Qualche mese fa, Jesse Lingard si avvicinava ai 28 anni senza che la sua carriera fosse progredita granché rispetto a quando ne aveva 23: stesso fisico gracile, stesso volto da Pisellino di Braccio di Ferro, stesso numero astronomico di balletti su Snapchat. «Jesse Lingard corre il rischio di diventare uno dei “lost boys” preservati nell’ambra del loro potenziale, benedetti da un’aria giovanile, quelli che mostrano sempre abbastanza talento da convincerti che la svolta è dietro l’angolo, salvo poi svegliarti e renderti conto che hanno trent’anni e la loro carriera è quasi al capolinea». Con queste parole, meno di un anno fa, Jonathan Wilson raccontava un giocatore che continuava a sembrarci giovane nonostante non lo fosse più, che era rimasto intrappolato in un limbo di promesse e inconsistenza, che stava sprecando il prime della sua carriera. Questa sensazione di smarrimento era acuita dall’unica cosa cambiata rispetto al passato: a un certo punto, Lingard ha smesso di giocare, il suo posto sulla trequarti del Manchester United è stato preso da compagni più giovani, più affamati, non ancora caduti nella trappola in cui era finito lui, quella di un gioco sempre più fumoso e fragile.
«Sentivo di meritare un posto allo United», ha dichiarato recentemente Lingard, «ma ovviamente dentro di me sapevo che la scelta giusta era accettare il prestito». Così, dopo più di vent’anni nei Red Devils, lo scorso gennaio Lingard ha deciso di trasferirsi al West Ham. Il prestito in una squadra dal blasone inferiore è una mossa malinconica e dal finale apparentemente scontato, visti i precedenti infelici di altri Lost Boys (Jack Wilshere, giusto per citarne uno) che hanno cercato di ritrovarsi in questo modo. Le aspettative erano basse, eppure Jesse Lingard non si è limitato a salvare la sua carriera, ma l’ha addirittura ribaltata: nel giro di sole otto partite, ha accumulato sei gol e quattro assist. Ma non è solo una questione di numeri: J-Lingz si è imposto da subito come il fulcro creativo della squadra di David Moyes.
Domenica 4 aprile 2021, in una partita decisiva per la lotta Champions, Lingard ha disintegrato la difesa del Wolverhampton dando un contributo decisivo a tutti e tre i gol del West Ham: al 38esimo minuto, è partito in progressione attirando su di sé cinque difensori, poi ha servito in profondità Bowen per il 3-0; poco prima aveva cercato un dribbling assurdo sulla bandierina, uno di quei virtuosismi che solo un giocatore in stato di grazia può provare a disegnare, propiziando così l’assist di Antonio per il raddoppio di Fornals. Il vero capolavoro è arrivato ancora prima, al minuto sei, quando Lingard ha ricevuto palla sulla sua trequarti, si è bruciato 52 metri palla al piede e poi ha incrociato di sinistro alle spalle di Rui Patrício.
A vedere che giocatore è oggi, fa sorridere pensare che Lingard sia arrivato al West Ham principalmente per mancanza di alternative, perché cercava un posto da titolare che gli permettesse di riprendere per i capelli una convocazione agli Europei. Ad offrirglielo, oltre al West Ham, erano state giusto un paio di squadre con un piede in Championship e qualche spagnola di medio livello. Quella che sembrava a tutti gli effetti una mossa della disperazione si è rivelata invece perfetta, il West Ham infatti era il club giusto perché perché un giocatore come lui potesse ritrovarsi. A Londra, Lingard ha ritrovato David Moyes, che lo aveva già allenato a Manchester, e proprio il manager scozzese gli ha offerto un contesto tatticamente ideale: il West Ham è una squadra fisica e ruvida, che difende con un blocco basso e affida la produzione offensiva alla creatività dei suoi giocatori più estrosi. Questo sistema offensivo poco rigido e molto verticale ha esaltato le migliori doti di Lingard, a partire dalla conduzione palla al piede con cui può ribaltare il campo in qualunque momento. Il gol segnato in assolo contro il Wolverhampton è solo l’esempio più eclatante dei pericoli che l’ex United è in grado di creare, soprattutto in un momento in cui sembra poter anche camminare sulle acque: in Premier League, per dire, ha una differenza di 2,56 tra gol segnati ed expected goal. In soldoni significa che per Lingard, in questo periodo, la porta è larga come il Tamigi e quindi ogni tiro rischia seriamente di trasformarsi in gol – e questo nonostante le sue conclusioni non siano facilissime, visto che la distanza da cui prova a finalizzar l’azione è pari a 18.9 metri.
