Tre cose sulla 28esima giornata di Serie A

Il significato di Juve-Benevento, Milan e identità, il ritorno di Dries Mertens.

 

Il valore simbolico di Juventus-Benevento 

Quella persa contro il Benevento non è stata la prima partita negativa della Juventus in questa stagione: il pareggio all’andata contro i sanniti, quello in casa del Crotone, lo 0-3 interno contro la Fiorentina, lo 0-2 allo Stadium contro il Barcellona e (soprattutto) le due sfide europee contro il Porto sono state gare giocate ugualmente male, se non peggio, e inoltre hanno determinato l’eliminazione prematura dalla Champions e il larghissimo distacco dal primo posto in classifica. Juve-Benevento 0-1 è stata solo una certificazione dei problemi – tattici, tecnici, emotivi – di Pirlo e dei suoi uomini; ha mostrato che il lavoro fatto per cambiare la forma mentis della squadra bianconera non ha funzionato, o meglio ha portato dei frutti solo momentanei, insomma si è visto in alcuni segmenti di alcune partite, per poi sciogliersi come un gelato alla vaniglia d’estate, se lasciato al sole anche solo per pochi minuti.

Juventus-Benevento 0-1 ha dunque  un valore più simbolico che realistico, più teoretico che euristico: i problemi dei bianconeri esistevano prima e probabilmente esisteranno ancora, solo che questa volta la differenza di valori rispetto all’avversario non li ha ridotti, non li ha nascosti. Piuttosto ha finito per elevarli a potenza. Alla squadra di Inzaghi, infatti, è bastato giocare una buonissima gara difensiva, resistere, e aspettare poi l’occasione per vincerla. Hanno sfruttato la chance di passare in vantaggio, ma prima e (soprattutto) dopo Ronaldo e compagni non sono riusciti a violare il loro fortino. Non ce l’hanno fatta neanche col talento individuale, strumento necessario quando mancano le idee tattiche e collettive, o quando le idee tattiche e collettive non funzionano. Probabilmente è questa la notizia più significativa emersa ieri allo Juventus Stadium: la squadra bianconera ha abdicato, o comunque sta abdicando, non perché abbia perso contro il Benevento, ma perché non è riuscita a diventare la squadra che voleva essere. E oggi non sa che squadra è, al punto da non riuscire (più) a venire a capo nemmeno di una partita con il Benevento.

Gli highlights di Juve-Benevento

Milan e identità

A Firenze, il Milan ha offerto una sensazione esattamente opposta a quella fatta percepire dalla Juventus: nonostante i problemi, le assenze, al netto di un (inevitabile, giustificabile) calo di forma evidente rispetto al ritmo folle tenuto per tutto il 2020, la squadra di Pioli non ha smarrito la sua identità. Ed è per questo che ha vinto contro la Fiorentina nonostante la rimonta subita dopo il primo gol di Ibrahimovic, ed è per questo che è ancora dentro la lotta-scudetto, in attesa che l’Inter recuperi la sfida con il Sassuolo. Dal sei gennaio – giorno della prima sconfitta in campionato, contro la Juve – a oggi, i rossoneri hanno perso sei partite su 19 di tutte le competizioni, e ne hanno pareggiate altre cinque. Certo, Pioli ha dovuto far fronte a lunghe e dolorose assenze, ma nonostante questo andamento altalenante ha mai perso del tutto il controllo della squadra, della situazione. Si è visto ieri al Franchi, in una partita messa subito in discesa da Ibra e poi apparentemente sfuggita di mano: dopo il gol di Ribery, il Milan ha ricominciato a portare tantissimi uomini nella metà campo avversaria, ha avuto la forza – nonostante fosse reduce dalla sfida di Europa League con il Manchester United – di alzare di nuovo il ritmo e l’intensità di gioco, e così sono nate le occasioni giuste; proprio il gol del 2-3 è il frutto di una chiusura aggressiva di Tomori ben al di là della linea di centrocampo, e al momento del tiro decisivo di Calhanoglu c’erano altri quattro uomini nell’area di rigore avversaria. Sono segnali evidenti di un progetto ormai radicato nelle profondità del Milan, del fatto che la squadra rossonera abbia ormai una personalità definita, dai tratti caratteristici su cui investire, su cui è stata costruita questa ottima stagione e su cui andrà edificato il futuro. A prescindere di come andrà da qui a maggio, i rossoneri hanno delle certezze. E questa, rispetto a come sono andati gli ultimi anni, è già una grande notizia.

Fiorentina-Milan 2-3

Il ritorno di Dries Mertens, il ritorno del Napoli

Da quando il Napoli ha ricominciato ad andare veloce, a macinare punti? Dal 28 febbraio 2021, dalla prima da titolare di Dries Mertens dopo l’infortunio patito il 16 dicembre 2020 nella partita di San Siro contro l’Inter. Forse è un caso, forse no, ma da allora la squadra di Gattuso ha messo in fila quattro vittorie in cinque partite, e solo la follia di Manolas negli ultimi minuti di Sassuolo-Napoli ha impedito agli azzurri di fare filotto. È evidente la correlazione, è chiaro il nesso di causalità: anche se è lontano – per condizione atletica, quindi inevitabilmente anche tecnica – dalle sue giornate migliori, Mertens resta un attaccante fondamentale per il gioco del Napoli. E non è un discorso di gol, tutt’altro: in queste cinque gare giocate da titolare, Mertens ha segnato “solo” contro Benevento e Roma; all’Olimpico, ieri sera, il belga è riuscito a raggiungere quota 100 marcature in Serie A grazie a una punizione e a un colpo di testa, quindi in condizioni tatticamente borderline. Tutt’intorno, però, c’è stato quello che serve davvero alla squadra di Gattuso: tantissimi movimenti a sfilare i difensori avversari, tantissimi tagli ad attaccare la profondità, i giusti scambi di posizione con Zielinski e Insigne per svuotare e poi riempire l’area di rigore, così da rendere più fluido ed efficace il possesso offensivo. Questo è il Mertens che è mancato al Napoli, che sarebbe servito a Gattuso per coltivare ambizioni più consistenti in campionato e in Europa League, che magari avrebbe potuto affiancare Osimhen in qualche partita come seconda punta – un’idea che ha funzionato piuttosto bene, a inizio stagione. Con Mertens, la Champions League è una missione ancora possibile, ed era proprio quello che si aspettava l’intero ambiente napoletano dopo il rinnovo firmato un anno fa. Continuare così e (ri)portare gli azzurri in Champions sarebbe un bel modo per ricambiare la fiducia, per cancellare i mugugni di una stagione piena di contraddizioni, per rinsaldare un legame già profondissimo con il club, con i tifosi, in attesa di capire chi sarà alla guida del Napoli del futuro.

La vittoria del Napoli a Roma