Jannik Sinner è già il miglior tennista italiano di sempre?

Le splendide prestazioni a Miami, nonostante la sconfitta in finale, sono state un'ulteriore conferma: la sua maturità, la sua completezza e i suoi margini di miglioramento sono incredibili, e potrebbero cambiare la storia del tennis.

Solo chi non ha seguito Sinner con attenzione negli ultimi due anni, o chi è inguaribilmente rassegnato alle tante promesse disattese del tennis italiano, è rimasto sorpreso di ciò che è successo a Miami nell’ultima settimana. L’altoatesino ha raggiunto la finale in un torneo del valore e del prestigio che competono alla sua forza e, beninteso, non parliamo soltanto di forza potenziale, ma della forza attuale di un giocatore che è già di primissimo livello. La semifinale con Bautista Agut è un indizio, in questo senso: è stata una partita tutta in salita, Sinner ha perso il primo set e si è ritrovato sotto per 0-40, sul suo servizio, quando il punteggio nel secondo set era di 3-3. Eppure non non ha pensato nemmeno per un momento di aver perso, ha mantenuto la lucidità, ha continuato a giocare il suo tennis e si è portato a casa il secondo set. Nel terzo, i due giocatori si sono dati battaglia senza sconti e senza che nessuno riuscisse a prevalere sull’altro, almeno fino all’ultimo game. Un game già mitico, già passato alla storia. Sul 5-4 per Sinner, Bautista si è apprestato a servire per restare nel match, non sapendo che il gioco sarebbe durato soltanto quattro punti: uno vinto con un dritto durissimo da ribattere, e gli altri tre chiusi tre praticamente in fotocopia, con altrettanti diagonali di rovescio di spaventosa potenza. Per dirla in breve: un match che era stato in assoluta parità per due ore e mezza, nel giro di un minuto è passato nelle mani del giocatore più lucido all’ultimo gradino, più coraggioso nel momento che contava di più. È così che Jannik ha tramortito il numero 12 del mondo.

La finale, purtroppo, ha visto Sinner iniziare contratto contro il suo amico Hubert Hurkacz, finendo sotto per 0-3 dopo pochi minuti, salvo poi recuperare e arrivare a servire per il set sul 6-5. Una piccola impresa, questa, compiuta tra l’altro senza che Sinner giocasse il suo miglior tennis, anzi l’altoatesino ha continuato a commettere molti errori, a non incidere mai con il servizio. È qui, però, che è arrivato il blackout decisivo: Sinner ha ceduto il servizio a zero, ha perso un tie-break molto falloso e ha lasciato poi che Hurkacz si prendesse con autorità i primi quattro game del secondo set. A questo punto il tennis del giovane Jannik ha ripreso a girare, ma, nel frattempo, risalire dal baratro in cui si era cacciato era diventata una missione impossibile, anche perché dall’altro lato Hurkacz si è messo in modalità d’attesa (dell’errore altrui), rischiando e sbagliando pochissimo, e arrivando così alla vittoria finale con il punteggio di 7-6 6-4. Per Sinner è sicuramente una grande delusione, ora starà sicuramente provando il rimpianto di non essersi espresso al meglio nell’atto conclusivo. Ma, allo stesso tempo, si tratta di una sconfitta che non scalfirà minimamente la sua ascesa inarrestabile, la sua costante ricerca di migliorarsi, la rara capacità di fare tesoro dei propri errori. Perché Sinner è diverso.

Raramente capita di vedere nel circuito un atleta fatto così a modo suo. Sinner non somiglia a nessuno. E credo che chiunque, la prima volta in cui l’ha visto giocare, si sia posto la domanda “Questo sarebbe il fenomeno?”. Colpa di quel fisico poco aggraziato, della camminata dinoccolata, dell’aria di chi è capitato lì per puro caso. Il suo è un aspetto un po’ da boy scout, un po’ da snowboarder, un po’ da boscaiolo. Eppure, dopo un pugno di quindici, tutti hanno provato il brivido di vedere in Sinneri il campione che l’Italia aspettava da tanto tempo. Quel brivido oggi è qualcosa di più concreto, al punto che è inevitabile porsi una domanda: Sinner è già oggi il più forte italiano di tutti, a diciannove anni e sette mesi?

