Tre cose sulla 13esima giornata di Serie A

Immobile, Ilicic, il primo strappo di Milan, Inter e Juventus.

La maturità di Immobile, e la Lazio intorno a lui

Ciro Immobile ha segnato 138 gol in 193 giocate con la Lazio. È un dato incredibile, che certifica la perfetta aderenza – tattica, psicologica, emotiva – tra le sue caratteristiche e il gioco di Simone Inzaghi, l’unico tecnico con cui ha lavorato a Roma, e con cui ha un rapporto a dir poco simbiotico. Nella grande notte contro il Napoli, però, Immobile ha mostrato – per l’ennesima volta – di essere diventato qualcosa di più che un attaccante efficace all’interno di un certo sistema tattico. Ce ne siamo accorti in occasione del gol di Luis Alberto, servito perfettamente dal centravanti della Nazionale (37esimo assist decisivo, per lui) dopo un recupero palla in zona altissima di campo: forse il vecchio Immobile non avrebbe gestito quella transizione con la stessa sapienza glaciale, forse non avrebbe passato il pallone con tempi così perfetti, non a caso Luis Alberto non ha dovuto fare nient’altro che aprire il piede destro per la conclusione a giro sul secondo palo, una giocata perfettamente in linea con le sue qualità, con la sua visione del calcio. Certo, la Lazio – una squadra verticale, diretta, di grande impatto fisico, sempre alla ricerca del ribaltamento veloce – è costruita in modo da esaltare le doti di Immobile, non a caso le sua prestazioni in Nazionale sono meno scintillanti, con Mancini in panchina lui risulta meno decisivo, Ma per il resto non ci sono più dubbi: Immobile ha raggiunto la sua maturità, a livello realizzativo e tecnico-tattico è uno degli attaccanti più decisivi e intelligenti d’Europa, e il fatto che la sua media sia in linea anche in Champions League (cinque gol in quattro partite), laddove aveva sempre sofferto, pochi mesi dopo la vittoria della Scarpa d’Oro, è la conferma definitiva del suo passaggio di status.

Un gol e un assist

Ilicic e la restaurazione della bellezza

L’idea che si possa dipendere esclusivamente da un sistema, per quanto possa essere collaudato e funzionale, è clamorosamente decaduta quando Josip Ilicic ha fatto il suo ingresso nel match contro la Roma. Fin lì, l’Atalanta era apparsa scarica, come un meccanismo elettronico a cui qualcuno aveva dimenticato di attaccare la spina; l’impressione generale, per tutto il primo tempo, era che la Roma avesse più furbizia, più capacità nel maneggiare partite di questo tipo. A una squadra che ormai ha salutato quello che per anni è stato il suo indiscusso trascinatore, il Papu Gomez, sembrava che la magia si fosse spenta di colpo. È stato l’ingresso di Ilicic, appunto, a cambiare le cose e il corso del match: lo ha fatto con due assist – un tocco di prima, intelligente e quasi impercettibile, per Zapata, e poi, ancora, un cross da goniometro per la zuccata vincente di Gosens – e poi con uno dei suoi gol, bellissimo, da drizzare in piedi sulla sedia, una sequenza di dribbling secchi prima della stoccata vincente, impossibile da decifrare. Per lo sloveno è una rete di importanza totale, visto che è la prima in Serie A da marzo, la sottolineatura di un ritorno dopo le difficoltà personali che ha dovuto affrontare; ma è anche l’affermazione di un’idea, la bellezza come forma di competitività più nobile, perché dove non arrivano schemi, moduli e concetti arriva la classe, nella sua identità più pura e cristallina.

Atalanta-Roma 4-1

Milan, Inter, Juve: valori e coerenza

Il ritornello della stagione anomala è ancora vivo nel racconto settimanale della Serie A, ma la realtà dice che stiamo andando in un’altra direzione. Sì, perché il primo solco scavato tra le squadre di testa e le inseguitrici è il frutto di una superiorità netta, Per quanto riguarda Inter e Juventus, si tratta di un predominio annunciato: le squadre di Pirlo e Conte erano considerate le favorite per la corsa al titolo, e anche se l’inizio è stato complicato per entrambe ora i loro valori fuori scala stanno emergendo in maniera chiara – come si nota dalle sei vittorie consecutive dei nerazzurri e dal buonissimo cammino dei bianconeri, reduci da cinque successi e un pareggio nelle ultime sei partite tra campionato e Champions League. Magari il gioco di Conte e Pirlo è ancora intermittente, non sempre brilla per sofisticatezza e fluidità, ma il cambio di passo è evidente, soprattutto nelle gare contro avversarie di livello più basso. L’unica squadra che sembra capace di resistere è il Milan, ovvero il collettivo che vanta il sistema di gioco più efficace e aderente con le caratteristiche della rosa. È inevitabile: per compensare il gap di qualità ed esperienza, servono idee tattiche fruttuose e dei giocatori in grado di recepirle, di metterle in pratica. Anche senza Ibrahimovic e altre pedine fondamentali, Pioli ha a disposizione degli uomini adatti a un gioco diretto, immediato, così il Milan finisce per rallentare un po’ ma poi ricomincia a correre, proprio come è avvenuto in casa del Sassuolo dopo i due pareggi contro Parma e Genoa. È difficile prevedere fino a quando i rossoneri potranno mantenere questo rendimento, ma il primato di ogi è il giusto premio a un progetto portato avanti senza tentennamenti, con assoluta coerenza, una dote strategica che paga sempre, soprattutto sul lungo periodo. E infatti il Milan si sta giocando lo scudetto con due avversarie che erano considerate e sembrano ancora molto più forti dei rossoneri, almeno per valore assoluto, ma sono ancora dietro, almeno per il momento.

Il gol di Leão, poi tutto il resto della partita di Reggio Emilia