Cosa significa la fine delle attività dello Jiangsu Suning, la squadra campione di Cina

La bolla della Chinese Super League è davvero scoppiata in maniera definitiva?

Lo Jiangsu Suning ha cessato ufficialmente tutte le attività sportive. In una nota ufficiale, il club di proprietà di Suning – conglomerata della famiglia Zhang, leader nella vendita al dettaglio di numerosi prodotti tecnologici e cosmetici – ha annunciato «la chiusura dello Jiangsu Suning a tutti i livelli, mentre la proprietà è impegnata a cercare, in un ambito più ampio, soggetti interessati al futuro sviluppo del club». In questo momento, dunque, la squadra che ha vinto l’ultima Chinese Super League è formalmente inattiva, in attesa di capire quale sarà il suo futuro, ovvero se ci saranno altri investitori pronti a rilevare le quote e a subentrare nella gestione. Anche la squadra femminile ha cessato le sue attività, mentre invece l’altro club posseduto da Suning – l’Inter – non dovrebbe subire ripercussioni: una fonte vicina alla conglomerata cinese ha detto alla BBC che «non ci sarà alcun impatto sul futuro della società nerazzurra, anche se è chiaro che Suning è in cerca di nuovi soci anche per quell’asset».

Ma perché Suning ha fatto questa scelta? Per consolidare una situazione economica piuttosto intricata. Pochi giorni fa, infatti, il proprietario e fondatore di Suning, Zhang Jindong ha dichiarato che la sua azienda «desidera concentrarsi risolutamente sulle attività di vendita al dettaglio, e quindi è stata predisposta l’interruzione – o comunque il ridimensionamento – di tutte le attività del gruppo che sono diventate irrilevanti; inoltre, secondo il Financial Times, l’obiettivo sui mercati sarebbe vendere una quota azionaria dal valore di 2,5 miliardi di dollari, così da «migliorare la struttura azionaria della società e far avanzare la sua strategia a lungo termine, nell’ottica di un quadro economico deficitario: Suning ha saldato 1,5 miliardi di dollari di debiti alla fine del 2020, ma ha obblighi più grandi che incombono, inclusi 600 milioni di dollari in note di pagamento in scadenza a settembre 2021». Insomma, in questo momento il calcio e lo sport sono settori inevitabilmente secondari per la famiglia Zhang, e infatti anche l’operazione PPTV ha avuto un esito piuttosto negativo: l’emittente gestita da Suning detiene ancora i diritti di trasmissione su suolo cinese delle partite di Serie A, Bundesliga, Liga e Champions League, ma nel frattempo ha provveduto a licenziare il 30% del personale, e inoltre ha perso la possibilità di mandare in onda le gare di Premier League, dopo un tentativo (fallito) di rinegoziare al ribasso la cifra pattuita a inizio stagione e saldata con ampi ritardi – circa 200 milioni di euro.

In realtà, però, anche il progressivo collasso del sistema-calcio cinese sembra aver avuto un peso importante nella decisione di Suning. Poco meno di un anno fa, il fallimento del Tianjin Tianhai, il primo nella storia della Chinese Super League, era stato un primo scricchiolio evidente; ora la situazione si è evoluta, e anzi il ridimensionamento economico e tecnico è un’ipotesi sempre più realistica. Proprio il caso vissuto dallo Jiangsu Suning è emblematico: al termine del campionato 2020, la squadra campione di Cina non è riuscita a rinnovare il contratto di Alex Teixeira, il suo giocatore più forte e rappresentativo, proprio perché non poteva più far fronte al suo (grosso) stipendio. E non solo per difficoltà finanziarie interne, ma anche per disposizioni governative: secondo quanto riportato da Espn, i nuovi limiti imposti ai club sarebbero di tre milioni di euro a stagione per i calciatori stranieri, che scendono fino a 750mila dollari per i talenti locali; inoltre, i club non possono più avere un budget ingaggi superiore ai 90 milioni di euro, con un massimo di 10 milioni di euro destinati ai giocatori stranieri; dal 2017, inoltre, è in vigore anche un’imposta del 100% sui trasferimenti di grandi dimensioni, per cui il denaro raccolto viene inviato ai programmi di sviluppo giovanile. Secondo Chen Xuyuan, presidente della Federcalcio cinese, «la spesa del club della Chinese Super League è dieci volte superiore a quelli della K-League della Corea del Sud e tre volte superiore a quelli della J-League giapponese, eppure la nostra Nazionale è molto indietro. Salvare il calcio dall’esplosione della bolla è fondamentale non solo per il suo presente, ma per il suo futuro».

Oltre a queste restrizioni alle spese, i club della Chinese Super League e della China League One, la seconda divisione della piramide professionistica, sono stati costretti anche a cambiare nome: una nuova norma federale, infatti, proibisce riferimenti ad aziende proprietarie o sponsor delle società. In pratica, Suning avrebbe dovuto eliminare il proprio marchio dalla ragione sociale dello Jiangsu Suning, esattamente come il gruppo Evergrande – una delle imprese immobiliari più potenti del Paese – deve far scomparire il suo da quella del Guangzhou Evergrande. Meno possibilità di investimenti, meno spazi pubblicitari: ora come ora, è evidente che investire nel calcio cinese non sia un grande affare, soprattutto per un’azienda come Suning, che sta vivendo un periodo di difficoltà. Il problema è che questa crisi è arrivata in maniera inattesa, e comunque non è stata affrontata e gestita bene, almeno nell’ambito dello Jiangsu: Éder, ex attaccante di Sampdoria e Inter sotto contratto con il club campione di Cina, ha raccontato al portale Oriental Sport Daily che «Suning ha mancato di rispetto a tutti i dipendenti e i giocatori quando ha deciso di tagliare i suoi investimenti nel calcio: a un certo punto, ci hanno semplicemente lasciato senza stipendio e non ci hanno permesso di andare giocare in altri club. Tutto questo, mentre noi giocatori eravamo chiusi in albergo a cercare di difendere il nome di Suning, a fare un’impresa sportiva nel nome di questa società. Anche il direttore generale si è sempre dimostrato un bugiardo: ci aveva detto che con il tempo ci avrebbe dato quanto ci spettava ma non ha mai mantenuto questa promessa».

È evidente che siamo di fronte a una crisi singola, cioè a una crisi della società Suning all’interno di un contesto che, a sua volta, è vittima di una profondissima crisi strutturale. Anche perché il caso dello Jiangsu non è raro, anzi è solo quello più clamoroso: anche altri club stanno vivendo situazioni analoghe, per esempio lo Shandong Luneng – vincitore dell’ultima Coppa nazionale – è stato escluso dalla Champions League asiatica per via dei suoi debiti; anche il Tianjin Teda è a rischio fallimento, mentre il Liaoning FC, il primo club cinese a vincere la Champions League asiatica, nel 1990, si è sciolto per insolvenza nel 2020, ed è confluito in una nuova società, il Liaoning Shenyang Urban FC. Insomma, la bolla del calcio cinese sembra stia esplodendo davanti ai nostri occhi, dopo anni di spese incontrollate e crescita molto relativa, per non dire lenta o nulla. E l’onda lunga di questa esplosione potrebbe arrivare farsi sentire anche nel calcio europeo.