Il gol con cui Oliver Giroud vinse il Puskas Award nel 2017 – il celebre “colpo dello scorpione” su assist di Alexis Sánchez contro il Crystal Palace – è la miglior rappresentazione possibile della natura del premio che la Fifa conferisce al gol dell’anno: si tratta di un riconoscimento a un’azione estemporanea, a una giocata la cui componente estetica è preponderante, e in cui la casualità diventa un dettaglio fondamentale, al pari il nome di chi compie il gesto tecnico. Il fatto che, poi, lo stesso Giroud, qualche tempo dopo quel gol, abbia detto in un’intervista a France 2 che si era semplicemente trovato al posto giusto nel momento giusto per sfruttare parte degli insegnamenti del corso di danza moderna che stava frequentando, non ha fatto altro che alimentare quella narrazione per cui Giroud è un “eroe per caso”, un giocatore normale cui ogni tanto capita di far parte di cose straordinarie, che poi è la lente attraverso cui ci siamo stati abituati a raccontarlo in questi anni.
Nella percezione comune, Giroud è stato – ed è ancora – lo Stéphane Guivarc’h dei nostri giorni, il «go kart che non può reggere il confronto» con la Formula 1-Benzema, l’elemento statico della Francia campione del mondo dinamica e ipercinetica, il centravanti superato dal mondo e dal tempo che aderisce poco a un’idea di calcio appagante anche dal punto di vista visivo. Raramente, quindi, un premio è stato così adatto, anzi adeguato, a un singolo calciatore, al suo modo di essere in campo e nella vita: «Sono contentissimo di ricevere questo trofeo, oggi, di fronte a così tante leggende del calcio. Voglio solo ringraziare tutti quelli che hanno votato per me e fare i complimenti anche agli altri giocatori in nomination: hanno fatto dei gol bellissimi anche loro», disse il giorno della premiazione. Aveva realizzato un gol contro le leggi della fisica e della gravità e il suo primo pensiero era sto quello di complimentarsi con gli altri. Proprio come farebbe chi è infastidito dalle luci del palcoscenico perché sa che toccano quasi sempre agli altri più bravi, più tecnici di lui.
Tuttavia, in ossequio al presunto paradosso fisico – o leggenda metropolitana da social network – del calabrone che “non avrebbe la struttura adatta per volare, solo che non lo sa e quindi vola lo stesso”, c’è una scientifica ripetitività nel modo con cui Giroud riesce a declinare la sua capacità realizzativa secondo un determinato canone di spettacolarità: la celebre sforbiciata ai tempi del Montpellier campione di Francia nel 2012, per esempio, spiega come sia stato possibile segnare questo gol al Bayern Monaco, quest’altro al Crystal Palace, l’ultimo segnato all’Atetico Madrid. Tutte queste azioni suggeriscono, o dovrebbero suggerire, che ci troviamo di fronte a un calciatore migliore, o comunque diverso, dall’immagine del centravanti parvenu che viene costantemente proiettata dai media e da noi stessi. Giroud è proprio come un calabrone: è un calciatore che non avrebbe la struttura adatta per fare gol belli, anzi bellissimi, ma che li fa comunque, nella misura in cui il bello e l’inaspettato si fondono nella replica possibile di un gol da Puskas Award, sempre diverso eppure sempre uguale a se stesso.
Se si dovesse individuare un pattern dei gol “alla Giroud” questo risiederebbe nella contro-intuitività, anzi nel contro-tempo, della giocata. Un elemento comune a tutti i mancini ma che risulta ulteriormente estremizzato dalla capacità di Giroud di calciare quando nessuno se lo aspetterebbe, anzi quando sarebbe persino controproducente farlo: in questo gol contro il Manchester United, il fatto che riesca a colpire il pallone quando non gli è ancora rimbalzato davanti, rende la traiettoria pressoché illeggibile per il portiere, ben al di là della potenza e della precisione del tiro.
Del resto, la qualità del calcio di Giroud è persino misteriosa nel suo essere così anticonvenzionale e così ugualmente efficace, soprattutto quando si tratta di calciare al volo o di controbalzo. Quando segna un gol meraviglioso contro la Svezia, riesce a colpire il pallone a mezza altezza, in un modo che ai comuni mortali sarebbe possibile solo piegandosi sul fianco opposto rispetto al piede forte contraendo al massimo la parete addominale: a Giroud, invece, è sufficiente fare perno sulla gamba destra per prepararsi una conclusione di collo-esterno sul palo lungo.
