Rebranding Palermo

La nuova proprietà, arrivata dopo il quinto fallimento, ha riportato subito il club rosanero in Serie C, ma soprattutto ha cercato di stringere un legame più forte con la città e con la tifoseria, investendo molto sulla storia e su una nuova identità estetica e culturale.

L’ultima volta sembra sempre la peggiore, forse perché si sperava che quelle di prima fossero servite da lezione. Era l’estate del 2019. In poche settimane, dopo spericolate acrobazie finanziarie nel limbo post-Zamparini, il Palermo passava dalla speranza di un ritorno in Serie A all’incubo di un nuovo fallimento, più di trent’anni dopo la precedente scomparsa dal calcio professionistico. Ci era ricascato, malgrado le promesse di gloria e le rassicurazioni sulla forza ormai acquisita dal club anche fuori dal campo. La delusione è stata inevitabilmente profonda, seppur in qualche modo sedata dal trascinarsi inesorabile di un disfacimento iniziato da tempo.

In 120 anni di storia, il Palermo è fallito ed è stato rifondato sei volte. In quattro occasioni, è rinato dalla fusione o dall’assorbimento con altre società locali. Una sindrome da araba fenice che si accompagna ai dilemmi di una città molto innamorata dei suoi colori letteralmente unici, eppure spesso rassegnata a vederli sfumare nell’ombra della marginalità, accettando non di rado di condividere quella passione con altre maglie di altre latitudini. L’ultima rifondazione dei rosanero, quella avviata dalla nuova gestione del presidente Dario Mirri, ha però promesso qualcosa di diverso. I soldi, sia chiaro, non sono tanti. Suggeriscono le previsioni degli stessi protagonisti che basteranno al massimo per la B, dopo il ritorno di quest’anno in Serie C, seguito alla stagione della rinascita tra i dilettanti. Poi, se ci si arriverà, si vedrà. Ma la diversità stavolta corre parallela al campo. L’idea è apparsa chiara sin dall’inizio, e ambiziosa ben più di una promozione: ricostruire l’immagine del club e ridefinirne l’identità.

I tasselli di questo rebranding del Palermo partono dalle basi: un nuovo logo, una maggiore cura di marketing e merchandising e una più profonda apertura alla città e alle sue dinamiche sociali. Un lavoro cominciato presto ma subito spezzato dall’emergenza Covid-19. Il simbolo di questo sforzo rimasto sospeso si annida oggi in un fianco dello stadio Renzo Barbera: accanto al terreno di gioco, affacciato sul piazzale intitolato a Čestmír Vycpálek – storico giocatore ceco del Palermo e zio materno di Zdenek Zeman, che in Italia arrivò al suo seguito –, è nato il museo del Palermo. L’inaugurazione programmata il primo novembre 2020 – la data esatta dell’anniversario della nascita del club – è stata rinviata per le restrizioni legate alla pandemia. Ma il progetto resta al centro della scommessa della nuova società: dare un senso nuovo alla ricerca dell’identità della squadra e al suo rapporto con la città. È con questa ambizione nient’affatto scontata che, maglia dopo maglia, cimelio dopo cimelio,  lo storico del calcio Giovanni Tarantino ha iniziato oltre un anno fa a immaginare e comporre il Palermo Museum, un progetto curato sul piano infrastrutturale dallo studio Mazzarella Architetti, di cui è il coordinatore scientifico. Una missione da documentarista, scavando tra gli archivi Ingham-Whitaker in cerca di testimonianze sul lascito dei pionieri del calcio locale o ricostruendo la topografia dei campi da gioco cittadini; ma forse, è ancor più una sfida da archeologo della memoria collettiva. Perché in buona parte il museo è proprio questo: donazioni di tifosi che hanno tirato fuori divise custodite da trent’anni, biglietti di partite storiche e mille altri ricordi, per condividerli e ritrovare il senso di un fenomeno che non può esistere senza condivisione. Una ricerca e ridefinizione sociale dell’identità, per l’appunto, sviluppata attorno all’evocazione dello scrittore e fumettista argentino Roberto Fontanarossa che fa da epigrafe al museo: L’unico calcio che vale è quello che uno conserva nei ricordi.

