La Juve sta ritrovando fiducia e consapevolezza
Il gol di Paulo Dybala è un segnale chiaro: l’attaccante argentino dà il meglio di sé quando viene messo al centro di un sistema funzionale e funzionante, quando percepisce e sente fiducia intorno a sé, e quindi il fatto che abbia segnato la prima rete del suo campionato, tra l’altro un gol bello e importante, ci dice che la Juventus sta crescendo. È una squadra più sicura, che ha più fiducia rispetto a pochi giorni fa, che ha consapevolezza dei propri mezzi, delle proprie possibilità, anche dei propri limiti. Pirlo ha insistito sui suoi concetti, ha ritrovato giocatori importanti, ne ha scoperti di nuovi, e ora il suo sistema sembra l’abito migliore per mettere insieme una rosa evidentemente ibrida, sospesa tra passato e futuro. La delicata ricerca del compromesso tra le tante anime dell’organico bianconero ha travolto Allegri e poi Sarri, il nuovo corso punta evidentemente a una transizione dolce ma continua, che è molto più evidente quando c’è da tirare fuori la grande prestazione (come al Camp Nou contro il Barça) ma si percepisce anche in gare come quella contro il Genoa, in cui il dominio del campo è stato anche più netto, ma l’atteggiamento prettamente difensivo degli avversari ha limitato la costruzione di grandi occasioni da gol. Ma se una squadra ha trovato una propria quadratura, e ha pure dei grandi campioni in rosa, allora succede che i risultati arrivano più facilmente: è bastato un fazzoletto d’area di rigore, a Dybala e Cuadrado, per determinare il primo e il secondo gol della Juve; e poi l’errore tecnico di un avversario ha spalancato a Morata la strada per il gol, a quel punto Perin non poteva che causare un altro rigore e Ronaldo non si è fatto pregare. Le tre vittorie consecutive in campionato, a cui va aggiunta la notte meravigliosa e già storica di Barcellona, sono un altro segnale inequivocabile: la Juventus è ancora in costruzione, certo, ma ora è meno in costruzione di un mese fa. E resta una squadra fortissima. Se prima era difficile pensare a una corsa-scudetto senza i bianconeri, ora è davvero impossibile.
La forza della rosa dell’Inter, in attesa del gioco
La stagione dell’Inter non è iniziata benissimo, eppure i nerazzurri inseguono da vicino una squadra che ha vinto otto partite su undici, senza perdere mai. Insomma, le prestazioni negative e il fallimento in Champions League hanno dimostrato che la rosa di Conte, almeno in questo momento, fa fatica quando il coefficiente di difficoltà delle partite tende ad alzarsi – e infatti l’unica sconfitta in campionato è arrivata proprio contro il Milan. Quando però i nerazzurri possono far valere la qualità, la profondità della propria rosa, diventano una squadra difficile da frenare, soprattutto sulla lunga distanza: prima di Cagliari, infatti, gli uomini di Conte avevano già rimontato contro Fiorentina, Parma e Torino, spesso grazie agli innesti dalla panchina. In Sardegna è andata allo stesso modo: dopo un primo tempo neanche troppo negativo, gli ingressi di Hakimi, Sensi e Young, poi di D’Ambrosio e Lautaro Martínez, hanno fatto la differenza contro un Cagliari via via sempre meno corto, sempre meno compatto. Dopo il (bellissimo) gol di Barella, il sorpasso e pure il terzo gol dell’Inter sono apparsi inevitabili, come se fossero il frutto di una superiorità che, fino a un certo punto della gara, era stata limitata solo da Cragno. In virtù di tutto questo, il risultato maturato a Cagliari è da considerarsi giusto, pienamente meritato, e anche se l’espressione di gioco fa ancora fatica a essere davvero fluida, davvero gradevole, l’Inter sembra avere una forza irrefrenabile, almeno contro certi avversari. Ecco perché la gara di mercoledì con il Napoli assume un significato, un peso importante nell’economia della stagione nerazzurra: finora la squadra di Conte ha fallito tutti i grandi appuntamenti, e poi tra gennaio e febbraio affronterà Roma, Juventus, Lazio e Milan. Insomma siamo alla vigilia del periodo che determinerà la reale dimensione dell’Inter: per vincere certe gare e lanciare la fuga in campionato servirà qualcosa in più rispetto a quanto mostrato fino a oggi, ma se questi miglioramenti dovessero manifestarsi fin da subito, sarebbe difficile non considerare Conte e i suoi nella shortlist dei grandi favoriti per corsa allo scudetto.
L’Udinese ha investito sulla qualità, e ora sta raccogliendo i frutti
Sono un po’ di anni che ci sentiamo assuefatti a un’Udinese mediocre, spenta in campo e sul mercato, condannata a soffrire per tutto il campionato e, alla fine, in grado di salvarsi più per demeriti altrui che per meriti propri. Le tre vittorie consecutive di questo tardo autunno 2020, però, evidenziano una volta di più come il vento, forse, stia cambiando. In realtà la sensazione che l’Udinese volesse/potesse aspirare a qualcosa di più che a una salvezza stentata è sembrata viva fin dall’estate, quando sono arrivati in Friuli diversi giocatori di qualità: Pereyra, Pussetto e Deulofeu dal Watford, e qui c’entra sicuramente la retrocessione in Championship della squadra di proprietà della famiglia Pozzo, ma anche Forestieri, Arslan, Makengo, Molina, tutti elementi poco conosciuti che però si stanno rivelando all’altezza, e che il tecnico Luca Gotti ha fatto e sta facendo ruotare con sapienza dentro un sistema tattico essenziale ma non banale, tutto teso a esaltare un reparto offensivo variegato e ricco di qualità – a Torino hanno giocato Pussetto e Deulofeu, a Roma contro la Lazio sono andati in campo Pereyra e Forestieri, col Genoa c’era Okaka, e poi in rosa pure ci sono Lasagna e Nestorovski. Anche negli altri reparti, per la prima volta dopo diverse stagioni, l’Udinese ha investito sulla qualità: una sola cessione di peso (Fofana al Lens) e poi tantissime conferme, a cominciare ovviamente dal vero uomo-squadra bianconero, Rodrigo De Paul, fino ad arrivare a Samir, Mandragora – reduce da un lungo infortunio – e Rodrigo Becão, tutti calciatori che avrebbero potuto trasferirsi in club più ambiziosi e invece sono rimasti in Friuli. I successi contro Genoa, Lazio e Torino confermano la bontà di questo progetto, che è un po’ un ritorno alle origini per l’Udinese, un club che storicamente punta sulla scoperta e sulla valorizzazione del talento, che negli ultimi anni sembrava essere ristagnato, imploso, e ora invece ha ricominciato a percorrere quella strada.