Tre cose sulla 24esima giornata di Serie A

La Roma e il tabù dei big match, la corsa Champions, l'anno di Barák.

 

La Roma non sa vincere contro le big

La peggior notizia per la Roma arriva dalla classifica: lo scivolone interno contro il Milan costa il quarto posto, soffiato dall’Atalanta. Adesso i giallorossi sono quinti, fuori dalla zona Champions, e costretti a rincorrere: il campionato è ancora lungo, però, ancora una volta, la Roma fallisce l’appuntamento della maturità in uno scontro diretto. Contro il Milan, c’era la possibilità di salire al terzo posto e ridurre appena a due le lunghezze di distanza dai rossoneri secondi: invece, una brutta prestazione, soprattutto nella prima parte di gara, ha sottolineato nuovamente come la squadra di Fonseca nutra sempre un certo complesso psicologico nelle partite che contano di più. Contro le big del campionato, la Roma fin qui non ha mai vinto, raccogliendo appena 3 punti sui 24 disponibili. «Siamo entrati male in campo, abbiamo sbagliato i primi venti minuti, eravamo troppo passivi e contro una squadra come il Milan poi diventa difficile recuperare». E in effetti, l’approccio della Roma è stato quanto di più sbagliato: errori in costruzione, palle perse banalmente, e strada spianata al Milan che ha peccato di lucidità sotto porta. Con un pizzico di cinismo in più, i rossoneri potevano essere avanti di due gol già dopo quindici minuti: inaccettabile per qualunque squadra, figuriamoci per una che lotta per stare in alto in classifica. È evidente che alla Roma, rispetto alle formazioni che le stanno davanti, manchi qualcosa in termini di qualità diffusa della rosa (basti pensare quanto pesi l’assenza di un Dzeko), ma al tempo stesso il problema ha radici più profonde, ed è essenzialmente di carattere mentale. «È difficile da capire, mancano sempre dei dettagli contro i grandi club», dice Fonseca. Sarebbe un peccato se il suo ottimo lavoro rimanesse un’incompiuta sotto questo punto di vista.

 

Gli highlights di Roma-Milan 1-2

Una bellissima corsa per la Champions League

Nonostante queste (evidenti) problematiche, la Roma è a soli due punti dal terzo/quarto posto che vale la Champions League, occupato da Juventus e Atalanta. E dietro, appena una lunghezza più in basso, premono Napoli e Lazio. È il sintomo ma anche la conseguenza di un campionato in cui non esistono pause e quindi è più difficile imporre forze e gerarchie; ci è riuscita e ci sta riuscendo l’Inter in vetta, ma solo dopo un avvio di stagione complicato, e dopo aver subito una doppia, cocente eliminazione dalle coppe. Probabilmente questa è e sarà una delle discriminanti nella corsa al quarto posto, ora che ci avviciniamo alla primavera: le squadre che hanno meno impegni (Inter e Napoli sono fuori da tutto, Atalanta e soprattutto Lazio sono chiamate a un’impresa per proseguire in Champions) sembrano (ri)partire avvantaggiate, ma anche altri fattori faranno la differenza, per esempio la profondità verticale e orizzontale della rosa, la capacità di reazione alle avversità – infortuni, positività al Covid – e un’identità tecnico-tattica in grado di garantire risultati contro tutti gli avversari. Non è un caso che oggi, pur con tutti i loro alti e bassi, siano proprio Milan, Juve e Atalanta a essere in vantaggio: parliamo della squadra con l’organico più forte (la Juve) e di quelle costruite in maniera più lineare, con il gioco più radicato, mentre Roma, Napoli e Lazio non hanno ancora trovato la loro fisionomia definitiva e quindi sembrano partire un gradino più giù. Ma il punto è che i valori sembrano ravvicinati e cristallizzati come mai prima d’ora, perché il Milan sta disputando una grande stagione eppure ha perso – nettamente e meritatamente – con lo Spezia, la Juventus pareggia col Verona, il Napoli è altalenante per definizione, esattamente come Lazio e Roma. In virtù di tutto questo, è stata e sarà una corsa bellissima e incerta fino alla fine, forse più degli altri anni: perché tutti, davvero tutti, sembrano poter cadere e rialzarsi subito, basterebbero due partite storte e anche l’Inter, che ora pare invincibile, sarebbe risucchiata nel gruppone, Magari a qualcuno sono già venute in mente le sette sorelle degli Anni Novanta, magari è un azzardo, ma è vero anche che questo è il bello di giocare e seguire e vivere un campionato aperto, di avere sette squadre tutte molto competitive, tutte davvero in corsa per la Champions, non solo per l’ingresso nelle coppe europee.

Forza e completezza di Antonín Barák

Sei gol e due assist basterebbero, a qualsiasi centrocampista del Verona, per poter gridare alla grande stagione. In realtà Antonín Barák va decisamente oltre queste cifre crude, è un giocatore molto più influente, molto più decisivo, nella squadra di Juric. Anzi, non è esagerato pensare che Barák, oggi, sia l’uomo-simbolo del calcio ipertrofico dell’Hellas, della forza ma anche della completezza tecnica necessaria perché un gruppo dalla qualità inferiore rispetto a tanti altri in Serie A – secondo Transfermarkt la rosa gialloblu vale meno di quella di Torino, Cagliari e Fiorentina – riesca a esprimersi su questi livelli. Questione di gioco, o meglio di aderenza perfetta tra progetto tecnico e giocatori: dopo una stagione discreta a Lecce, Barák è stato scelto per sostituire Pessina e Verre nella batteria di trequartisti di Juric; sembrava un azzardo date le caratteristiche del centrocampista ceco ex Udinese, e invece è stata un’intuizione geniale, anzi probabilmente Barák si è rivelato un elemento ancora più affine alle idee del suo nuovo allenatore, non solo in virtù della sua capacità di correre ad alto ritmo per novanta minuti, ma anche per la qualità delle sue aperture, dei suoi passaggi, per la puntualità dei suoi inserimenti senza palla. Non a caso, Barák è il giocatore che tira di più nella rosa del Verona, ma è anche quello che commette più falli: è sempre presente in tutte le fasi di gioco, imposta l’azione a centrocampo, si fa vedere tra le linee e poi attacca l’area di rigore, trenta secondi dopo segue il suo uomo fino in difesa, tutto senza mai perdere lucidità, nei movimenti come nella giocata. Non è un caso che tre dei suoi sei gol siano arrivati contro Juventus, Napoli e Milan, quasi a voler trovare il suggello statistico certificato a una crescita che quasi sicuramente lo proietterà oltre Verona da qui a qualche mese, al massimo un anno. A 26 anni, magati, non è ancora troppo tardi per sperare di avere la grande occasione in una squadra più ambiziosa, e il punto è che oltre il Verona ci sono solo i club che lottano per la Champions, e sembra proprio la dimensione giusta, meritata, per questo Antonín Barák.

Verona-Juventus 1-1