Nell’avventura affascinante di raccogliere e classificare le vicende della squadra e della città, Tarantino ha ripercorso la storia del Palermo anche nel libro Aquile (Ed. Il Palindromo), che ricostruisce con documenti inediti la storia del club e, impreziosito dalle illustrazioni di Carlo ‘CUT’ Cazzaniga, fa da catalogo ufficiale al museo. Un altro tassello della nuova immagine del Palermo. In questo percorso, è diventato un caso quello della maglia celebrativa dei 120 anni, indossata unicamente nell’1-1 del 23 dicembre scorso contro il Bari e oggi custodita proprio nel museo. Una casacca che ha riscosso grande attenzione, forse proprio per l’eresia apparente della sua concezione: i colori, per intenderci, non sono il rosa e il nero. La maglia dal sapore vintage, a bande verticali bianche e blu, è stata votata come la più bella al mondo tra quelle indossate a dicembre 2020 sul sito specializzato Footy Headlines. È un’evocazione del motivo presente sul primo stemma societario del Palermo, risalente a un secolo fa, che conteneva un omaggio al Racing Fbc, la squadra dai colori biancoblu che aveva contribuito a tenere in vita il calcio in città negli anni della Grande Guerra. Uno scavo nel solco più profondo delle radici. «Quello della maglia celebrativa mi sembra un caso paradigmatico», spiega Tarantino, che quella divisa l’ha immaginata e disegnata, «perché la squadra non sta attraversando un momento facile sul piano dei risultati, cominciano ad arrivare critiche alla gestione societaria, però gli stessi che attaccano sui social si lamentano di non essere riusciti a comprarla, visto che l’edizione limitata è stata subito esaurita. Per me, è una dimostrazione che il lavoro sul brand sta funzionando».

In attesa che i tifosi possano finalmente ammirarla da vicino, scivolando poi tra le leggendarie maglie rosanero di lana e gli scarpini con cui Tanino Troja segnò a Lev Jascin nella sfida alla Dinamo Mosca nel 1969, le stanze del museo covano già il senso della cosa che è mancata al Palermo anche negli ultimi vent’anni, quando prima del disastro ha vissuto i momenti forse più belli e sicuramente più vincenti della sua storia secolare: l’educazione all’identità. Un concetto forse sfuggente, eppure espresso piuttosto bene dalle smarrite traversate nel deserto di generazioni di tifosi e appassionati, incagliati nel dilemma tra giocatori in campo e miti lontani, calcio reale e immaginato, nell’eterno elastico tra solo il Palermo e anche il Palermo.

Cavani, Miccoli e Balzaretti con la maglia rosanero in una gara della stagione 2009/10; l’attaccante pugliese è il miglior marcatore nella storia del Palermo, con 91 gol segnati in gare ufficiali di tutte le competizioni dal 2007 al 2013 (Tullio M. Puglia/Getty Images)

Il museo si inserisce dunque in un percorso più ampio, avviato dal presidente Mirri dopo aver preso in mano il club, vincendo il bando del Comune nell’estate 2019. Il progetto sportivo punta alla risalita almeno in Serie B nel giro di un paio d’anni, ma è punteggiato di iniziative volte a fidelizzare il tifo, nel tentativo di ricostruire un legame forte con la squadra, ancor prima che con i calciatori. Gli oltre 10mila abbonati della scorsa stagione in Serie D – superato il record di categoria del Parma e ai livelli di alcuni degli anni d’oro in A – hanno visto il proprio nome inchiodato alla base dei seggiolini, ricevendo poi una maglia con il numero personale di tessera cucito addosso. E oggi, a ogni nuovo nato-tifoso la società offre in dono un ciuccio rosanero: simbologia e aspirazioni sono insomma piuttosto evidenti. Se causa Covid non c’è la controprova su come sarebbe andata in quest’annata di ritorno tra i professionisti, l’inversione di tendenza rispetto alla disaffezione della seconda parte dell’era Zamparini appare evidente. Secondo la società di analisi di mercato Grizzaffi-Cercom Consulting, già nel 2015-2016 il seguito del Palermo, pur ancora nella massima serie, era dimezzato rispetto al picco di un decennio prima, con una caduta costante e apparentemente inarrestabile, pur a fronte di pagine ancora entusiasmanti di gioco e risultati.