Può sembrare una provocazione, ma immaginare che il futuro sia – a dir poco – benevolo con lui, e che a fine carriera avrà più titoli di Panatta e Pietrangeli, è una scommessa già vinta. Certo, è sempre difficile fare paragoni con i giocatori del passato. È già complicato confrontare Federer e Sampras, che pure si sono incrociati in campo per qualche tempo, figuriamoci confrontare Federer con Borg o McEnroe. Allo stesso modo, viene da sé che pensare a un paragone tra Sinner e Panatta, o tra Sinner e Pietrangeli è quanto mai assurdo. Il fatto che chiunque parli di Sinner tenda a scomodare i più grandi tennisti del passato, però, dà la misura del livello del giocatore. Ed è certo anche questo: nessun altro tennista italiano, dopo Panatta, ha regalato simili sensazioni. Sicuramente non le ha date Fognini – l’unico italiano ad aver vinto un Masters 1000 – e non l’ha fatto nemmeno Berrettini, attuale numero 10 del ranking, che pure ha partecipato alle ATP Finals: il primo, all’età di Sinner, aveva fatto solo una timida comparsa nel circuito maggiore; il secondo, a 19 anni, giocava a malapena nei tornei Challenger, è entrato tra i primi 300 del mondo a ventuno anni e ha giocato per la prima volta un torneo del Grande Slam quando ne aveva quasi ventidue. Sinner, invece, ha già dato dimostrazione della sua capacità di polverizzare record quando, nel 2019, ha vinto le Next Generation ATP Finals – a cui aveva partecipato da outsider grazie ad una wild card, sconfiggendo in finale il super favorito Alex De Minaur.

Molti parlano di Sinner come di un futuro numero uno, traguardo inavvicinato e inavvicinabile per tutti i suoi connazionali contemporanei e delle ere precedenti, e anche questo è un fatto. In uno sport che, da oltre un ventennio, non è più per giovani, Sinner ribalta la logica per cui i tennisti di oggi non possono fare a meno della maturità e della tenuta mentale che solo l’esperienza porta con sé. Non è più l’epoca dei Becker e dei Chang, capaci di vincere un torneo del Grande Slam a diciassette anni. Infatti l’ultimo giocatore ad aver dato questa sensazione di potenza pur essendo così giovane è stato Rafa Nadal, e scusate se è poco. Sinner è più maturo di quanto qualsiasi altro italiano sia mai stato prima dei vent’anni, e non è affetto da alcuna delle malattie storiche di tanti connazionali: non soffre di vittimismo, non si lascia condizionare dall’emotività e non si culla nel suo talento. Lo ha spiegato lui stesso in una bella intervista di qualche mese fa concessa a La Stampa: «La cosa migliore che ho non sono i colpi, anzi, se parliamo di quelli, non credo di avere grande talento. Il mio vero talento è un altro, e lo devo alla mia famiglia: mi ha trasmesso il rispetto per il lavoro e insegnato a dare sempre il massimo. Per questo, ogni volta che vado in campo, non importa contro chi, penso sempre di poter vincere. Non lascio mai un punto».

Gli highlights della semifinale di Miami contro Bautista Agut

Il Miami Open, tra l’altro, è una sorta di lasciapassare per la gloria. Solo tre giocatori prima di Sinner sono arrivati in finale non ancora ventenni: Andre Agassi, Rafael Nadal e Novak Djokovic, tutti futuri numero uno del mondo. Sinner, dunque, sembra già destinato a entrare nell’Olimpo dei migliori, fosse solo per un fatto di cabala. I più grandi lo rispettano e lo temono, perché ha già dimostrato di poter battere chiunque (ha sconfitto top ten come Tsitsipas, Zverev, Goffin, Bautista Agut). La vittoria contro Zverev – 6-3 6-3 4-6 6-3 – all’ultimo Roland Garros gli ha permesso di accedere  ai quarti di finale (più giovane italiano a raggiungere un simile traguardo in un Slam), turno in cui Sinner ha trovato un Nadal lanciatissimo verso la conquista del tredicesimo titolo parigino. Lo spagnolo ha sollevato la Coppa dei Moschettieri dopo una cavalcata trionfale che non l’ha visto perdere perso nemmeno un set, lungo la quale ha lasciato solamente briciole a tutti gli avversari – compreso Djokovic, strapazzato in finale col punteggio di 6-0 6-2 7-5. Ebbene, soltanto Sinner è riuscito a mettere veramente in difficoltà lo spagnolo, che ha dovuto sudare e ricorrere al suo miglior tennis per batterlo nel tie-break del primo set. Sinner ha tenuto botta nel secondo set e poi, è vero, è calato nel terzo. Ma per oltre due ore le nevrosi e i tic di Nadal sono stati messi a dura prova. «È stata davvero dura», ha dichiarato Rafa alla fine match vinto per 7-6 6-4 6-1, «contro uno capace di spingere tutti i colpi come Jannik». Nadal si è poi ricordato di quella battaglia quando, per prepararsi al primo Slam del 2021, gli Australian Open, ha scelto proprio Sinner come compagno di allenamento. Una decisione in cui molti hanno letto una sorta di investitura per il futuro campione della nuova generazione.

