La Super Lega cambierà per sempre il calcio che conosciamo

Novità, scenari e criticità della competizione annunciata da dodici club: come cambieranno il gioco, l'economia e i rapporti di forza del calcio europeo.

Prima di parlare di Super Lega, uno sguardo all’albo d’oro della Champions League. Nel ventennio 1980-2000, ci sono state quindici diverse vincitrici; nei vent’anni successivi, sono state nove. Se si guarda alla nazionalità delle squadre vincitrici, tra il 1980 e il 2000 hanno vinto squadre di nove Paesi diversi, mentre dal 2001 a oggi i club che hanno trionfato in Champions sono stati espressione di cinque nazionalità. Cosa vuol dire tutto questo? Che è evidente che nel tempo si sia creata, e amplificata anno dopo anno, una frattura tra le realtà più ricche e il resto. Il gap è diventato sempre più netto, facendo sì che la Champions League diventasse affare privato dei tornei nazionali più ricchi o, per dirla meglio, delle squadre più ricche. Dal 2007/08 a oggi, le dodici squadre che hanno raggiunto la finale di Champions sono nella top 14 dei club europei per fatturato più alto.

È inevitabile quanto il peso, sportivo e di conseguenza economico, di certi club sia diventato ingombrante al punto da arrivare allo scenario che si è appena concretizzato: dodici club europei (Juventus, Milan, Inter, Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid, Liverpool, Manchester United, Manchester City, Arsenal, Chelsea e Tottenham) hanno annunciato la creazione di un nuovo torneo, la Super Lega. Perché possono farlo? Perché hanno raggiunto uno status politico ed economico addirittura superiore all’Uefa, tant’è vero che non hanno avuto difficoltà a coinvolgere JP Morgan nel progetto (che darà spinta propulsiva alla lega con un mega-credito da 3,5 miliardi di euro). Perché vogliono farlo? Perché le prospettive di crescita economica, agevolate dal fatto che il torneo non sarà più sotto la regia dell’Uefa ma sarà regolato dai club stessi, sono fin troppo golose. Per Marco Bellinazzo, dieci miliardi di euro in ricavi annui come prospettiva nel medio termine, rispetto ai tre circa che arrivano adesso dalle competizioni Uefa.

Fonti vicine ai club promotori della Super Lega sostengono che da una competizione del genere potrebbero arrivare, a stagione, circa 400 milioni di euro a partecipante. La Champions League, per come è strutturata oggi, assicura una quarantina di milioni di euro per la sola partecipazione, ai quali poi si aggiungono i bonus in base al cammino sportivo e il market pool, la quota derivante dalla vendita dei diritti televisivi. Ma la frontiera dei 400 milioni di euro è inarrivabile: Liverpool e Bayern, le ultime squadre campioni d’Europa e dunque quelle che hanno incassato di più, hanno guadagnato tra i 110 e i 130 milioni di euro. Quasi quattro volte in meno. I ricavi “promessi” dalla Super Lega ammontano, in pratica, all’intero fatturato della Juventus: in un momento in cui i club devono fare i conti con la contrazione economica derivata dalla pandemia, senza dimenticare che da tempo le strategie finanziarie puntano a una diversificazione dei ricavi in grado di valorizzare al meglio il prodotto squadra/brand, come si può rinunciare a una somma del genere?

