Luis Suárez ha fatto la rivoluzione all’Atlético Madrid

Sembrava in declino, ma è ancora uno dei migliori attaccanti d'Europa. Ed è riuscito a cambiare ciò che sembrava immutabile: il calcio di Diego Simeone.

Luis Suárez è forse il miglior acquisto della stagione 2020/21 in tutta Europa. Ci ha messo davvero poco a diventare il giocatore più importante dell’Atlético Madrid, cioè la squadra che sta dominando la Liga con una brutalità che forse nelle ultime stagioni è appartenuta solo a certe versioni del Bayern Monaco, del Paris Saint-Germain o della Juventus. Suárez è più decisivo della stella della squadra (João Felix), del giocatore più sorprendente del campionato (Marcos Llorente), del portiere più costante della Liga (Jan Oblak). Più di tutti. In questo momento è l’uomo-simbolo del successo dei colchoneros, di una squadra prima con dieci punti di vantaggio sulla coppia Real Madrid-Barcellona, tra l’altro con una partita da recuperare.

Ma la percezione attuale di Luis Suárez è soprattutto una conseguenza del suo trasferimento – o del suo allontanamento, si potrebbe dire – dal Barcellona: dopo quattro o cinque stagioni in cui è stato un attaccante praticamente perfetto, al tempo stesso ingranaggio della squadra e finalizzatore implacabile, nell’ultima fase al Camp Nou il suo ruolo e il suo peso nel sistema di gioco blaugrana si erano sgretolati, o quantomeno erano molto diminuiti. C’entrano sicuramente gli infortuni: ha saltato 17 partite la scorsa stagione – complice l’operazione al ginocchio di dodici mesi fa – e altre dieci nel 2018/19. Ma il suo addio al Barcellona è legato al fatto che, per assurdo, non fosse più l’attaccante giusto per giocare al fianco di Leo Messi. In buona sostanza, quindi, era diventato incompatibile con l’intera galassia culè.

Nella seconda parte della sua esperienza in Catalogna, Suárez ha perso incisività in fase di pressing, energia per scattare tante volte oltre la linea difensiva ad altissima intensità, e nella serata storta sembrava in difficoltà anche nel lavoro di raccordo a metà campo – una delle cose che ha sempre fatto alla grande. Molto semplicemente, da qualche anno non è più un attaccante in grado di condizionare una partita solo con la sua presenza, piuttosto un centravanti che ha necessità di trovarsi in un contesto a favorevole, di giocare in una squadra che gioca per lui. Solo che questo privilegio, nel Barcellona, può averlo solo l’uomo con il 10.

La parte più sorprendente della storia però è quella successiva al trasferimento a Madrid, dove l’uruguaiano ha trovato un allenatore disposto a metterlo al centro del suo disegno a costo di ribaltare completamente la squadra. Niente di così assurdo, se non fosse che quell’allenatore è Diego Pablo Simeone. Ovvero un tecnico che, stagione dopo stagione, si è affermato come un professionista con una visione dogmatica, ferma su alcune idee immutabili. Il Cholo, con estremo e inatteso pragmatismo, ha capito di avere a disposizione un attaccante unico, con un realizzatore diverso da tutti quelli avuti in passato: l’anno scorso Morata chiuse con 12 reti in Liga; Griezmann due anni fa fu il miglior marcatore dell’Atlético con 15 gol; Suárez è già a quota 14 in 16 partite giocate, giusto per chiarire le proporzioni. E, tra l’altro, 11 di queste marcature sono state decisive.

Per uno così, Diego Simeone ha buttato a terra l’impalcatura tattica della sua squadra per ricominciare da zero. Ha fatto soprattutto tre cose: prima di tutto ha capito di dover giocare nella metà campo avversaria per ridurre le corse in campo aperto – che Suárez non avrebbe potuto sostenere sul lungo periodo – e restringere gli spazi: ha alzato il baricentro e dato ai terzini libertà di avanzare sulla linea dell’attacco; ha dovuto costruire un sistema per far arrivare la palla lì davanti, quindi ha abbandonato il 4-4-2 con cui serrava le linee e si compattava dietro per passare a un 3-4-2-1 (o 3-3-2-2) più scaglionato, che permette una diversa occupazione degli spazi e semplifica l’uscita del pallone dal basso; e poi, ancora, ha dovuto mettere al fianco e alle spalle del suo centravanti giocatori con enormi qualità tecniche come João Felix, Marcos Llorente, Correa, persino il ristabilito Lemar, così da dargli la possibilità di dialogare, triangolare e scambiare nello stretto e creare occasioni da gol.

