Il romanzo di Venus e Serena

La biografia di due campionesse ma anche la storia complicata di due figlie, nel nuovo libro di Giorgia Mecca.

Dichiarazioni al microfono a fine match, annunci lapidari in conferenza stampa, interviste. Negli anni, le sorelle Williams hanno dato voce a un romanzo della loro vita. Esiste una collezione infinita di loro esternazioni – spiritose, tenere, sibilline – e ogni ammiratore ne conserva alcune. Dopo essere uscita dal Roland Garros del 2012, Serena dice: «Per tutta la vita, da quando sono nata fino ai 16-17 anni, ho voluto essere Venus». Sostiene che con la sorella non si sente mai sola, qualche mese dopo dichiara: «Odio allenarmi con lei. L’altro giorno ci stavamo allenando sul campo. Mi ha ucciso». Nel 2013 chiedono a Serena chi sia il suo giocatore preferito della storia del tennis, risposta: «Venus Williams».

La loro vita si svolge in parte nel silenzio profondo delle cattedrali del tennis in parte a riflettori spenti. Ma il pubblico vuole conoscere tutto di loro, il pubblico le ama, il pubblico le odia, gli spettatori pagano biglietti costosissimi per assistere alle loro esibizioni, altri – razzisti – fischiano e insultano; i giornalisti preparano le domande più assurde per cercare di comprendere chi sono: il cibo preferito di Serena a colazione? «Salsiccia di pollo». Non si contano i magazine che negli anni le hanno volute in copertina, le Williams bambine, le Williams elegantissime, le Williams ringhiose al servizio, le Williams in abiti da sera, sui tacchi, scalze, staccate qualche centimetro da terra mentre colpiscono la palla come divinità danzanti, con i loro corpi sempre più esposti, scollate, sudate, in spiaggia, in bikini, seminude, nude. Da trent’anni combattono su erba, terra rossa e cemento. Ogni tanto il cielo sopra di loro sembra chiudersi e il crepuscolo affrettarsi. Ma le resurrezioni si rincorrono: già nel luglio del 2000 si scriveva che nonostante gli annunci le Williams “erano tornate”. Vent’anni fa. Con loro sono cresciute generazioni di tenniste, molte hanno poi confessato di aver avuto in camera il loro poster prima di ritrovarsele dall’altra parte della rete. Nell’autobiografia di Maria Sharapova, Serena è un riferimento costante: «Ho letto il libro di Maria Sharapova: non pensavo di trovare tante cose su di me, non tutte necessariamente vere», dice Serena.

Insomma, non è facile scrivere un libro sulle sorelle Williams. Serena e Venus Williams, nel nome del padre, di Giorgia Mecca (pubblicato da 66thand2nd), punta la lente d’ingrandimento sulla loro vita emotiva, il luogo ideale per osservare i meccanismi che porteranno ai mitici servizi a 220 chilometri orari, ai crolli, ai successi, agli abissi. La loro storia parte da un ghetto di Los Angeles, Compton. Il padre delle Williams dice: «Ho studiato Muhammad Ali e Malcolm X, ho visto da dove arrivano. Come parte del mio piano ho deciso che il ghetto sarebbe stato il posto in cui le mie ragazze sarebbero cresciute, per imparare la mentalità del guerriero e l’abitudine al combattimento». Infanzia e adolescenza? Esisteva solo il tennis: «Le giornate diventano tutte uguali, senza anniversari, compleanni, ricorrenze. Gennaio, luglio, novembre, il tempo scorre monotono e veloce, le stagioni scandiscono soltanto la durata del giorno; ogni ora in più di sole è un’ora in più di tennis».

Più che atlete, leggende sportive, icone nere, bambine o ragazze, le Williams sono infatti: due figlie. Figlie di un padre che le mette al mondo col piano quello di farle diventare tenniste di successo, finché il futuro non esplode e diventa più grande dei suoi sogni. Per Serena, l’occasione per smettere di essere figlia è la nascita della piccola Alexis Olympia; Venus invece non smette mai del tutto di fare la figlia: «A settantasette anni Richard Williams è diventato un uomo per cui è possibile provare compassione. La barba bianca, i gesti al rallentatore, la schiena gobba, la struttura ossea che pare dimezzata: non gli rimane più niente del padre padrone che è stato. La vecchiaia lo ha reso fragile, nostalgico, con più pensieri rivolti al passato che al futuro. In un giorno qualunque è seduto nei campi di Palm Springs a guardare gli allenamenti di Venus. Trascorre così tutte le sue mattine, ogni volta che Venus è a casa. Ormai ha smesso di avere voce in capitolo, ma sua figlia, la maggiore, continua a illuderlo di avere ancora bisogno del suo  sguardo».

