Chi sono i grinder, gli uomini-motore delle barche a vela

Cosa fanno davvero quelli che "girano fortissimo" i verricelli degli scafi?

I muscoli sono rimasti, le abbronzature imperfette di chi porta regolarmente gli occhiali da sole pure. Ma la maglietta a righine da marinaio o il capetto tecnico anni Novanta – da replicare per i velisti da happy hour – sono old, old style (torneranno, ne siamo certi). Oggi i grinder dell’America’s Cup sono un curioso mix tra un subacqueo, un esploratore e un motociclista: non per esigenze televisive ma perché sugli AC75, giocattoloni galleggianti che sfiorano i 100 km/h, è necessario parare i colpi e prepararsi a rovinose scuffie. Un tempo, gli unici velisti a bordo che rischiavano di farsi male sul serio appartenevano a due categorie: i prodieri (mai in copertina ma a perenne rischio di scivolare in coperta o finire a mare) e quanti salivano occasionalmente sull’albero per vedere – a mo’ di Master & Commander – i colori dell’acqua, indice di brezze mutevoli. Per il resto, tutti in pozzetto. La svolta drammatica avvenne nel maggio 2013 quando l’inglese Andrew ‘Bart’ Simpson – due medaglie olimpiche – annegò per il ribaltamento di Artemis, in allenamento a San Francisco. Non è che all’epoca i velisti sui catamarani AC72 non si proteggessero, ma, da quell’episodio terribile, l’elemento sicurezza è diventato fondamentale.

Oggi, i membri dell’equipaggio sono sorvegliati speciali. Gli otto grinder ancora di più, perché in definitiva sono “chiusi” in due tunnel laterali tra il bordo esterno, la prua e il centro barca. I due timonieri e il tattico/randista sono a poppa quindi meno bloccati, in caso di problemi. È giusto pensare sempre al rischio di finire in acqua ed ecco il senso della muta in neoprene,  impermeabile e traspirante, con inserti protettivi sulle ginocchia che riparano da eventuali colpi. Sopra, si indossa un giubbotto salvagente che protegge da eventuali impatti su schiena, cassa toracica, clavicole, ed è provvisto di tre elementi ulteriori per la sicurezza: una piccola bombola di ossigeno nella tasca posteriore/laterale, un respiratore che si attiva a in caso di incidente e un coltello individuale, da utilizzare nel caso in cui qualcuno dovesse rimanere impigliato, nella tasca anteriore. Infine, c’è il casco di tipo motociclistico – con interfono – che è numerato: in questo modo, nel caso di ‘uomo a mare’, diventa più immediato identificare i velisti al sicuro ed eventualmente concentrare gli sforzi sul recupero di quelli mancanti.

Detto questo, come ai primi del Novecento, ai grinder è richiesto possibilmente il piede marino ma soprattutto la forza. Sull’AC75 paradossalmente conta più di quanto tecnologicamente serva: perché ci sono barche più grandi e pesanti dove ogni manovra può essere effettuata da una sola persona, grazie a una consolle davanti alla ruota. Un bottone, un joystick e ‘cattedrali’ di vele si alzano e scendono oppure si vira a tutta velocità, per cambiare bordo. Invece, i nostri otto eroi – oltre al necessario effetto scenografico – hanno un compito fondamentale: mettere potenza nel motore. Per capirci, mentre i grinder della prima Luna Rossa – quella del 2000 – giravano le maniglie delle colonnine per recuperare una drizza o una scotta, sull’AC 75 invece accumulano energia che serve per regolare le vele e i foil tramite una sofisticata rete di pompe idrauliche, pistoni, sistemi oleodinamici ed elettronici.

Per assolvere perfettamente al ruolo, ci vogliono quindi potenza e soprattutto rapidità. Da qui una preparazione fisica impegnativa che riguarda soprattutto la parte alta del corpo: i ragazzi di Patrizio Bertelli si allenano con il grinder della Technogym, la macchina che simula la colonnina della barca. Poi continue sedute di pesi per non perdere la forza bruta e un lavoro anche sulle gambe – che sono fondamentali, perché in barca si passa gran parte del tempo in piedi, oscillando a destra e sinistra.

Tra gli otto grinder di Luna Rossa Prada Pirelli, uno vanta una storia incredibile che sembra scritta da uno sceneggiatore. Per Romano Battisti, 35 anni ad agosto, vincere l’America’s Cup  – oltre a farlo entrare nella leggenda della vela italica – avrebbe un sapore in più, meraviglioso: quello della grande rivincita. Sulla barca neozelandese, c’è un collega alle manovelle chiamato Joseph Sullivan. Lo odia sportivamente dalle Olimpiadi di Londra 2012 quando nel doppio di coppia, specialità pura del canottaggio, insieme ad Alessio Sartori venne clamorosamente rimontato dai due kiwi. «Con più di una barca di vantaggio a 250 metri dall’arrivo, sentivo l’oro al collo ma loro andavano al doppio della nostra velocità» racconta Battisti, portacolori delle Fiamme Gialle e con un buonissimo palmares, fatto di medaglie iridate e continentali più un’altra Olimpiade a Rio de Janeiro, con un quarto posto. Nel 2018, anche se i tecnici federali lo invitano a fare una terza campagna olimpica, appende i remi al chiodo: c’è un’impresa che lo tenta, unire la nuova passione alla sfida di Luna Rossa, con la speranza di ritrovare Sullivan.

Gli otto grinder di Luna Rossa sono: Matteo Celon, Umberto Molineris, Enrico Voltolini, Emanuele Liuzzi, Romano Battisti, Gilberto Nobili, Nicholas Brezzi, Pierluigi De Felice (Photo by Phil Walter/Getty Images)

«Sono nato in montagna (ndr a Priverno, Latina) ma sono sempre stato affascinato dagli sport d’acqua», racconta Battisti, «e così dopo il remo mi sono avvicinato alla vela. Tre anni fa, ho scritto direttamente a Sirena: “dammi l’occasione per prendermi la rivincita”. Lui non ha avuto dubbi ed eccomi qui. La differenza rispetto alle mie esperienze di Londra e Rio de Janeiro e che lì, quando rientravo in banchina, il mio compito era finito. Qui ognuno di noi ha un ruolo a terra, io mi occupo di idraulica, elettronica e meccanica: se penso che sino a trent’anni non avevo mai preso in mano un trapano…».

Resta la sfida nella sfida, quella con mister Sullivan, eroe nazionale con tanto di film celebrativo per il successo come canottiere ai Giochi e una carriera ottima anche nella vela: da quattro anni è nell’equipaggio kiwi e si è tolto la soddisfazione di conquistare l’America’s Cup nel 2017.  «Ci siamo incontrati più volte in giro per il villaggio, scambiando qualche battuta, ogni tanto ci scriviamo sui social», racconta il nostro grinder, ma in questo momento entrambi siamo molto impegnati in vista dello scontro finale. Spero davvero che alla fine dell’evento si riesca a fare un bel giro di birre insieme, perché tra noi c’è e ci sarà sempre un bellissimo rapporto: lo sport unisce».