Ci sono due dichiarazioni recenti che spiegano il cambiamento dell’Atlético Madrid, forse anche più degli aspetti tattici. La prima è dello stesso Simeone: «C’è bisogno di rifornirlo costantemente, Diego Costa e Morata volevano andare nello spazio e giocare in campo lungo. Luis, invece, ha bisogno di più persone vicine a lui, la squadra deve cercare qualcosa di più articolato». La seconda dichiarazione è di un difensore centrale, Stefan Savic: «Ultimamente stiamo attaccando bene e i difensori devono mantenere la linea alta, e abbiamo scoperto che ci troviamo bene». Forse non è la definizione da dizionario di “rivoluzione”, ma è la descrizione di una squadra antitetica rispetto alla storia recente dei colchoneros. Con questi aggiustamenti, l’Atlético pensava di poter fare un passo avanti, in senso tattico-geografico e metaforico. Grazie a Suárez ne ha fatti due o tre.

Al 90esimo di questa partita, Suárez conquista e segna – con un Panenka morbidissimo – il rigore che vale tre punti: era proprio quello che serviva all’Atlético Madrid per andare oltre se stesso

L’impatto di Luís Suárez sul mondo rojiblanco è quello di uno veterano con lo status del campione che entra in rotta di collisione con la storia da perenne underdog dell’Atlético Madrid. L’urugauiano ha portato una dose di leadership che nell’ambiente si era ridotta con la partenza di Gabi Fernández, e poi si era sgretolata sulla cessione di Godin. «La sensazione dello spogliatoio e dell’intero ambiente è che dopo il suo arrivo, grazie al suo carattere e ai suoi gol, la squadra vince partite che prima le sarebbero sfuggite. In altre parole, sta dimostrando di essere un calciatore che ti avvicina al successo e ai trofei», ha scritto su As Jesús Colino, che per il quotidiano della capitale segue l’Atlético Madrid. Si è notato ad esempio nell’ultimo turno di Liga: i Colchoneros hanno segnato quattro gol in trasferta a Cadice, sul campo di una squadra che ha già battuto Real Madrid e Barcellona, giocando un tipo di partita che non avrebbe pensato di fare soltanto sei mesi fa. E dalla sconfitta nel derby di metà dicembre, gli uomini di Simeone hanno vinto tutte le partite in Liga (otto consecutive); in questo momento, sono in ritmo per fare 100 punti, e nessuna versione della storia recente dell’Atlético Madrid è mai stata così vicina a questo risultato.

Domenica dopo domenica Suárez ci ricorda che l’Atlético ha ingaggiato uno dei migliori attaccanti degli ultimi dieci anni, un giocatore che per un periodo lunghissimo ha avuto una costanza di rendimento ai massimi livelli con pochi eguali – Messi e Ronaldo non fanno parte del discorso. Un attaccante che in ogni partita di campionato può segnare, e lo fa come se fosse la cosa più naturale e importante del mondo. Uno che ha reso molto più semplice portare a casa i tre punti da qualsiasi partita: non a caso, con uno così nella squadra di Messi, il Barcellona ha vinto quattro dei sei campionati in cui ha avuto l’uruguaiano. La grandezza di Suárez sta proprio nell’aver mantenuto questa sua qualità anche in un ambiente, in una squadra e in un contesto di gioco completamente differente rispetto a quello a cui era abituato. Anzi, è riuscito a piegare l’Atlético, ovvero il sistema immutabile di Simeone, alle sue esigenze. E fin quando giocherà così, avrà sempre ragione lui.