I libri sui campioni sportivi si concentrano spesso su vittorie o sconfitte clamorose, snocciolano partite leggendarie e record. Un libro ha però la possibilità di offrire al lettore la discesa nelle profondità dell’Io, di affrontare le dinamiche intime all’origine di quelle giornate trionfanti. Giorgia Mecca setaccia le loro esistenze e coglie sentimenti capaci di plasmare il loro assurdo futuro: a quattro anni Venus è la prima a entrare in campo, «Serena intanto scalpita, si sente abbandonata, tradita da sua sorella. La più piccola delle Williams è cresciuta all’ombra di Venus e adesso lei la lascia da sola tutto il giorno per andare al campo. “Posso venire anche io domani?”, chiede ogni sera a suo papà. “È troppo presto, sei ancora piccola”». Eccitazione frustrata, sindrome d’abbandono, tradimento, solitudine, in poche righe si disegna un mondo di ferite e desideri. Come si intuisce presto è possibile leggere Serena e Venus Williams, nel nome del padre dimenticandosi del tennis, di Wimbledon, degli sponsor, e leggerlo come un’epica fatta di gelosie, invidie, vendette, silenzi, rancori, sacrifici, devozione assoluta: c’è più Freud e Edipo nella parabola delle Williams che in un secolo di romanzi psicanalitici, Giorgia Mecca ha scritto un racconto allegorico sul libero arbitrio, su quanta indipendenza è possibile cestinare per salire sul tetto del mondo.

C’è un giorno in cui le Williams diventano avversarie. Un giorno in cui per la prima volta, a fine partita, «decidono di tornare nella loro casa di Palm Spring con due macchine diverse, sono state insieme troppo tempo in quel pome­riggio, si sono fatte troppo male, hanno ancora le ossa rotte. Non può curarti le ferite la stessa persona che te le ha procurate». C’è un giorno in cui le due afroamericane diventano la numero uno e la numero due del mondo. Ci sono i giorni delle crisi congiunte e gli anni degli infiniti paragoni tra le due. Nel 2017, dopo la vittoria agli Australian Open su Venus, Serena dice: «Non sarei mai riuscita a conquistare tutto questo senza di lei. Non avrei fatto niente di tutto ciò che ho fatto se non avessi avuto Venus come sorella. Lei è la mia ispirazione, l’unica ragione per la quale io sono qui oggi, l’unica ragione per la quale le sorelle Williams esistono».

Per tutto il libro viene da chiedersi se il tennis abbia più dato o più tolto alle loro esistenze. Solo Richard Williams non avrà dubbi. Richard, il padre, il padrone, il mostro, lo sciamano, l’uomo con i denti rotti per una lite nel ghetto di Los Angeles, l’uomo che certi giorni non è riuscito a stare sugli spalti a vedere le figlie scannarsi in campo. Racconta Giorgia Mecca che nel 1998, la sera prima di un match agli Australian Open contro la sorella, Serena si prepara leggendo l’Amleto di Shakespeare. La storia che le riguarda però è quella di Re Lear. Re Lear ha un progetto folle, quello di dividere i suoi territori e darli alle tre figlie in base a quanto dichiarano di amarlo. «Vi ho più caro della mia stessa vista», dice al Re la prima sorella. La seconda dice di amarlo «senza limiti e confini». La terza sorella è l’unica sincera, lo ama, ma rifiuta i discorsi retorici, Re Lear la rinnega, la manda in esilio: «Meglio non fossi nata ch’esserti dimostrata con tuo padre sì poco compiacente». Re Lear è una tragedia sulla gratitudine, l’obbedienza, soprattutto sull’essere compiacenti verso i padri. Alla fine Re Lear e la sorella ripudiata si ritrovano, si perdonano. Lui è felice al pensiero di venire imprigionato proprio con lei: «Vieni, andiamo in prigione! Là canteremo insieme, noi due soli, come uccellini in gabbia». Re Lear è un padre debole e incapace di amare, sogna fino alla fine di stare stretto alla figlia, la libertà non conta, conta solo stare insieme: promette alla figlia che in prigione canteranno, pregheranno, si racconteranno antiche favole e parleranno insieme «di chi perde e di chi vince».