SUV elettrici guidati da campioni del motorsport, corse brevi nei luoghi più minacciati dal cambiamento climatico, una nave che trasporta tutta l’attrezzatura, macchine comprese, un pubblico solo digitale.
Automobili e motorsport sono un po’ passé, lo so. Lo so perché mi piacciono entrambe le cose e ho 38 anni, e probabilmente mio figlio non prenderà mai la patente, ammaliato da monopattini elettrici e vetturette in car sharing a guida autonoma. Già preso atto della cosa. Forse però tra automobili e motorsport una differenza c’è: il mondo delle competizioni è meno strano per chi ha quindici anni oggi rispetto a quello dei concessionari, dei bolli auto e delle revisioni. Perché è meno strano? Perché i videogiochi ne hanno mantenuto vivo l’immaginario – mangiandosi da tempo anche il concessionario, che nella saga di Gran Turismo si chiama “Brand Central”. Malgrado l’industria videoludica ce la metta proprio tutta i dati demografici sul pubblico della Formula 1 “reale” non sono proprio da asilo nido: nel 2019 solo il 14% degli spettatori del passatempo domenicale di Lewis Hamilton avevano meno di 25 anni. In media, dunque, il pubblico della F1 è composto da quarantenni e oltre. E lo rimane nonostante le lusinghe del marketing per attirare fasce d’età più fresche – social media curatissimi, piloti sempre più giovani con cui identificarsi, strizzate d’occhio agli esports, così via – tanto che oggi come domanda correlata ad “Average age of F1 fans” su Google appare “Is F1 a dying sport?”. È un problema.
È un problema non solo per Liberty Media – che detiene i diritti della Formula 1, acquisiti per 4,6 miliardi di $ nel 2017 – ma anche un’opportunità per provare a fare qualcosa di nuovo. Ci stanno provando gli altri, e lo vedremo a breve, ci sta provando poco Liberty Media. Perché le auto in qualche modo bisogna venderle – oggi ancora a motore termico, oggi e domani soprattutto elettriche – e vendere anche tutte quelle cose che sulle auto da competizione mettono gli adesivi e decidono le livree. Già, vendere le cose degli sponsor. Per venderle queste cose bisogna catturare l’attenzione del pubblico, ed è un altro problema: mai come oggi è un pubblico distratto, volubile, perso tra due o più schermi. Come fare ad acchiapparlo? Risposta: facendo diventare la realtà un po’ più videogioco, e viceversa. Da tempo ci sono segnali che il format tradizionale, novecentesco, del motorsport non regga l’epoca della fine dell’attenzione, cioè quella in cui viviamo da una decina d’anni. Qualche tentativo di ibridamento c’è già stato dal 2014 in poi nella Formula E: monoposto elettriche in nuovi circuiti cittadini, con l’inserimento di dinamiche da videogioco nel reale. Il Fanboost – una votazione online pre gara che dà più potenza alle auto di tre piloti – così come l’Attack Mode, un altro modo più complicato per aumentare i cavalli della propria vettura durante l’E-Prix.
Tra presunti brogli nelle votazioni online per il Fanboost e un Attack Mode mai amato dai piloti è stato comunque l’inizio di una contaminazione: cosa succede se il pubblico può interagire con la gara? Cosa succede se la rendiamo un po’ più simile a un videogioco? Molti appassionati hanno storto il naso, di solito quelli della mia età; ad altri l’idea di sfumare i confini tra due mondi – la competizione automobilistica e il videogioco di una competizione automobilistica – due mondi entrambi ludici, è piaciuta. E piace ovviamente ad Alejandro Agag, 50 anni, ex politico spagnolo maritato con figlia di Aznar – al matrimonio i Reali di Spagna, Tony Blair; ma anche Silvio Berlusconi – e uomo d’affari con rete kissingeriana di amicizie nei potentati globali di ogni cosa. È lui l’uomo che ha inventato la Formula E e ora anche la sua evoluzione più folle: Extreme E.
La Formula E corre in città. La Extreme E corre in luoghi sperduti del pianeta. La Formula E attirava pubblico. La Extreme E non avrà praticamente pubblico dal vivo, ma solo davanti a uno smartphone o davanti a una tv. Le Formula E sono vetture da pista con forme da F1 futuribile. Le Extreme E sono l’opposto, enormi SUV da fuoristrada stile Dakar. Nel gioco degli opposti per catturare l’attenzione dopo la Formula E serviva qualcosa di esagerato e a metà strada tra un’esperienza videoludica e una competizione tradizionale: e così la Extreme E è la corsa più simile a un videogioco che sia mai stata organizzata. Quest’anno prevede cinque gare in cinque scenari – scenari, non piste, scenari, non circuiti: quindi Ocean, Desert, Glacier, Arctic e Rainforest – minacciati dal global warming o già devastati dall’uomo, dove a sfidarsi saranno SUV elettrici identici per tutti i team, un po’ come si era visto nella prima stagione della Formula E. Ma la Extreme E è studiata al millimetro per la Generazione Z, e di conseguenza per la generazione Greta. Gli equipaggi dei team sono composti da un uomo e una donna – gender equality assicurata, piuttosto raro negli sport automobilistici – e la nave che porta in giro i team per mare da un capo all’altro del pianeta sarà anche un hub di ricerca sul riscaldamento globale.