Un elemento importante sembra essere poi l’apertura alla città e alle sue problematiche. Il premio promozione in Serie C, per esempio, è stato destinato dai calciatori anche alla costruzione del campetto di calcio di una scuola nel quartiere disagiato dello Zen, campetto che era stato vandalizzato, mentre quest’anno i giocatori sono scesi in campo con il nome Peter Pan sulle spalle, in solidarietà con un asilo cittadino dato alle fiamme, mettendo poi all’asta le maglie per ricostruirlo. Del nuovo modello fa parte pure l’idea della polisportiva, con la squadra di calcio femminile e quella dei rifugiati degli Sprar – acronimo di Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. All’apice del progetto, sul piano finanziario e strategico, c’è il centro sportivo, che il Palermo promette di realizzare entro un anno, con un investimento annunciato di 6 milioni di euro. «D’altronde», ha sottolineato lo stesso Mirri, «la precedente gestione, che tanto ci ha fatto divertire e ci ha fatto raggiungere risultati sportivi importanti, pur fatturando anche 60 milioni di euro, non ha mai dato priorità alla costruzione del centro sportivo».

Un cammino partito da lontano, col logo post-rifondazione, e sfociato oggi nella nuova denominazione Palermo Football Club, molto gradita ai tifosi e omaggio alle origini british di quel Racing Fbc della maglia celebrativa e soprattutto dell’Anglo Palermitan Athletic and Foot-ball Club, il nome scritto sul primo statuto del novembre 1900, frutto della contaminazione venuta dal mare con le navi inglesi. Del resto, per Mirri questa sensibilità sembra emergere quasi naturalmente dal suo background di pubblicitario incrociato con quello di tifoso vero, da sempre abbonato in gradinata e allevato a pane e passione rosanero dello zio Renzo Barbera, il Presidentissimo degli anni Settanta che oggi dà il nome allo stadio.

Lo stadio “Renzo Barbera”, nel quartiere della Favorita, è stato inaugurato nel 1931; in occasione dei Mondiali 1990, ha ospitato tre partite della fase a gironi (Tullio M. Puglia/Getty Images for Lega B)

Così è cominciato questo rebranding paziente che guarda lontano. Solo che, appena le cose hanno smesso di girare, dopo la promessa mantenuta dell’immediato ritorno tra i professionisti, sono arrivati gli inevitabili malumori: i primi striscioni davanti allo stadio contro il presidente, i mugugni social sempre più insistenti. L’esonero pochi giorni fa dell’allenatore Roberto Boscaglia, il primo dell’era Mirri, che della stabilità nella gestione tecnica aveva fatto un punto d’onore e un segno di distinzione rispetto al passato recente, è apparso un bagno di realismo, nel pieno di una stagione altalenante, in cui neppure i play-off appaiono certi. Dai risultati, nel calcio, non si può prescindere. Per i detrattori, o anche solo i tifosi delusi e impazienti, il rischio è ora che l’immagine conti più del campo: va bene il marchio e l’apertura alla città, però adesso pensate a vincere. Secondo Tarantino, «la lamentela è: perché non comprate un centravanti, anziché occuparvi del museo? Il fatto è che i risultati danno stabilità e alimentano gli altri progetti. Solo che i risultati servono, ma non bastano. È questo che spesso in passato a Palermo non si è capito». La sua riflessione scava nell’eredità di Zamparini. Se i palermitani nati dalla fine degli anni Novanta hanno conosciuto una squadra spesso da Europa e si sono goduti campioni e bomber d’ogni tipo, da Toni a Dybala, ora che il calcio che conta si è tornati a guardarlo solo in tv c’è il rischio forte di allevare una nuova generazione di doppi tifosi, tra le grandi del nord e il Palermo in subordine.

Eppure, com’è che non sono bastate l’Europa League e le punizioni di Miccoli a cementare l’identità? Perché alle prime difficoltà il castello s’è sgretolato?  Da questa domanda, e dalla convinzione che i successi in campo possano poggiare solo su fondamenta edificate nella testa e nel cuore di chi li festeggia, che insomma vittoria e memoria siano gambe di uno stesso tavolo, sembra elevarsi la ricostruzione dell’identità del Palermo. Un progetto che non potrà funzionare senza la Serie B, e poi la Serie A, ma che, suggerisce la storia, non funzionerà solo con le promozioni e i gol.