Perché Vincenzo Grifo è ancora così sottovalutato?

L'esterno offensivo della Nazionale è diventato uno dei giocatori più creativi ed efficaci della Bundesliga.

Tutte le volte che compare Vincenzo Grifo, è sempre come se fosse una sorpresa. La sua prima manifestazione risale al novembre 2018, quando Roberto Mancini decise di convocarlo nella Nazionale italiana. Era passato da poco all’Hoffenheim dopo una stagione anonima con il Borussia Mönchengladbach, il ct stava provando tantissimi nuovi giocatori e sfruttò l’amichevole di Genk con gli Stati Uniti – 1-0 in favore degli Azzurri – per testare anche lui. Magari in quel momento era davvero una sorpresa, in effetti lo conoscevano in pochissimi, molti rimasero interdetti, alcuni riciclarono la solita retorica del figlio di emigranti per raccontare la sua storia come una storia di redenzione e rivalsa. Ovviamente la realtà era ben diversa: Grifo non era certo un giocatore famoso a livello internazionale ma neanche uno sconosciuto, era un elemento di discreta qualità, un esterno offensivo creativo ma anche ben disciplinato, bravo soprattutto a rientrare sul piede destro partendo dall’altra fascia; nella testa di Mancini era un’alternativa a Insigne, se proprio vogliamo dare una definizione tecnico-tattica della sua convocazione – pur con tutte le differenze del caso.

Dal punto di vista socio-culturale, poi, Grifo era semplicemente il figlio di una coppia di italiani trapiantati in Germania, di due signori che non avevano mai troncato il loro rapporto con il Paese natale, tanto che Vincenzo ha dichiarato di avere solo il passaporto italiano e di aver parlato «sempre e solo italiano, anche a casa»; però nel frattempo lui è cresciuto in Germania come uomo e come calciatore, per la precisione nel settore giovanile del Brötzingen e del Karlsrhue; in seguito è stato acquistato dall’Hoffenheim e poi ha trovato la sua dimensione definitiva al Friburgo, in seconda divisione e poi in Bundesliga.

Poco più di due anni dopo, cioè oggi, le cose e le persone non sono cambiate. O meglio: sono cambiate e poi sono tornate dove erano prima. A gennaio 2019 Grifo ha lasciato di nuovo l’Hoffenheim per tornare in prestito al Friburgo, che alla fine l’ha acquistato definitivamente all’inizio della stagione scorsa. Poi è stato chiamato di nuovo in Nazionale e ha vestito di nuovo i panni dell’uomo-sorpresa, grazie ai due gol segnati all’Estonia – il primo è stato davvero molto bello e significativo, anche perché così Grifo è diventato il primo giocatore della storia che ha segnato un gol con l’Italia senza aver mai giocato nel campionato italiano, in nessuna categoria. Era l’11 novembre 2020, e da allora Grifo non si è più fermato: cinque gol e due assist in Bundesliga, ma soprattutto una crescita esponenziale nella qualità e nella continuità delle prestazioni. Al punto che il magazine calcistico Kicker l’ha messo al terzo posto nella classifica dei migliori esterni offensivi del campionato dietro Coman del Bayern e Jonas Hofmann del Gladbach: «Grifo merita questo riconoscimento perché è un giocatore molto tecnico e molto astuto, che grazie al suo piede destro sa essere pericoloso in tutte le situazioni: sette gol, quattro assist e quattro penultimi passaggi decisivi non arrivano per caso», ha scritto Kicker.

Ecco, forse siamo arrivati al tempo in cui Vincenzo Grifo non viene più considerato un parvenu, un miracolato; il tempo in cui il suo rendimento e anche la sua convocazione in Nazionale non possono essere raccontati come se fossero una sorpresa, un evento folkloristico. I numeri snocciolati da Kicker sono veri e pieni, ma sono anche parziali: in questo momento, infatti, Grifo è anche il sesto miglior giocatore della Bundesliga per passaggi chiave (2,3 per match), e nel computo delle azioni finite con una conclusione – personale o servita a un compagno – risulta essere il terzo miglior creatore di gioco offensivo dietro Thomas Müller e Jadon Sancho. È l’irrinunciabile leader offensivo di una squadra che di sicuro non può essere considerata come una grande di Germania, eppure in questo momento è all’ottavo posto in classifica, ha un ampio margine sulla zona retrocessione (dieci punti) ed è poco distante (sei punti) dal quarto posto che vale la Champions League.

Anche in questo video del 2017 Grifo non era niente male

L’incomprensibile visione italo-centrica che il calcio italiano sembra volersi imporre e infliggere – quella per cui, ad esempio, Marco Verratti non è un giocatore pienamente affermato nonostante sia titolare da dieci anni nella squadra che ha disputato l’ultima finale di Champions League – condanna Grifo a una condizione di subalternità che non merita, o quantomeno non merita più. È evidente che non stiamo parlando di un fuoriclasse di fama internazionale, ma di un calciatore di buon livello che è migliorato tantissimo. E che sta migliorando ancora. In questo momento, infatti, le prestazioni di Grifo – a livello puramente numerico, ma anche di incidenza sul rendimento della sua squadra – sono identiche a quelle di Berardi, sono migliori rispetto a quelle di Chiesa, Bernardeschi ed El Shaarawy, non a caso tutti calciatori utilizzati in Nazionale come esterni offensivi.

Nel calcio contemporaneo, la distanza geografica non può più essere percepita e vissuta come lontananza; allo stesso modo, il livello di competitività dei campionati più ricchi ed evoluti è del tutto similare, e anche se il Sassuolo e il Friburgo (entrambe le squadre sono all’ottavo posto in classifica) giocano un calcio diverso, e affrontano avversari con caratteristiche differenti, i loro giocatori – portieri, difensori, esterni offensivi che siano – devono essere messi sullo stesso piano teorico. È quello che ha fatto Mancini fin da quando ha convocato Grifo per la prima volta e poi ha continuato a farlo, e a rifarlo, riconoscendo in lui delle qualità che erano rimaste un po’ nascoste fino a quel momento. Che forse sono state sottovalutate anche dopo, ma che oggi stanno emergendo in maniera chiara. Al punto che ignorarle è diventato impossibile, se non del tutto stupido.