Tre cose sulla 18esima giornata di Serie A

La distanza tra Inter e Juve, il dominio di Luis Alberto.

L’Inter è la squadra che voleva essere

L’Inter ha battuto la Juventus per 2-0, eppure non ha fatto cose molto diverse da tante altre partite di questa stagione. Certo, rispetto al derby perso contro il Milan, o alle gare di Champions League, la squadra di Conte è apparsa messa meglio dal punto di vista fisico, più concentrata, più brava ad accorciare il campo difensivo e ad allungarsi in attacco non appena le si presentava l’occasione per farlo. Il punto, però, è che i nerazzurri non hanno avuto bisogno di nuove trovate, di aggiungere qualche diavoleria tattica, per dominare la partita: a Conte è bastato che i suoi uomini migliori offrissero una buona prestazione per annullare completamente la Juve, per finire il primo tempo in vantaggio di un gol e rammaricarsi che forse avrebbe potuto segnare di più, per chiudere il discorso nel secondo tempo con il gol del giocatore che oggi rappresenta l’Inter più e meglio di ogni altro. Parliamo ovviamente di Nicolò Barella, probabilmente il centrocampista italiano più forte del momento, di certo il motore energetico e creativo creativo della squadra nerazzurro, il giocatore che fa da raccordo tra la fase offensiva e quella difensiva, un campione ormai completo e maturo e decisivo sempre, a tutti i livelli, che finalmente ha trovato un compagno di reparto in grado di elevare il rendimento del sistema di Conte. Sì, perché se Barella e Lukaku sono gli uomini-simbolo dell’Inter, se Hakimi è stato (finora) l’innesto più importante del mercato, l’uomo che descrive meglio il momento nerazzurro è Arturo Vidal: il primo gol in campionato, pochi giorni dopo quello in Coppa Italia, è stato solo il coronamento di un miglioramento evidente, esponenziale, di una crescita vissuta in parallelo con quella della squadra, dopo un inizio interlocutorio. L’Inter era stata pensata e costruita per giocare come ha fatto contro la Juve, con questo Vidal, questo Barella, con questi Lukaku e Lautaro, e ora è diventata proprio la squadra che voleva essere. Per questo ha raggiunto il primo posto, in attesa del risultato del Milan, ma intanto la Juve è sette punti indietro e deve recuperare la gara contro il Napoli, e questa sembra essere la distanza giusta tra le due squadre, per quello che abbiamo visto in campo, ieri sera e non solo ieri sera.

Gli highlights di Inter-Juventus

La distanza tra la Juve ipotetica e la Juve reale

Se l’Inter ha mantenuto fede alle sua idee, alle premesse di inizio stagione, e ora sta raccogliendo i frutti del suo percorso di crescita, la Juventus paga proprio la distanza – ancora molto ampia – tra ciò che voleva essere e ciò che è. Il progetto di Pirlo è stato approntato e raccontato come un insieme di idee visionarie, difficili da mettere in pratica in poco tempo, e in effetti sta andando proprio così. Il punto è che siamo oltre la metà di gennaio, e i bianconeri hanno mostrato troppo raramente il proprio lato migliore – a Barcellona, a San Siro contro il Milan, e in poche altre occasioni – perché possano continuare con questo rendimento altalenante, mai pienamente convincente sul medio-lungo periodo, senza interrogarsi sulla loro reale consistenza. A San Siro, ieri sera, l’unico tiro in porta veramente pericoloso è arrivato nel finale di gara, con Chiesa; in precedenza, solo la botta di Rabiot respinta da Handanovic – pochi istanti prima prima del gol annullato a Ronaldo per fuorigioco – può essere considerata una vera occasione da gol. La scarsa vena in attacco non è stata bilanciata dalla giusta attenzione difensiva, né tantomeno dal gioco corto e aggressivo che Pirlo professa fin dal suo insediamento in panchina. La Juve vista a San Siro è come se fosse rimasta a metà, sospesa tra le ambizioni del suo allenatore e la realtà di una partita giocata male, di una rosa che non ha ancora assorbito il nuovo corso tattico: una doppia indecisione che ha finito per depotenziare il sistema, che ha reso poco fluida la manovra e ha aperto ampi spazi tra i reparti, praterie in cui i giocatori dell’Inter hanno banchettato per tutta la gara – del resto Lukaku, Martínez, Hakimi e Barella sono eccezionali quando possono attaccare ampie porzioni di campo lasciate sguarnite. Certo, è anche una questione di incastri: la squadra di Conte si esalta quando le distanze degli avversari sono così larghe, e poi ha grande qualità nei singoli; difficilmente la Juve affronterà avversari così forti e così maturi, nel suo cammino in Italia e in Europa. Ma la Juve deve avere obiettivi assoluti, deve vincere sempre e contro chiunque, e per farlo non c’è altra strada che trovare una propria identità, qualunque essa sia. In questo processo, Pirlo sta andando più lentamente del previsto, e ora è arrivata una sconfitta dura – la prima in un confronto diretto in Serie A – che complica ulteriormente la situazione. In virtù di tutto questo, forse sarebbe il caso di chiedersi se è giusto insistere su questa strada, oppure magari è arrivato il momento di cambiare. La risposta a questo interrogativo determinerà il futuro della Juve e del suo allenatore, a breve ma soprattutto a lungo termine.

Luis Alberto può fare tutto

L’anno scorso era stato uno dei giocatori a mettere a segno più assist in Serie A: la Lazio era arrivata in Champions, se due cose soltanto si devono scegliere, grazie ai gol di Immobile e ai passaggi dello spagnolo, vero e proprio numero 10 “abbassato” rispetto agli anni precedenti ma magistrale regista nelle verticalizzazioni laziali. Insomma, centrocampista o trequartista ambiguo ma soprattutto ubiquo. Quest’anno, in attesa degli assist, ci sono i gol: la doppietta contro la Roma porta lo score dell’ex Siviglia a 6 reti, pericolosamente vicino al suo score massimo (11, alla seconda stagione romana). Eppure, dire che si è trasformato in semplice attaccante sarebbe sbagliato: (ri)guardatevi il derby con la Roma, e le numerose occasioni della Lazio non trasformate in gol. Sia nel primo tempo che nel secondo, dal piede del 10 di Inzaghi sono passate le più pericolose verticalizzazioni. A volte per far correre Lazzari o Milinkovic, ma soprattutto nella ripresa, con la Roma più aperta, per far correre Ciro Immobile che ha bombardato Pau Lopez. Almeno tre occasioni sono andate così. Alla quarta, c’era lui stesso a concludere: 3-0 per la Lazio.

Lazio-Roma 3-0