Cosa vuol dire essere una vittima dei trafficanti di calciatori

Migliaia di ragazzini cadono nella rete del Football Trafficking: finti agenti e talent scout truffano gli aspiranti calciatori promettendo un'occasione nei grandi campionati. Abbiamo intervistato uno di loro.

C’è una pratica assai diffusa a livello internazionale, per molti aspetti tragica e misteriosa, a tratti quasi indecifrabile, che purtroppo si adatta perfettamente al mondo liquido e globalizzato in cui viviamo: il Football Trafficking. Questa definizione, dall’invenzione inevitabilmente recente, fa riferimento alla tratta di esseri umani attraverso quello che rimane il più grande “sogno collettivo” del mondo globalizzato: diventare un calciatore professionista. Da diversi anni, ormai, l’Africa, il Sud Est Asiatico e l’America Latina sono luoghi pieni di opportunità per fantomatici agenti Fifa, cinici ed improvvisati talent scout privi di ogni minimo rispetto della legalità, personaggi pronti a tutto pur di arricchirsi sulle spalle dei propri “assistiti”. Nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di ragazzini, vittime inconsapevoli di questa sorta di neo-schiavismo aggiornato all’età contemporanea.

Decine di migliaia di aspiranti giocatori, perlopiù minorenni, spesso provenienti da famiglie poverissime, ogni anno abbandonano – con grandi difficoltà – la terra natia, affidando il proprio destino sportivo ed umano, oltre che grandi somme di denaro, nelle mani di questi trafficanti. Una rilettura, in chiave postmoderna, dei “viaggi della speranza” che sviluppano un copione preordinato e messo in atto, al netto di ogni scrupolo morale: i fantomatici agenti Fifa/Talent scout, dopo aver promesso alle famiglie contratti milionari e un luminoso futuro nel calcio che conta, incassano una determinata somma di denaro ed abbandonano i loro assistiti in terre a loro sconosciute, quasi sempre senza documenti, senza contratto, senza appoggi di alcun tipo. L’ambizione dei giovani speranzosi, l’inconsapevolezza delle famiglie, incantate dalle lusinghe dell’intermediario, la straordinaria diffusione del calcio, sono tutti aspetti che compongono un copione facile, che va in scena più o meno sempre uguale e che pare difficile poter scardinare.

Nel 2015 aveva fatto particolarmente scalpore un’inchiesta della BBC che aveva analizzato il caso del Champasak United, squadra di prima divisione del Laos. La FIFPro, che si occupa dal 1965 dei diritti dei calciatori professionisti, aveva smascherato la tratta di 23 calciatori minorenni arrivati dalla Liberia, costretti a firmare contratti pluriennali (fino a un massimo di sei stagioni), obbligati a dormire all’interno dello stadio, con igiene e pasti scarsi e senza ricevere, chiaramente, nessun tipo di salario. Meno drammatica, ma di certo ugualmente deprecabile, l’avventura di Luis Miguel Rodríguez, che condivide con Leo Messi un soprannome, la Pulga – la pulce. È diventato un simbolo, dentro e fuori dal campo, del Cólon de Santa Fe, che ha trascinato a suon di assist, nel 2019, alla finale della prestigiosa Coppa Sudamericana; Prima però, quando aveva solo 16 anni, era stato abbandonato in Romania insieme ad altri quattro promettenti giovani calciatori argentini, senza documenti e senza contratto. Per tornare in patria, ha dovuto accettare i proventi di una pietosa colletta collettiva.

La romanzesca vicenda di Ochirvaani Batbold, ragazzo originario della provincia del Tov, nella Mongolia centro-settentrionale, è stata raccontata per la prima volta il 19 luglio dello scorso anno, sulle pagine del Guardian. E dimostra come, oltre a quelle storicamente più esposte, nuove esotiche mete siano entrate nel panorama internazionale del Football Trafficking. La testimonianza che ci ha affidato Batbold in un’intervista, che potete leggere appena sotto, ha il merito di far capire i meccanismi di questo scenario a un pubblico sostanzialmente estraneo al fenomeno. Anche perché si tratta di una pratica che, purtroppo, è sempre più frequente: secondo le stime della rivista Geographical, riguarda oltre 15mila ragazzi che sbarcano in Europa.

