Ho appena chiuso un libro grazie al quale mi sono molto divertito, un romanzo che in alcuni momenti mi ha perfino commosso. Divertirsi e commuoversi non sono cose da niente, sono faccende appresso alle quali impieghiamo quasi tutto il nostro tempo, a volte ne siamo consapevoli, altre no, ma è quello che facciamo.
«El numero diez es como un giocatore de poker», spiega, «e un buon giocatore de poker non sempre è quello che ha le carte migliori. A volte è solo quello che sa bluffare meglio. Dribblare es como bluffare con tutto il corpo»Un libro che incrocia vicende di pallone e di miserie, perciò tiene per mano la questione sentimentale, tutta quanta, e orienta una finestra sempre aperta verso quell’orizzonte malinconico che ci porta a inseguire vecchie storie di calcio, uomini dotati di talento ma poco risolti, disposti a gioire per una finta riuscita o un gol, e pronti a tributare la stessa ebrezza a una rissa, alla prima di una lunga serie di bevute. Uomini che ci hanno incantati con una sforbiciata, con un colpo di tacco impossibile, con un dribbling strappato a un millimetro dalla linea di fondo campo; uomini spariti perché il destino li ha travolti, calciatori che non hanno sopportato la pressione, attaccanti fuori orario, senza regole, che hanno mancato l’appuntamento con la partita importante, che sono rimasti su quella spiaggia del Sudamerica dove, ragazzini, qualcuno li ha visti scartare ogni cosa come un birillo. Fantasisti che male hanno sopportato il meccanismo: vedevano il campo e quei novanta minuti ma mai la strada da fare per arrivarci. Fuoriclasse straordinari e perduti che ameremo per sempre, ricordando magari un gol soltanto, solo quello, in quell’unica domenica in cui ci è parso che si potesse realizzare un sogno.
Isla bonita. Amori, bugie e colpi di tacco si intitola così il libro che ho appena chiuso, lo ha scritto Nicola Muscas per 66thand2nd, ed è un romanzo attraversato da numerosi fatti e da alcuni personaggi straordinari, che ricorderemo sempre con piacere. Personaggi luminosi e carichi d’ombre, onesti e l’attimo dopo disonesti, padroni di tutto e di niente, pronti a tutto per il piacere di un imbroglio, di un innamoramento, di una finta di corpo inaspettata. Santiago Ramiro Rodríguez, un calciatore uruguaiano praticamente finito che sta bene solo dentro i suoi eccessi: il bere fino allo stordimento, le donne e perdere ogni banconota possibile ai tavoli dei casinò e delle peggiori bische. Con i piedi è un fenomeno, ha guadagnato tanto, ha giocato in grandi squadre, ma ha sempre buttato via tutto, come se fosse morso da un’ansia costante, come se non potesse sottrarsi al suo essere beffardo, come se non sapesse essere felice.
È sul finire della carriera e in pratica vive sulle spalle della compagna e della suocera. Un uomo finito. Ha il fiato sul collo di un tizio chiamato El Carnicero, a metà tra un camorrista sudamericano e un biscazziere, el Gordo (il soprannome di Rodríguez) gli deve parecchio denaro. Il destino di Ramiro ha previsto un’ultima sorpresa, non proprio un’ancora di salvezza, ma qualcosa di simile a uno scarpino da calcio nuovo di zecca, a una speranza.
«El Gordo è sicuro che se Maradona fosse nato nel centro di Parigi da una famiglia di farmacisti, beh, difficilmente gli sarebbe venuto in mente di segnare un gol di mano in un Mondiale»L’opportunità arriva dalla Sardegna, dal Cagliari Calcio, ma soprattutto da un uomo, Firicano. Il potentissimo dirigente, intrallazzatore, della squadra isolana, abituato a manovrare tutto e tutti, che ripesca Ramiro dal cilindro non per fare un’opera di bene, ma vivendo il suo ingaggio (e ritorno a Cagliari) come una buona occasione per lui (forse l’ultima?) di esercitare potere, dominio, di gestire, di muovere pedine, di alzare il telefono e dire agli altri cosa fare. La scelta del cognome Firicano è, mi pare, un omaggio allo storico difensore del Cagliari (più di 200 partite con la maglia rossoblu). La figura è straordinaria, un insieme che ricorda le caricature dei boss dei Quartieri Spagnoli di Napoli, i peggiori dirigenti calcistici, o il filosofeggiare degno di Servillo che fa Pisapia ne L’uomo in più di Paolo Sorrentino. È orribile, ma finisci per volergli bene, come a tutti gli altri. L’allenatore burbero e dedito al lavoro che non vuole saperne del Gordo. Morelli che da medico col talento di rimettere in sesto i calciatori, finisce presto per diventare la spalla del fuoriclasse perduto, il suo appoggio, la struttura che lo tiene e lo scuote. Morelli che non sa che fare della sua vita, sempre indeciso, con la nostalgia di Torino nel cuore e la capacità di innamorarsi perdutamente come se niente fosse. Laura, giornalista sportiva idealista, e Aresu addetto stampa del Cagliari che quando è teso riguarda vecchi filmati, tipo tutti i gol di Muzzi.
Le loro vite si intrecciano e finiranno per diventare sostegno l’una dell’altra, tra un’irruzione della Dea a Montevideo e una rissa in una partita contro la Juventus, assist straordinari, calci di rigore decisivi, mattine cagliaritane luminose e la squadra che si ritrova a lottare per un posto in Champions League.
«Leggermente spostato nel ruolo di mezzala, Rodríguez incrocia un lancio che sembra un colpo da biliardo su più ampia scala»Muscas è stato molto bravo, il romanzo è corale, una vera commedia umana, e del coro fanno parte i luoghi. Cagliari splende nelle parole dello scrittore e la si intuisce cambiata, poche volte così bene raccontata. Bellissima e indolente, schiava della sua bellezza, della primavera che dura tutto l’anno, di tutto quel mare. Spiccano anche alcuni capitoli in cui Torino esplode nelle sue vie e nelle nostalgie di Morelli, in cui ci si perde nelle vie di Montevideo, e poi Napoli che compare nel colore del suo centro storico, l’azzurro, perché Muscas sa di vita e di pallone e sa che Maradona in questo libro non poteva (né doveva) mancare. Come non manca Gigi Riva, l’hombre vertical, il più sardo di tutti. E non mancano gli echi di Enzo Francescoli e di O’Neill.
El Gordo in questa storia vive (e rivive) ogni cosa: dalla felicità più pura, dalla gloria che ritorna, al baratro in cui piomba ogni giorno, eppure regge, è spinto da qualcosa, e quel qualcosa sono le persone che abbiamo raccontato, è Cagliari che diventa barometro, bussola, casa. Il campione uruguaiano in ogni spezzone di partita che gioca, compie un mezzo miracolo, restando in piedi e regalando meraviglie, così cambia e diventa perno attorno al quale ruotano le vite e i cambiamenti degli altri. Tutti gli attori impareranno che ogni tanto è meglio abbandonarsi, che il precipizio serve, così come servono i colpi di tacco e il vento che sferza il Poetto, che rimbalza sugli spalti del Sant’Elia.