Per tutti questi motivi, l’aspetto sportivo passa in secondo piano. La Super Lega ha già un format tutto suo, con venti squadre (di cui quindici fisse, cinque che accedono in base a una qualificazione) divise in due gironi, con fase a eliminazione diretta a partire dai quarti di finale. Ma non è questo il nocciolo della questione: l’Uefa era già venuta incontro ai club, con un cambio di format praticamente già fatto che aumentava il numero di partite disputate (e di conseguenza la possibilità di guadagno, in particolare derivanti dai diritti tv). E prima ancora, aveva approvato una riforma in base a cui vengono garantiti più soldi ai club con il ranking più alto. Qui in gioco, però, non c’è solo quanto grossa è la fetta dei ricavi: in gioco c’è il potere, quello che da sempre è in mano all’Uefa e che i club, adesso, vogliono ereditare. Nella nuova Super Lega l’aspetto determinante è questo: i club decidono da sé e per sé, senza intermediari. Vogliono decidere il numero di club? Possono farlo. Vogliono riformare il torneo? Possono farlo. Vogliono vendere i diritti tv a questo o a quel broadcast? Possono farlo. Vogliono stringere un accordo commerciale con un brand di moda? Possono farlo.

È fin troppo chiaro perché l’Uefa non può concedere tutto questo: perderebbe il suo prodotto di punta, la Champions League, o perlomeno il suo prestigio, e tutta l’impalcatura su cui si fonda il suo potere politico. Allineata all’Uefa ci sono anche Fifa e tornei nazionali, con la minaccia di espellere i club che parteciperanno alla Super Lega. Potremo vedere una Champions o una Serie A senza la Juventus, o l’Inter, o il Milan? Al momento è difficile anticipare scenari, ma se davvero dovesse crearsi una spaccatura allora bisognerebbe ridiscutere l’intero sistema economico. Se la ricchezza diffusa in Super Lega, che per forza di cose sarebbe superiore rispetto a tutto il resto, rimanesse concentrata nelle mani di quei quindici, venti club, tutto il resto ne soffrirebbe e verrebbe relegato a calcio di provincia, quasi inesistente agli occhi globali. Se invece i meccanismi di redistribuzione dovessero tenere conto di tutto quello che c’è al di fuori della Super Lega (come gli stessi club fondatori hanno promesso, con almeno dieci miliardi di euro destinati, nella parte iniziale, come fondo di solidarietà, anche se non è chiaro con quali criteri) il sistema potrebbe reggere esattamente come oggi: da una parte top club, quindi una classe media, e così via.

12 club hanno promosso la nascita della Super Lega: sono Juventus, Milan, Inter, Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid, Liverpool, Manchester United, Manchester City, Arsenal, Chelsea e Tottenham (GABRIEL BOUYS/AFP via Getty Images)

Certo, la forbice si amplierebbe ancora di più: i ricchi diventeranno più ricchi, questo è sicuro. Se pure i campionati nazionali rimarranno centrali, come i club fondatori della Super Lega hanno assicurato, ne perderanno in appeal, e dunque possibilità di crescita economica. Il turning point, in effetti, è stato l’assenso di sei club di Premier League a entrare nella nuova competizione: il torneo inglese è il più ricco al mondo tra quelli nazionali, con introiti e prospettive di crescita inarrivabili per qualsiasi altra realtà nazionale (nel 2019 i club di Premier avevano fatturato circa sei miliardi di euro complessivamente). Se pure la Premier perdesse il suo status, quale lega potrebbe sopravvivere al terremoto della Super Lega?

Se poi non ci dovesse essere alcuna espulsione di questi club dai campionati nazionali, immancabilmente saremmo di fronte a una sproporzione, sportiva ed economica, lampante. Juve, Inter e Milan avrebbero fatturati monstre contro le risicate risorse degli altri club. Non solo: la Serie A sarebbe ancora un torneo prestigioso, o diventerebbe un diversivo nella stagione dei top club? Per quei club che invece non faranno parte della Super Lega a titolo fisso, ma che potrebbero accedervi soltanto su meriti sportivi, che futuro potrebbe esserci? Anche in questo caso, potrebbero sviluppare, in caso di partecipazione continuativa nel tempo, una potenza di fuoco economica che le porrebbe a un livello superiore rispetto alla concorrenza nazionale, e di conseguenza sarebbe ancora più difficile conservare quelle fondamenta di “inclusività” che regolano lo sport europeo e che oggi sono sottolineate da chi avversa la Super Lega.

