttarli», ha detto Simeone in una conferenza stampa la scorsa estate parlando di Llorente: in effetti, il 25enne ex Real Madrid era arrivato per fare il centrocampista centrale di quantità e qualità, ma, col tempo è di fatto diventato un attaccante. La sua storia è davvero particolare: inizialmente Simeone lo ha impiegato come esterno destro del 4-4-2, poi come seconda punta a fianco di uno tra Diego Costa e Morata, in entrambi i casi con compiti da incursore.

Nel corso di questa trasformazione, ciò che è stato impressionante di Llorente sono i molti modi diversi in cui ha dimostrato di poter essere determinante: ha un allungo poderoso che lo rende immarcabile quando parte da lontano per attaccare lo spazio, e in più possiede la capacità di scegliere il momento giusto per farlo; in questo modo, è sempre nel vivo di situazioni pericolose. Nell’Atlético di oggi è praticamente una mezzapunta di inserimento nel 3-4-2-1, un ruolo che è l’evoluzione di quello in cui è stato reinventato nello scorso anno; anche i compiti sono simili, considerando che l’Atlético si affidava spesso a lanci lunghi verso gli attaccanti, una situazione in cui Llorente riusciva a far valere la sua struttura fisica, posizionandosi per difendere il pallone dai tackle dei difensori, quasi da pivot. Del resto parliamo di un calciatore che possiede anche grandi qualità atletiche, che sa usare il suo corpo potente e scattante nel modo più intelligente in ogni circostanza, anche quando dribbla, orientandosi a protezione del pallone.

La pulizia tecnica è la dote di Llorente che dovrebbe stupire di meno, tenendo conto del giocatore che è sempre stato. Eppure, un attimo prima del gol segnato da Lemar contro il Valladolid, quando ha servito Trippier con un key pass che ha tagliato in diagonale la difesa avversaria, la sua giocata ha lasciato una strana sensazione di estemporaneità, come se il calciatore che era fosse improvvisamente riemerso dopo mesi di inserimenti continui, di tiri secchi e angolati, di cose fatte troppo bene per non essere da sempre le sue caratteristiche. Lo spettro delle giocate che Llorente sa fare va dal passaggio verticale al taglio improvviso per ricevere sul gomito dell’area piccola, come se fosse il glitch di un videogame. In molti lo hanno paragonato a Raul García, un altro centrocampista trasformato a suo tempo da Simeone in un incursore micidiale. Llorente ha trascinato l’Atleti nel post lockdown e lo sta facendo ancora oggi, dimostrando di essere il calciatore nettamente più in forma dei Colchoneros, nonché uno dei più decisivi della Liga.

Uno splendido passaggio prima di un bell’assist al centro: tra l’altro, questo è il primo gol di Lemar con l’Atlético Madrid dall’inizio della stagione 2019/20

Se Llorente è la novità per certi versi inattesa dell’Atlético Madrid, il vero punto di cesura tra la squadra dello scorso anno e quella della stagione in corso è però João Félix. Simeone ha capito tardi come utilizzare il suo miglior giocatore, e nel 2019/20 è rimasto sospeso tra le difficoltà nel valorizzarlo, alcuni tentativi falliti di utilizzarlo come esterno – con tutte le corse supplementari che ne conseguono – e l’esigenza di dosarlo. Discontinuo e apparentemente scoraggiato, come tutti i ragazzi di talento mandati alla scuola militare, João Félix ha giocato una prima stagione al di sotto delle enormi aspettative che erano riposte in lui. Nonostante gli evidenti colpi risolutivi e la qualità unica del 21enne portoghese, Simeone non è riuscito fin da subito a dargli subito l’importanza di cui gode ora nel gioco del suo Atlético.

Oggi, infatti, João Felix è il faro assoluto della squadra: la sua sensibilità tecnica è magnetica e, partendo da centrosinistra, da mezzapunta, fraseggia con chiunque, gioca nello stretto, dribbla, inventa, rifinisce, conclude. È il centro di gravità attorno a cui gira la squadra nell’ultimo terzo di campo, da cui dipende la capacità di attaccare anche in maniera più elaborata, con meno spazi a disposizione, ma dà anche la possibilità di difendere con il pallone, gestendo i ritmi della partita, ricorrendo meno a lunghe fasi di difesa posizionale. È il pezzo che più di tutti ha dato forma al puzzle del nuovo Atlético.

Nella sua prima stagione all’Atlético, João Felix ha accumulato 36 presenze e nove gol in tutte le competizioni; in questa nuova annata, è già a otto reti realizzate in 16 gare disputate tra campionato e Champions League (Gabriel Bouys/Getty Images)

Il gioco dei Colchoneros passa spesso per le fasce, sollecitate di continuo con cambi di gioco per muovere la difesa e far inserire i giocatori offensivi, ma quest’anno l’Atletico punta ad essere pericoloso anche per le corsie centrali, e ne è dimostrazione la scelta di comprare Luis Suárez. «Diego Costa e Morata hanno altre caratteristiche, hanno bisogno di spazi sul lungo. Noi cercavamo situazioni diverse» ha spiegato Simeone, che per l’uruguaiano ha da sempre un’ammirazione sconfinata. Magari il tempo ha corroso il suo fisico e la sua esplosività, ma al Cholo servono due caratteristiche in cui Suárez ancora eccelle: l’istinto da finalizzatore e, forse ancor di più, la sensibilità tecnica finissima per le sponde in velocità e il fraseggio nello stretto. Quando l’Atletico attacca centralmente, João Félix, Suárez e Llorente riescono a dialogare rapidamente e scambiare in spazi risicati con grande precisione, determinando un’inedita varietà di soluzioni palla a terra.

In questo momento, l’Atletico Madrid sembra aver trovato un equilibrio, mentre Barça e Real ancora cercano il proprio. Il Real Madrid sembra proprio l’opposto dell’Atletico: instabile, a volte poco solido, capace di risorgere partendo dal talento sconfinato più che da un piano preciso. La Liga è ancora lunghissima ed è difficile credere che i Blancos saranno così lontani dalla vetta per molto tempo ancora, soprattutto dopo lo scorso campionato, vinto rigenerandosi nell’ultima segmento di stagione. Simeone, nel frattempo, sembra aver creato nuovamente i presupposti per alzare il livello della sua creatura, per continuare a rinegoziare la dimensione del suo Atlético. Una squadra che, per la prima volta dopo molto tempo, arriva a un derbi madrileño da favorita. Non solo per la partita secca, ma forse anche per la corsa al titolo.