Tre cose sulla 32esima giornata di Serie A

La differenza tra l'Inter e le altre, il miglior Insigne, quanto brilla Raspadori.

 

La differenza tra l’Inter e tutte le altre

Quelle contro Napoli e Spezia sono state due partite molto diverse, per l’Inter. Per tanti motivi: consistenza e caratteristiche dell’avversario, innanzitutto, ma anche situazione di classifica, risultati maturati sugli altri campi, contesto e pressione, tutto era molto diverso, tutto aveva un significato differente, anche in virtù del fatto che si trattava dell’ultimo turno infrasettimanale di una stagione anomala e durissima. Proprio in questi due pareggi, in questi 1-1 così simili anche nell’andamento della gara – vantaggio avversario, poi il pareggio degli uomini di Conte –, si può trovare la differenza che c’è stata tra l’Inter e tutte le altre squadre. Questa: anche nelle loro partite negative, nei momenti fisiologici di calo e appannamento, i nerazzurri non hanno mai perso la loro solidità mentale, la consapevolezza di poter riprendere il risultato. Non hanno imbarcato acqua, per utilizzare un gergo extracalcio.

È successo diverse volte nel corso della stagione, quando Lukaku, Lautaro e tutti gli altri inseguivano il Milan, ma anche quando avevano un vantaggio non ancora consolidato sui rossoneri: i nerazzurri sono andati sotto nel punteggio oppure si sono trovati in parità contro il Parma a San Siro (0-2 al 64esimo), contro il Torino sempre a San Siro (0-2 al 64esimo), in casa del Cagliari (1-0 per i sardi fino al 77esimo minuto), in casa del Verona (1-1 fino al 69esimo), della Roma (1-0 giallorosso fino al 56esimo), del Torino (all’85esimo il risultato era sull’1-1), e poi, come detto, contro Napoli e Spezia. Sono tutte partite da cui l’Inter è venuta fuori con un risultato positivo, e questo è un dato incredibile, mostra come la squadra di Conte sappia reagire alle sue giornate storte, con la forza dei singoli e quella del gioco costruita intorno a loro, perché a volte – come è successo nelle ultime due partite – Lukaku si ferma un attimo e allora bisogna trovare delle soluzioni alternative. Quest’anima d’acciaio è mancata a tutte le inseguitrici, che alla lunga hanno pagato la loro discontinuità rispetto alla macchina costruita da Conte, che magari non resterà nella storia della Serie A per brillantezza del gioco, ma sta vincendo lo scudetto proprio grazie alla sua capacità di ridurre al minimo i passaggi a vuoto, e di renderli praticamente indolori.

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Il miglior Insigne mai visto

I numeri – assoluti e relativi – prima di tutto: a sei giornate dalla fine del campionato, Insigne è a una sola rete dal suo record personale in Serie A (18 gol), registrato nella stagione 2016/17; nelle ultime nove partite ha segnato sette volte, con due doppiette belle e decisive allo stadio Maradona (contro Bologna e ieri contro la Lazio). Questi dati freddi, proprio perché sono freddi, non riescono però a restituire compiutamente il contributo, l’importanza di Insigne nel contesto-Napoli: quando a gennaio ha sbagliato un rigore determinante in Supercoppa Italiana, il capitano degli azzurri era stato messo in discussione per l’ennesima volta nella sua carriera, allora sembrava evidente che la sua leadership – tecnica ma anche emotiva – non riuscisse proprio a imporsi, a tirare fuori la squadra di Gattuso da un periodo molto difficile. La realtà sta nel mezzo: Insigne è un giocatore di grande talento, ma forse non al punto da trascinare da solo il Napoli. Ha bisogno di un contesto funzionale e funzionante, ha bisogno che la squadra giri per poter essere decisivo. Lo abbiamo visto e lo stiamo vedendo ora, ora che gli azzurri hanno ritrovato smalto: pur non comandando le partite in lungo e in largo, come avveniva per esempio durante il triennio di Sarri, il Napoli ha ricominciato a trovare delle fiammate di qualità – individuale e complessiva – che fanno girare le partite, che le indirizzano, e in certe situazioni la classe di Insigne diventa decisiva. Basta riguardare il pallonetto a giro con cui ha battuto Reina per siglare il gol del 3-0, un piccolo grande capolavoro di inventiva e precisione. In virtù di tutto questo, del fatto che queste reti e questo rendimento creativo – nove serviti assist in stagione – sono arrivati nell’ambito di una squadra diversa e che pratica un gioco diverso, un gioco meno dominante rispetto a quello in cui Insigne ha imparato a brillare, a essere protagonista, si può dire che questa versione di Insigne è senza dubbio la migliore che si sia mai vista. Il viatico migliore per una tarda primavera che vivrà di appuntamenti e obiettivi importanti: conquistare di nuovo la qualificazione in Champions con il Napoli, un Europeo da stella riconosciuta con l’Italia.

Napoli-Lazio 5-2

Qualità e prospettive di Giacomo Raspadori

Per capire Giacomo Raspadori, per comprendere compiutamente il suo modo di giocare e la sua unicità, basta riguardare il secondo gol realizzato al Milan, quello che ha suggellato la sua prima doppietta in Serie A: a inizio azione, l’attaccante del Sassuolo si sfila dalla difesa avversaria, lega i reparti e poi apre il gioco con un passaggio verso Berardi; dopo, si butta in area di rigore per ricevere il passaggio di ritorno, che arriva puntuale; Raspadori si avventa sulla palla con un intelligente e delicato stop a seguire, che gli permette di anticipare un difensore rapido come Tomori, e di aprirsi lo specchio della porta; la conclusione in diagonale, precisissima più che potente, è un’altra manifestazione di intelligenza e qualità. In una recente intervista alla Gazzetta dello Sport, Raspadori ha detto di ispirarsi ad Agüero e Tévez, e rivedendo questo gol al Milan – ma anche il primo realizzato contro i rossoneri, con un tocco rapace all’interno dell’area di rigore – si capisce come questo indirizzo sia ovviamente prematuro, almeno per il momento, ma ha un riscontro nella realtà: Raspadori ha una struttura fisica particolare, è alto solamente 172 centimetri, però sfrutta questa sua caratteristica per essere letale in fase conclusiva, soprattutto quando può giocare il pallone nell’area di rigore avversaria. È tutto un discorso di velocità d’esecuzione, di coordinazione, di lettura anticipata del gioco: tutte qualità che si possono allenare, certo, ma che in alcuni attaccanti sembrano essere genetiche. Ecco, Raspadori le possiede, anzi sembra averne in abbondanza, e questo lo rende un giocatore utile nell’ambito di un sistema di gioco sofisticato – altrimenti De Zerbi non punterebbe così tanto su di lui, non lo avrebbe lanciato da titolare e capitano in quesa seconda parte di stagione – ma anche una punta dalle prospettive enormi, e perciò ancora sconosciute. Sarà interessante, anzi sarà proprio divertente capire quale sarà il perimetro di crescita e affermazione di un attaccante che oggi, a 21 anni compiuti da due mesi, è già unico nel panorama italiano, almeno per caratteristiche.

Giacomo Raspadori non dimenticherà mai questa partita