Cosa succede nel Beitar, il club di estrema destra israeliano?

L'arrivo della nuova proprietà araba non è piaciuto ai tifosi più radicali e razzisti (ovvero, la maggioranza).

L’ufficialità è arrivata qualche settimana fa, prima delle festività natalizie: il 50% delle quote di una squadra di calcio israeliana, il Beitar Gerusalemme, è stato acquistato da uno sceicco arabo, erede di una delle famiglie reali degli Emirati Arabi Uniti. Nulla di strano o di particolare, nell’era del calcio globalizzato, se non fosse per la collocazione politica del Beitar: la tifoseria è storicamente schierata all’estrema destra, al punto che numerosi gruppi di tifosi intonano spesso il coro “Morte agli arabi” quando occupano gli spalti dello stadio Teddy Kollek, impianto da 34mila posti inaugurato nel 1991; in virtù di questa ideologia, nella rosa del Beitar non c’è mai stato un solo giocatore arabo, ed è l’unica squadra israeliana a non averne mai acquistato uno. Almeno finora.

Sì, perché la situazione potrebbe cambiare molto presto. Secondo quanto riportato dal New York Times, l’acquisto delle azioni da parte dello sceicco Hamad bin Khalifa Al Nahyan – coadiuvato da Moshe Hogeg, un dirigente israeliano legato al mondo delle criptovalute – sarebbe uno dei primi frutti degli accordi di distensione dei rapporti diplomatici tra Emirati Uniti e Israele, firmati in agosto e annunciati con grande enfasi da Donald Trump. Moshe Hogeg ha dichiarato che «questa acquisizione porta con sé un messaggio molto potente: siamo tutti uguali, possiamo lavorare insieme e fare belle cose»; lo sceicco Hamad, sulla stessa lunghezza d’onda, ha aggiunto che il Beitar potrebbe acquistare presto un giocatore arabo: «La nostra rosa è aperta a chiunque, a qualsiasi giocatore di talento: non importa da dove viene o quale sia la sua religione». Anche questo è un fattore di cambiamento rivoluzionario, nella storia del Beitar: in passato, i gruppi organizzati più radicali – tra cui La Familia, espressamente schierato all’estrema destra dello spettro politico – hanno protestato non solo per l’acquisto, ma anche solo per le semplici voci di mercato relative a giocatori musulmani, nigeriani, ceceni, mettendo in forte imbarazzo il club.

Ovviamente, ora siamo su un altro livello: buona parte della tifoseria si è schierata in maniera molto dura contro la nuova proprietà, secondo quanto riporta il Guardian ci sono già state delle manifestazioni da parte de La Familia, tra cui la comparsa di alcuni slogan anti-arabi sui muri di alcune zone di Gerusalemme; il quotidiano inglese ha riportato alcune dichiarazioni di un membro non identificato del gruppo ultras, che ha spiegato come l’arrivo degli arabi minacci l’identità del club, «ma anche dell’intera città di Gerusalemme, storicamente divisa tra ebrei e arabi ma controllata dal governo israeliano». L’ala meno politicizzata della tifoseria non ha bocciato in maniera preventiva la nuova era, anche perché gli obiettivi del Beitar potrebbero diventare molto ambiziosi: gli investimenti dei nuovi soci dovrebbero superare quota 90 milioni di euro nei prossimi dieci anni, una cifra considerevole per un club che non vince il campionato nazionale dal 2009. Oltre il campo, però, ci sono evidenti obiettivi politici: Moshe Hogeg ha spiegato che «la sfida di cambiare la reputazione razzista del Beitar è davvero stimolante»; e poi ci sono da considerare i nuovi equilibri internazionali, non a caso l’asse tra Emirati Arabi e Israele è stato suggellato proprio con uno dei club più vicini all’estabilishment israeliano, sostenuto dal premier Netanyahu e anche dall’attuale Capo di Stato Reuven Rivlin, che anzi è stato parte della dirigenza prima di entrare in politica.