È ovvio pensare che, partendo da qui, Sinner non possa fare altro che crescere. In lui c’è un enorme potenziale ancora inespresso, ma i tanti punti di forza già messi così bene in evidenza sono il miglior viatico per puntare i vertici del tennis mondiale. Il rovescio, innanzitutto, ha un timing puntuale che gli permette di abbinare spesso, alla potenza, una traiettoria imprevedibile. L’anno scorso, uno studio pubblicato sul sito dell’ATP aveva calcolato la velocità e lo spin, ovvero il numero di rotazioni al minuto impresse sulla pallina, dei rovesci del circuito: ebbene, quello di Sinner è risultato al primo posto tra quelli più efficaci. Se la sua palla giocata con il rovescio bimane risulta dunque pesantissima, al tempo stesso Jannik – sotto la costante guida di Riccardo Piatti – ha compiuto dei grandi progressi con il dritto. Dei progressi talmente notevoli che, oggi, dritto e rovescio viaggiano quasi alla stessa impressionante velocità.

Jannik Sinner è nato a San Candido, provincia di Bolzano, il 16 agosto 2001. Con il successo conquistato a Sofia nel 2020, a 19 anni e due mesi, è diventato il tennista italiano più giovane di sempre ad aver vinto un torneo nell’era Open (Francois Nel/Getty Images)

L’adagio popolare dice che vincere a tennis è molto semplice, basta tirare forte e sulle righe. Provate a vedere qualche scambio e soffermatevi sulla profondità del gioco di Sinner: vi accorgerete che la stragrande maggioranza dei suoi colpi finisce in prossimità della linea di fondo. Jannik è un colpitore micidiale, un attaccante da fondo campo come se ne vedono pochi. Ne consegue che il suo tennis, pur adatto a tutte le superfici, sia particolarmente efficace su quelle veloci. A rete alterna grandi giocate a colpi ancora goffi, e sicuramente quello sarà un aspetto sul quale dovrà lavorare parecchio, anche se il suo gioco non necessita quasi mai della chiusura al volo, perché i suoi solitamente si concludono con un vincente da fondo. Il servizio, già solido e capace di trasformarsi in un’affidabilissima arma nei momenti che contano, migliorerà in futuro, soprattutto sulle palle lavorate in slice e in kick.

Ma il vero punto di forza di Sinner, come ha detto anche lui stesso, è quella mentalità di ferro che ha fatto scomodare similitudini con Djokovic o con Borg, la sua capacità di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni, di non arrendersi mai e di giocare al meglio i punti importanti. Tutte doti emotive tipiche dei migliori. Quando riuscirà ad entrare meglio nel match (gli capita sovente di metterci un po’ ad uscire dai blocchi) e a ridurre al minimo quei passaggi a vuoto che ancora gli complicano incontri che potrebbe stravincere, diventerà davvero uno dei pochissimi disumani del circuito.

Sinner ha anche toccato con mano l’esplosione di una sorta di Sinnermania, con dirette, interviste, servizi, curiosità sul suo conto. E ha dimostrato di saper reggere l’urto. Poco più di un mese fa, i giornali hanno parlato della sua love story con la modella Maria Braccini. Come se fosse la cosa più naturale da dire, ha confermato il suo fidanzamento e, a chi ha insinuato che l’amore gli avrebbe guastato la forma, ha risposto a parole – per lui il tennis è la priorità – e con i fatti, giocando un super torneo a Dubai e poi centrando l’exploit di Miami. Per tutte queste ragioni, per via di quelle impressioni e quei presentimenti difficili da spiegare, è inevitabile pensare che sì, Sinner è già ora il miglior tennista italiano di sempre. E che possa aspirare a essere dominante nel proprio sport come lo sono stati Alberto Tomba o Valentino Rossi in altri contesti, se proprio vogliamo continuare con gioco dei paragoni, un gioco odioso ma anche irresistibile.