Ⓤ: Ochirvaani, sei stato uno dei tanti ragazzi asiatici vittima di Football Trafficking. L’interrogativo nasce spontaneo: quanti altri ragazzi, con una storia simile alla tua, non hanno avuto la tua stessa risonanza mediatica pur subendo simile truffe?

Sono convinto che la mia testimonianza possa ispirare altri giovani, che, come me, sono stati costretti ad affrontare vicende come questa. Non ti nascondo il fatto che, da un punto di vista psicologico, ciò che mi è successo è stato devastante, senza dimenticare le conseguenze economiche per la mia famiglia. Sono stato derubato del mio più grande sogno e mi sono trovato ad affrontare tutto senza sostegno alcuno. Abbiamo versato 6mila euro al “presunto” agente, che mi ha contattato tramite social network promettendomi che quella cifra mi avrebbe garantito un provino con i Los Angeles Galaxy, quindi un futuro nel calcio che conta; il confronto con la realtà è stato devastante. Conto davvero sul fatto che le mie parole possano svolgere un ruolo di supporto e conforto morale a tanti altri ragazzi, vittime, come me.

Ⓤ: Purtroppo, sei un esperto in materia. Quindi, quale consiglio ti sentiresti ti dare ai ragazzi che vogliono diventare calciatori professionisti? Come riconoscere un inganno, una truffa del genere?

Non credo esista una risposta esatta. Il lavoro duro e l’appoggio di persone fidate, almeno nel mio caso, sono state le chiavi per ottenere gli obiettivi che mi ero prefissato. Nonostante quello che ho passato, credo che la mia storia insegni che: “If you really want to do something, no one can stop you”. Mi hanno strappato un sogno dalle mani, ma questo non mi ha impedito di continuare a lavorare duramente ed inseguire le mie ambizioni. Nel 2019 mi sono preso la mia personale rivincita diventando parte integrante della rosa dell’Ulaanbaatar Football Club, con la quale, tra l’altro, ho vinto il titolo nazionale mongolo nel 2019. Bisogna credere nei propri sogni, non arrendersi di fronte alle avversità. Possono sembrare frasi fatte ma è quello che ho avuto modo di imparare nel corso della mia carriera.

Secondo i dati di Culture Foot Solidaire. una ONG fondata dall’ex calciatore professionista camerunese Jean-Claude Mbvoumin, ogni aspirante calciatore caduto nella rete del Football Trafficking ha pagato ai trafficanti una commissione tra i 3mila e i 7mila euro (Cameron Spencer/Getty Images)

Ⓤ: Non sei stato il primo aspirante vittima del Football Trafficking, e purtroppo è impensabile che tu possa essere stato l’ultimo. Pensi che la Fifa stia facendo il possibile per contrastare il fenomeno?

Devo essere sincero: non sono a conoscenza delle politiche attuate dalla Fifa a riguardo. Però se il fenomeno è parte integrante del nostro sport, c’è sicuramente qualcosa che non sta andando per il verso giusto. Credo sia necessario informarsi, anche individualmente, per rendere l’opinione pubblica mondiale più responsabile, più consapevole della portata del problema. Da parte loro, i giovani calciatori devono fare il possibile per farsi affiancare solo da persone fidate, sulle quali possono realmente contare, e non commettere il mio stesso errore. Ho vissuto un incubo: non auguro di provare certe sensazioni nemmeno al mio peggior nemico. È orrendo pensare che ci siano uomini pronti a tutto per speculare sui loro sogni.

Ⓤ: Sei ancora sotto contratto con l’FC Ulaanbaatar? Quali sono le tue ambizioni personali a medio-breve termine?

No, quest’anno giocherò in un altro club – non rivelato per questioni legali, ndr. In questi ultimi mesi, come ho cercato di far trasparire sul mio profilo Instagram, sto lavorando duro per arrivare pronto all’inizio del campionato. Amo il mio lavoro e provo, ogni giorno, a migliorarmi tecnicamente e tatticamente, semplicemente perché è quello che voglio fare da tutta una vita. Ho grandi ambizioni per il prossimo futuro. Sogno di esordire in Nazionale e, perché no, arrivare in una squadra Europea. Non ho finito di prendermi la mia personale rivincita.