Il tristissimo ritiro di Ibrahim Afellay

Ha detto basta a 34 anni, da svincolato, al termine di una carriera che non ha rispettato le attese.

Ibrahim Afellay sembrava destinato a essere uno dei giocatori più riconoscibili della sua era, se non addirittura un grande talento intergenerazionale. Aveva anche fatto il percorso giusto per confermare queste aspettative: la rivelazione lenta ma costante nel Psv, l’esordio e il consolidamento nella Nazionale olandese (con cui ha disputato 53 partite), il trasferimento al Barcellona nel momento della maturità, i successi – anche se da comprimario – colti con il club blaugrana. Poi, però, qualcosa è andato storto. Al punto che oggi è arrivata la notizia ufficiale del suo ritiro, a 34 anni. Ma la cosa veramente triste non è questo addio leggermente prematuro, piuttosto l’andamento declinante della carriera nelle ultime stagioni: Afellay ha annunciato il ritiro oggi ma in realtà non gioca una partita ufficiale dal 26 gennaio 2020, quando fu espulso durante Psv-Twente; era tornato al Psv nell’estate 2019, dopo alcuni mesi da svincolato; ancora prima, l’esperienza allo Stoke City era stata davvero frustrante, appena 55 presenze e tre reti in quattro anni, di cui 49 nelle prime due stagioni.

Queste cifre sono eloquenti: Afellay, praticamente, non gioca a calcio in maniera costante e continua dall’annata 2016/17, quando non aveva compiuto ancora trent’anni. E non è che prima fosse andata molto meglio: lo Stoke l’aveva acquistato a parametro zero dopo un altro fallimento all’Olympiakos, che a sua volta aveva rilevato il suo cartellino dal Barcellona con una formula particolare, il prestito rinnovabile che però non era stato rinnovato. Insomma, per trovare l’ultima stagione davvero positiva di Afellay bisogna andare indietro nel tempo di dieci anni, fino al 2010/11: l’esterno olandese era la prima riserva del tridente Messi-Villa-Pedro, non a caso è sceso in campo – anche se da subentrato – in tutte le gare decisive della Champions League 2010/11, e ha servito anche un assist decisivo nello 0-2 del Barça al Bernabéu, nell’andata delle semifinali contro il Real Madrid. Pochi mesi dopo, il turning point negativo: la rottura del legamento crociato lo fece scivolare giù nelle gerarchie di Guardiola, e da allora non è mai più riuscito a tornare ai suoi livelli.

Il Barça tentò di rivitalizzarlo con un prestito allo Schalke 04, ma in realtà il suo talento non sarebbe mai più tornato a splendere come ai tempi del Psv, quando si impose come uno degli esterni offensivi più creativi e intelligenti d’Europa, grazie a una tecnica sopraffina che però riusciva e non trasformarsi mai in una mera espressione estetica, ma restava sempre efficace, focalizzata sugli obiettivi di squadra. Il rientro al Psv del 2019 sembrava potergli dare un’ultima occasione di rinascita, almeno parziale. Non è andata così: l’ultima gara, quella contro il Twente, è stata la quarta della sua seconda esperienza con il club di Eindhoven; in seguito il suo contratto non è stato rinnovato e lui è rimasto senza squadra, in attesa di una nuova offerta. Fino a poche ore fa, quando è andato in televisione e ha annunciato il suo addio: «Lascio il calcio, è un’idea che avevo in testa da un po’. Avrei voluto continuare per un’altra stagione, ma non a tutti i costi. Sapevo cosa volevo fare e soprattutto cosa non volevo fare, e oggi il momento è arrivato». Per com’è andata, e per com’è finita, è stato un vero peccato.