Fondamentale, in questo senso, anche il suo saper “aggredire” la palla, non limitandosi sempre a impattarla nella sua parabola discendente come in occasione di questo gol contro il Camerun: nella rete realizzata nel settembre 2018 all’Olanda in Nations League, Giroud va incontro alla sfera, correndo parallelamente alla linea di porta, in modo che la sua conclusione con la caviglia in torsione, benché piuttosto centrale, risulti poco gestibile da Cillessen.
Quando calcia d’interno Giroud è, se possibile, ancora più efficace, più potente, più preciso. Il suo è un piede prensile che gli consente di ottimizzare i tempi di stop e tiro e di calciare sempre nella maniera più pulita possibile e con il giro giusto, ricreando quell’effetto “colpo di biliardo” che la geometrica precisione del taglio dell’erba dei prati inglesi rende ancor più godibile dal punto di vista estetico. Non solo: questo calcio di punizione “alla Messi”, con il pallone che si insacca all’incrocio dei pali – letteralmente – sfiorando la testa dell’uomo messo a protezione dello stesso, potrebbe essere portato come prova a supporto nel momento in cui, un domani, fosse indetto un contest sull’eleganza di tiro dei centravanti.
In area di rigore, poi, parliamo un attaccante estremamente versatile e creativo, soprattutto se ne facciamo una questione di rapporto tra la varietà di soluzioni che ha sviluppato e la sua dimensione fisica. Negli ultimi sedici metri Giroud è elastico, tersicoreo, un inno alla coordinazione in spazi stretti e alla capacità di interpretare a modo suo i “grandi classici” del passato: contro il Southampton fa qualcosa riuscita solo a Zidane contro l’Ajax, contro il Liverpool diventa un Fernando Torres che non ha bisogno di scivolare «come un torero sotto la Kop», contro il Wolwerhampton si traveste da Özil contro il Ludogorets saltando qualsiasi cosa si frapponga tra lui e la porta. Si può dire che, quando si trova nell’area avversaria, Giroud sia tanti giocatori in uno pur restando fondamentalmente solo se stesso: i quattro gol realizzati al Siviglia nell’ultima giornata dei gironi di Champions League sono gol che abbiamo già visto realizzati da qualcun altro da qualche altra parte ma che, allo stesso modo, appartengono soltanto a lui e al suo bagaglio tecnico.
Giroud è inusualmente elegante anche nell’atto della finalizzazione pura e semplice, in quei tocchi sotto misura all’apparenza banali ma che lui ha portato a nuovi standard estetici: il pezzo forte del repertorio è il tocco d’esterno a rubare il tempo al portiere, così come il colpo di tacco con il piede debole tagliando da sinistra a destra sul primo palo. Un fondamentale che gli torna utile anche nel colpo di testa: Giroud non è un colpitore verticale, atletico e coreografico come Cristiano Ronaldo – e non potrebbe esserlo, vista la diversa struttura muscolare, anche se questo gol al Newcastle sembrerebbe dire il contrario – e, quindi, preferisce puntare sul suo senso dell’anticipo e sulla capacità di imprimere forza con la torsione anche ai palloni che escono più lenti e bassi dal piede del crossatore. È così che ha sbloccato la finale tutta inglese di Europa League contro l’Arsenal:
I gol di Giroud sembrano provenire da un’epoca lontana. Un’epoca in cui i primi video di “goal compilation” caratterizzati da una resa grafica rivedibile e dalla musica techno anni Novanta di sottofondo, diventavano virali sui primi cellulari dotati di fotocamera grazie al bluetooth. Un’epoca in cui i ragazzini impazzivano per capire come avesse fatto tal Charles-Edouard Coridon a segnare al Porto in Champions League con il colpo dello scorpione allo stesso modo in cui, oggi, ci chiediamo come Olivier Giroud possa segnare ogni anno il gol dell’anno o, comunque, qualcosa che ci va molto vicino. La risposta, probabilmente, ce l’ha fornita il Guardian commentando la prodezza del Wanda Metropolitano: «Il gol di Giroud non è stata solo una straordinaria espressione delle sue capacità acrobatiche ma un pezzo di pragmatismo. Giroud non aveva altro modo per calciare verso la porta con altrettanta potenza e precisione: quel gol è stato l’espressione della perfetta esecuzione del comando che dal cervello è arrivato alla sua gamba sinistra». In fondo, quando il bello sa essere utile la spiegazione è molto semplice.