Niente male, come progressione
Jesse Lingard non ha modificato il suo modo di giocare, ha semplicemente portato il suo calcio a vette finora sconosciute. È ancora un giocatore istintivo, che sbaglia parecchie scelte e non rifiuta mai una giocata complessa. Quello che è cambiato negli ultimi mesi è che gli errori non smuovono di un millimetro la certezza di poter essere decisivo nell’azione successiva. In una situazione del genere, era inevitabile che i tifosi degli Hammers lo adottassero, esattamente come hanno fatto con gli altri i giocatori di talento che hanno indossato il claret and blue. Poco dopo il suo arrivo a Londra, Lingard ha notato com una finestra del condominio di fronte al suo fosse addobbata con dei cartoncini che disegnavano la sagoma della sua esultanza, quella che con entrambi i pollici e gli indici disegna la J di Jesse e la L di Lingard. Sembrano piccole cose, ma per un ragazzo solare come Lingard ritrovare questa serenità ha significato ritrovare sé steso. Jesse infatti si nutre di good vibes, è il joker di ogni spogliatoio, e per esprimersi al meglio ha bisogno di essere sereno. Questa spensieratezza se l’è dovuta riconquistare dopo anni di grigiore che avevano finito per spegnerlo. Se i suoi insuccessi professionali allo United erano sotto gli occhi di tutti, in pochi sapevano di quanto Lingard stesse soffrendo nella vita privata. Da fuori era difficile capirlo, perché Jesse sembrava spensierato e allegro come sempre, ma il suo buonumore era solo una facciata, le storie su Instagram un guscio vuoto che nascondevano il dolore per una situazione familiare complicatissima, degenerata da quando sua madre Kirsty ha iniziato a soffrire di una depressione talmente grave da impedirle di badare ai figli minori.
Lingard porta spesso un cappellino con una scritta che è il suo mantra, “be yourself”, sii te stesso. Ma è possibile essere sé stessi quando il mondo ti sta crollando addosso? Proprio nel corso del suo periodo buio, Lingard ha capito che «ci sono momenti in cui essere sé stessi è impossibile», momenti nei quali ha smarrito chi era «come persona e come calciatore», perché nel frattempo – siamo tra il 2018 e il 2019 – la situazione in famiglia si è ripercossa sul campo, dove J Lingz ha iniziato a giocare male, talmente male da diventare una sorta di meme vivente. Inevitabilmente Lingard ha prima perso il posto da titolare nel club e poi quello in Nazionale, una botta terribile per un ragazzo che ancora si commuove quando pensa al gol segnato contro Panama a Russia 2018. Nei momenti di apatia più profonda, ha provato a darsi una scossa riguardando le sue migliori partite, cercando di ricordarsi del giocatore che era. Voleva sentire «il fuoco nello stomaco» che aveva perso, ci ha provato, si è allenato duramente ma ha fallito anche nella seconda metà del 2020, quando Solskjær sembrava disposto a dargli un’altra chance. A quel punto Lingard avrebbe potuto mollare tutto, e in effetti ha pensato di mollare tutto, ma poi ha deciso di riprovarci dal West Ham. A Londra quel fuoco è finalmente tornato ad accendersi fin da subito, dalla doppietta all’esordio contro l’Aston Villa, e ha continuato a bruciare, fino a tenere gli Hammers aggrappati al sogno di una impensabile qualificazione in Champions League.
Secondo Jonathan Wilson, il problema di Lingard a Manchester «non è mai stato una mancanza di impegno, piuttosto una mancanza di ambizione e fiducia». Le due cose vanno a braccetto, e ora che Lingard è in fiducia come mai in carriera la sua ambizione più grande potrebbe finalmente materializzarsi. Raggiungere la Champions League sarebbe infatti una rivincita enorme per Lingard ma anche per il West Ham, che ha la possibilità di esordire nell’Europa che conta e nel frattempo guardare dall’alto in basso tutte le squadre di Londra per la prima volta dal 1985. Inoltre, trascinando il West Ham in Champions o almeno in Europa League, Lingard potrebbe realizzare quella che in realtà è la sua più grande aspirazione, che ha sempre a che fare con l’Europa: tornare in Nazionale per disputare gli Europei. Nella sua villa fuori Manchester, infatti, c’è una teca che contiene un cappello per ciascuna apparizione con la Nazionale inglese. Ogni mattina Lingard ci passa davanti e la guarda, «per mettersi di buon umore». La sua rinascita al West Ham gli è già valsa altri tre cappelli, uno per ogni apparizione nelle qualificazioni ai mondiali 2022 – Southgate l’ha richiamato dopo quasi due anni e l’ha schierato nelle gare contro San Marino, Albania e Polonia. Se Lingard dovesse continuare a giocare così fino a fine anno, ad aspettarlo ci saranno la convocazione per gli Europei e almeno altri tre cappelli potenziali, quelli delle sfide del girone iniziale contro Croazia, Scozia e Repubblica Ceca. Si tratterebbe di un turnaround clamoroso, che nessuno si sarebbe aspettato solo tre mesi fa. Lingard l’ha definita «a hell of a comeback story», una diavolo di storia di rivincita. Difficile trovare parole migliori.