Per tenere l’attenzione alta in un’epoca di distratti da tutto poi le gare dureranno poco, due giri appena dopo le fasi di qualifica. I GP di Formula 1 richiedono molta più attenzione, troppa per dei cervelli nativi digitali. “Ludicrous” è stato uno dei commenti alla Extreme E tra gli addetti ai lavori. Nel senso sì, di ridicolo, di assurdo; ma anche in senso buono, “ludicrous” era anche una modalità di guida della Tesla, un omaggio al film Balle spaziali e alla “Velocità smodata”, in origine appunto “Ludicrous Speed”. La Extreme E quindi è sì, assurda, con le sue gare senza pubblico se non in streaming sui social media o in tv, con una “Command room” virtuale che sostituirà il muretto dei box, ma è anche una scommessa geniale: un motorsport più pulito possibile in termini di emissioni e a misura neanche più di Millennial, ma che guarda a chi scende(va) in piazza per i Fridays for Future e a chi sta su Twitch perché su Instagram c’è sua madre. Oltre che agli appassionati tradizionalisti che volenti o nolenti nei prossimi vent’anni dovranno farsi andare bene l’elettrico di massa.
È una scommessa forse folle, forse molto intelligente, molto colorata e con un’art direction e un’attenzione complessiva al dettaglio enorme, partita il 3 e 4 aprile dal Desert X-Prix in programma nel Wadi Rum, in Arabia Saudita. A seguire altre quattro tappe: in Senegal al Lac Rose, vicino Dakar, in Groenlandia, in un Brasile deforestato e nella Terra del Fuoco, in Argentina. Una scommessa a cui hanno già creduto piloti affermati della F1 e del Mondiale rally: a scorrere l’elenco dei team c’è di tutto. C’è una leggenda come Carlos Sainz – classe 1962, un figlio omonimo che correrà nel 2021 in Ferrari – ma anche il rallysta Sébastien Loeb, o Jenson Button, campione del mondo di F1 nel 2009. Tra le donne, Cristina Gutiérrez Herrero, nata nel 1991, conduttrice spagnola specializzata in rally raid, Molly Taylor, Australian Rally Champion nel 2016 su Subaru e una veterana come Claudia Hürtgen, classe 1971 e campionessa tedesca specializzata in gare endurance.
Al di là di chi guiderà i mostruosi SUV Odyssey 21 della Spark Racing Technology (470 kw, quindi 544 cv, da 0 a 100 km/h in 4’’) sono interessanti i marchi dell’automotive che hanno creduto finora in Extreme E: perché i SUV elettrici saranno sì tecnicamente tutti uguali, ma ovviamente i team hanno sponsor e livree differenti e possono fare piccole modifiche estetiche al veicolo. C’è il team ABT – Cupra, legato alla galassia di brand del Gruppo Volkswagen: ABT è uno storico preparatore tedesco specializzato in Audi, Cupra è il brand sportivo di Seat, e Seat è gruppo Volkswagen esattamente come Audi. Il team Techeetah in Formula E indossava anche il marchio di DS Automobiles, già gruppo PSA e oggi Stellantis, ma al momento quel marchio non c’è in Extreme E. Vedremo. Il team Acciona | Sainz XE ci riporta davanti agli occhi la brand identity rossa di “Acciona”, marchio che ci siamo abituati a vedere su alcuni scooter elettrici di Milano e Roma, è un colosso iberico delle infrastrutture che nel 2018 fatturava 7,51 miliardi di euro. Il team di Chip Ganassi, leggenda US con decine di campionati Indy e Nascar vinti, gareggerà con un SUV elettrico uguale agli altri sì, ma che riprenderà le forme della GMC Hummer EV, l’Hummer elettrica; quindi General Motors. Oltre a quello tra case automobilistiche poi c’è un altro duello interessante, tra Nico Rosberg e Lewis Hamilton, che si sfideranno non guidando ma dalla Command Room, visto che si sono fatti due team rivali: la Rosberg Xtreme Racing e la X44 del sette volte campione del mondo.
È impossibile sapere ora come andrà questa scommessa folle, complicata e intelligentissima che cerca di tenere insieme una competizione automobilistica con la lotta al riscaldamento globale e nel farlo vuole anche portare davanti a uno schermo nuove schiere di appassionati, ma c’è una battuta che circola nell’ambiente: “Non dobbiamo diventare vegetariani, dobbiamo diventare cannibali: se mangi qualcuno annulli il 100% della sua carbon footprint. Vuoi eliminarne di più? Mangiati un pilota”.