E ancora, spostando gli orizzonti ancora più in là: la Super Lega continuerà ad avere una matrice europea? Se parliamo di un’iniziativa privata, non posta sotto le regole continentali dell’Uefa, il futuro di una competizione del genere potrebbe essere globale. Se in Arabia, o in Cina, o negli States venissero costruiti super team, propiziati con l’afflusso di capitali di chi oggi foraggia le principali società europee, davvero potrebbe essere negato a queste realtà l’accesso? La Super Lega ha una propensione globale per sua stessa natura, perché vuole rivolgersi al pubblico più allargato e internazionale possibile, ma potrebbe diventare globale persino per provenienza delle sue partecipanti. Al momento, è evidente che il torneo è aperto alle squadre dei principali cinque tornei europei: le squadre di tre leghe ci sono già, i tre posti mancanti per le quindici fisse sarebbero stati appannaggio di Psg, Bayern Monaco e Borussia Dortmund, che però hanno declinato. E cinque sono i posti destinati a chi si qualifica dai campionati: esattamente quanti sono Premier League, Liga, Serie A, Bundesliga e Ligue 1.

Secondo Andrea Agnelli, tra i principali promotori della Super Lega, «ci siamo riuniti per consentire la trasformazione della competizione europea, mettendo il gioco che amiamo su un percorso di sviluppo sostenibile a lungo termine». (MIGUEL MEDINA/AFP via Getty Images)

Al tempo stesso, è impossibile vedere giocatori come Messi, Neymar, Mbappé, eccetera al di fuori della Super Lega. Non solo perché sarebbe la principale competizione per club, ma perché sarebbe il mercato stesso a indirizzare i calciatori in quella direzione. Super fatturati innescano super acquisti e super stipendi: certi ingaggi faraonici che oggi possono permettersi pochissime società europee e alcune realtà asiatiche sarebbero invece la regola. Per quanto i club della Super Lega sostengano che la loro riforma non turberà l’esistenza della Champions League, quest’ultima sarà, nei fatti, declassata a torneo continentale “minore”. Non ci saranno le migliori squadre, e nemmeno i migliori calciatori.

Per gli appassionati tradizionali, sarà un netto cambio di paradigma. Si perderanno le rivalità domestiche, e potranno nascere quelle transnazionali: un Napoli-Juventus potrebbe non essere più sentito come in passato, magari soppiantato da un Manchester City-Juventus. Ma anche il prestigio di certi club potrebbe affievolirsi. Se i tornei nazionali perderanno la loro importanza e la Super Lega sarà l’unica competizione di riferimento, non vincere per tanti anni potrebbe cambiare la percezione attorno. Se questo prodotto arriverà più rapidamente alle nuove generazioni, che come affermano i promotori della Super Lega sono più interessati ai match tra le grandi squadre, i club che storicamente consideriamo come “big” potrebbero anche smettere di esserlo, non dovessero essere in grado di competere ai massimi livelli.

Se sarà preservato un equilibrio competitivo, sarà da vedere: intanto, i fautori della Super Lega hanno l’obiettivo di costruire l’élite calcistica negli anni a venire, riflessa nei fatturati odierni ma resa immutabile dal format del torneo. Oggi, infatti, la qualificazione o no in Champions determina la solidità finanziaria – e di conseguenza il progetto sportivo – di una società: è quanto disse Andrea Agnelli un anno fa. «Ho grande rispetto per quello che sta facendo l’Atalanta, ma senza storia internazionale e con una grande prestazione sportiva ha avuto accesso diretto alla Champions. Penso poi alla Roma, che ha contribuito negli ultimi anni a mantenere il ranking dell’Italia, ha avuto una brutta stagione ed è fuori, con tutte le conseguenze del caso a livello economico». Su queste parole si fonda un progetto, sportivo ed economico, che potrebbe cambiare per sempre il calcio per come lo conosciamo.